sabato 31 luglio 2010

Scuola. Studenti disabili: forse a settembre qualcosa di nuovo


Con il nuovo anno scolastico ci potrebbero essere interessanti novità per gli studenti con disabilità. È quanto emerge da un incontro di FAND e FISH con i massimi dirigenti del Ministero dell’Istruzione. Sarebbe un ottimo risultato, tenuto conto anche del lungo silenzio di quel Dicastero su questi aspetti.

Numerose le istanze avanzate dalle delegazioni delle due Federazioni, proposte che, su rassicurazione del Ministero, dovrebbero produrre risultati operativi a partire dal prossimo settembre.

La prima questione è quella della composizione delle classi, uno dei temi più sentiti negli ultimi anni e oggetto di una serrata azione delle associazioni in occasione della Manovra correttiva. Vi sarà un più stretto rispetto del numero massimo di 20 alunni nelle prime classi (e quindi progressivamente in quelle successive) ove sono presenti bambini con disabilità. Inoltre, si eviterà la presenza di due bambini con disabilità per classe.

Un altro importante impegno è sulla formazione sia dei dirigenti scolastici che di tutti gli insegnanti sui temi e le soluzioni per l’inclusione scolastica. I dirigenti regionali e scolastici saranno poi sensibilizzati e richiamati all’inderogabilità della tutela dell’inclusione scolastica e delle Linee-guida sulla qualità della stessa, emanate dal Ministero e ancora scarsamente conosciute ed applicate in molte scuole.

FAND e FISH hanno accolto in modo positivo l’esito dell’incontro sia per l’attenzione finalmente dimostrata alle proprie istanze, sia per le apprezzabili proposte operative avanzate dal Ministero.

Le due Federazioni seguiranno, ovviamente, con vigile attenzione l’attuazione degli impegni assunti.

Contribuenti.it: in 3 anni, chiuse 52mila botteghe artigiane

In tre anni hanno abbassato la saracinesca quasi 52mila botteghe artigianali, con una perdita di 108mila posti di lavoro. A fare i conti della crisi è Contribuenti.it – Associazione Contribuenti Italiani che con Lo Sportello del Contribuente monitora costantemente i riflessi della crisi economica sul mondo produttivo.. Per quanto riguarda il settore artigianato, nel periodo 2007- 2009 le iscrizioni sono state 187.460, mentre le cancellazioni sono state 239.990: 52.440 botteghe artigianali in meno, con una perdita di oltre 100mila posti di lavoro.

Al primo posto tra regioni dove si è registrato il maggiore decremento troviamo il Friuli V-Giulia, seguito dalla Campania, Valle d’Aosta, Molise, Sicilia, Abruzzo, Emilia Romagna, Toscana, Lombardia, Veneto, Lazio, Puglia, Calabria, Liguria, Umbria, Trentino-A.Adige, Sardegna, Basilicata, Piemonte e Marche.

Per Contribuenti.it – Associazione Contribuenti Italiani, occorre operare per una rapida inversione di tendenza agendo soprattutto sulla leva fiscale, sull'accesso al credito, sugli ammortizzatori sociali e soprattutto sui piani commerciali che debbono valorizzare e premiare l’artigianato, lustro del made in Italy nel mondo.

Di fronte alla chiusura di 52 mila botteghe artigianali” - commenta Vittorio Carlomagno presidente di Contribuenti.it Associazione Contribuenti Italiani - ''è impensabile che il governo non intervenga con una moratoria fiscale per gli artigiani, inserendo anche il comparto artigianale tra quelli in crisi, prevedendo inoltre l’estensione al settore delle arti e delle professioni degli ammortizzatori sociali e di tutte le misure straordinarie”.


Fonte:Contribuenti.it

Medici Senza Frontiere: Colombia, i civili tre volte vittime del conflitto

Nuovo rapporto di MSF sulle gravi conseguenze della violenza sulla popolazione colombiana. Necessario migliorare l’assistenza alla salute mentale delle persone

La popolazione in Colombia non solo è vittima delle conseguenze dirette del conflitto, ma è anche vittima dell’abbandono e dello stigma sociale e istituzionale in cui è costretta a vivere. Medici Senza Frontiere (MSF) pubblica il rapportoTre volte vittime” ("Three time victims. Victims of violence, silence and neglect. Armed conflict and mental health in the department of Caquetá, Colombia”) in cui mostra come questa tripla violenza abbia un impatto negativo sulla salute mentale dei civili che vivono nel dipartimento del Caquetá, Colombia meridionale. Nel rapporto, MSF chiede che i servizi di salute mentale disponibili vengano adattati a questa popolazione particolarmente vulnerabile.

I nostri operatori umanitari sono testimoni della sconvolgente realtà sopportata dalla maggior parte della gente del Caquetá”, spiega Teresa Sancristóval, responsabile dei progetti di MSF in Colombia. “Da un lato i civili sono esposti alla violenza perpetrata dai diversi gruppi armati e dall’altro le autorità e la società non garantiscono loro l’assistenza di cui hanno una reale necessità. Questa situazione ha gravi conseguenze sulla salute mentale delle persone che vivono terribili sofferenze psicologiche alle quali le autorità dovrebbero dare una risposta”.

Tra marzo del 2005 e settembre del 2009, MSF ha visitato 5.064 persone all’interno del progetto di salute mentale nel Caquetá. Il 49,2% di questi pazienti ha vissuto il conflitto direttamente sulla propria pelle: intrappolati negli scontri fra i gruppi armati, vittime di violenze con minacce, ferite, reclutamento forzato, sfollamento, restrizioni della possibilità di movimento e uccisione di membri della propria famiglia. Oltre a sopportare le conseguenze dirette del conflitto, i civili devono affrontare lo stigma da parte della società. “Lo stigma sociale e la marginalizzazione che circondano la popolazione colpita dal conflitto in Colombia, costringono le persone a restare in silenzio e a non parlare della propria sofferenza e ciò impedisce la loro inclusione sociale e il loro senso di appartenenza alla comunità”, dice María Cristóbal, esperta di MSF in salute mentale. Tutto ciò ostacola il loro accesso a lavoro, casa, educazione e salute.

Le vittime del conflitto sono spesso escluse dai servizi sociali erogati dallo stato. L’abbandono da parte delle istituzioni è evidenziato dal fatto che il fenomeno dello “sfollamento forzato” non è riconosciuto a sufficienza in Colombia. “Il Governo colombiano dovrebbe assumersi le proprie responsabilità e rispondere ai bisogni di questa gente”, aggiunge Teresa Sancristóval. “La nostra esperienza nel Caquetá ci dice che è possibile offrire assistenza mentale con poche risorse, anche in contesti di conflitto, e che tale assistenza migliora le condizioni dei pazienti”.

MSF lavora in Colombia dal 1985 e garantisce assistenza medica e psicologica a migliaia di persone colpite dal conflitto. L’organizzazione risponde anche in caso di catastrofi naturali ed epidemie. Attualmente, circa 370 persone lavorano nei progetti che MSF ha attivato nei 13 dipartimenti.

Dal 1999 MSF lavora nel dipartimento del Caquetá, dove realizza attività di salute mentale dal 2005. Attualmente le equipe di MSF visitano regolarmente le aree di Cartagena del Chairá e San Vicente del Caguán dove sono stati aperti progetti di promozione della salute mentale e attività di prevenzione e dove sono state allestiti ambulatori all’interno degli ospedali municipali. La salute mentale è inclusa nell’assistenza fornita da MSF attraverso le cliniche mobili nella zona rurale dei municipi di Cartagena del Chairá e San Vicente del Caguán. MSF ha anche lavorato per 4 anni al centro di salute mentale di Florencia, capoluogo del dipartimento: le attività di salute mentale nel centro sono gestite dalla Open National University da maggio del 2009.

Fonte:MSF

I Na’vi di Avatar a Londra per fermare la miniera della Vedanta


Due Na’vi di Avatar, il celebre film di James Cameron, si sono presentati oggi all’Assemblea Annuale della compagnia Vedanta Resources, a Westminster.

I Na’vi hanno partecipato a una manifestazione organizzata da Survival International in segno di protesta contro la miniera di bauxite che la compagnia progetta di scavare sulla montagna sacra della tribù dei Dongria Kondh.

All’Assemblea ha partecipato anche il parlamentare britannico Martin Horwood, presidente del gruppo parlamentare bipartisan sui popoli indigeni.

I Dongria Kondh sono divenuti famosi come la “vera tribù di Avatar” perché la loro battaglia presenta delle straordinarie somiglianze con quella degli alieni del film.

Il proprietario di maggioranza della Vedanta Resources è il miliardario Anil Agarwal.

Il mese scorso la Vedanta ha incassato tre duri colpi a causa dei suoi progetti minerari. Il Ministro indiano per l’ambiente e le foreste ha ordinato un’indagine sui diritti dei Dongria sulle loro foreste; un’altra indagine sullo stesso tema è stata predisposta dal Segretario di Stato di Odisha (ex Orissa), mentre la più importante società d’investimenti olandese, la PGGM, ha annunciato di aver venduto le sue quote azionarie Vedanta per gravi preoccupazioni in materia di rispetto dei diritti umani.

Tra i grandi azionisti che hanno ceduto le loro azioni si contano anche la Chiesa d’Inghilterra, il Governo norvegese e la fondazione Joseph Rowntree Charitable Trust.

Survival ha realizzato un filmato sulla resistenza dei Dongria. L’edizione italiana si intitola Mine. Storia di una montagna sacra ed è narrata dall’attore Claudio Santamaria, testimonial dell’associazione.
http://www.survival.it/film/mine

Fonte:Survival

Escono dalla foresta per dimostrare la loro esistenza


Alcuni Indiani appartenenti alla piccola tribù degli Awá hanno deciso di uscire dalla foresta per tre giorni, dal primo al 3 agosto, per dimostrare la loro esistenza e chiedere la protezione della loro terra dalle invasioni.

L’evento, denominato “Noi esistiamo: terra e vita per i cacciatori-raccoglitori Awá”, è stato organizzato dall’organizzazione brasiliana CIMI, dalla Chiesa cattolica e da numerosi gruppi indigeni.

Gli Awá che prenderanno parte alla protesta dovrebbero essere un centinaio. Molti di loro usciranno dalla foresta per la prima volta.

La manifestazioni si svolgerà a Ze Doca, nei pressi del territorio awá: una cittadina dello stato del Maranhão, nell’Amazzonia orientale, le cui autorità continuano a negare l’esistenza della tribù.

Gli Awá sono uno dei due soli gruppi di cacciatori-raccoglitori nomadi sopravvissuti in Brasile. Oltre 60 membri della tribù non hanno mai avuto alcun contatto con l’esterno e sono gravemente minacciati dal taglio illegale della foresta.

Nonostante la terra degli Awá sia stata legalmente riconosciuta, gli Indiani vivono sotto la minaccia costante di malattie e violenze per mano dei taglialegna, che stanno spianando strade nella loro foresta, e dei coloni, che cacciano la selvaggina da cui la tribù dipende per sopravvivere.

Nel giugno del 2009 un giudice federale aveva ordinato l’allontanamento di tutti gli invasori entro 180 giorni. Tuttavia, l’ordinanza resta tuttora sospesa e le invasioni e la deforestazione continuano ad aumentare.

Negare l’esistenza di Indiani incontattati è solo un modo per aggirare il problema e perpetuare dinamiche colonialiste” denuncia Stephen Corry , direttore generale di Survival. “Ma è anche un crimine: nega la loro esistenza e loro cesseranno davvero di esistere!
Scompariranno esattamente come è successo a tantissime altre tribù brasiliane. Se il Brasile vuole davvero essere considerata una nazione influente, le sue autorità non dovranno più tollerare violazioni come queste
.”

Fonte:Survival

venerdì 30 luglio 2010

Attivisti di Greenpeace tagliano piante di mais OGM in Friuli



Dopo aver ottenuto da un laboratorio accreditato le prove dell’esistenza di un secondo campo di mais transgenico in Friuli, venti attivisti di Greenpeace hanno tagliato, isolato e messo in sicurezza la parte superiore delle piante di mais OGM, che produce il polline, responsabile della contaminazione su vasta scala. Il campo di mais geneticamente modificato, precisamente MON810 brevettato dalla statunitense Monsanto, si trova nelle vicinanze di Vivaro (in provincia di Pordenone).

«Greenpeace sta facendo quello che le autorità hanno rimandato per settimane: bloccare la fonte della contaminazione transgenica. Siamo di fronte ad un atto assolutamente irresponsabile - denuncia Federica Ferrario, responsabile della campagna OGM di Greenpeace - anche in questo campo il mais è fiorito e sta già disseminando il proprio polline sulle coltivazioni circostanti».

Questo è il secondo campo di mais transgenico identificato da Greenpeace in pochi giorni. A questo punto non possiamo escludere che, oltre al campo di mais di Fanna identificato ieri, esistano anche altre coltivazioni di mais OGM in Friuli. È quanto mai necessario che la pubblica autorità provveda oggi stesso a isolare e distruggere entrambi i campi OGM di Fanna e Vivaro già identificati, e che inizi immediatamente una scrupolosa campagna di campionamenti e analisi a più ampio raggio.

«Basta perdere tempo! La Procura di Pordenone ponga fine – continua Ferrario - a questa contaminazione illegale e incrimini i responsabili e tutti i suoi possibili complici. Il rischio di una contaminazione di tutto il mais del Friuli deve essere scongiurato».

Alla luce di questi avvenimenti, Greenpeace si appella al Governo italiano affinché respinga la recente proposta della Commissione europea: semaforo verde agli OGM in cambio della possibilità di un divieto nazionale basato su promesse legislative indifendibili in tribunale quando le aziende biotech ricorreranno contro tali decisioni. La Commissione, infatti, chiede di velocizzare le autorizzazioni degli OGM, diminuendo i margini di sicurezza ambientale dei medesimi, ma non intende concedere agli Stati membri la possibilità di vietare OGM per motivi legati alla salvaguardia della salute pubblica e dell'ambiente.

La stessa valutazione della Commissione ha concluso poi che la proposta causerebbe un "impatto negativo per gli agricoltori NON-Ogm" poiché non si potrebbe far fronte ai problemi di contaminazione che scaturirebbero negli Stati membri che decidessero di avviare coltivazioni transgeniche.

Greenpeace aderisce alla “Task Force per un'Italia Libera da Ogm” che ha convocato per oggi un Presidio della Legalità, alle ore 12, presso la Prefettura di Pordenone, per richiedere la distruzione dei campi OGM e severi provvedimenti nei confronti dei responsabili.

Greenpeace: bloccata dalla polizia azione nel campo OGM in Friuli


I venti attivisti di Greenpeace, che questa mattina all’alba sono entrati nel campo illegale di mais Ogm nella provincia di Pordenone, sono stati bloccati e fermati dalle Forze dell’Ordine per arbitraria invasione di terreno agricolo. L’intervento delle Forze dell’Ordine è in corso e gli attivisti rischiano l’arresto.

«Hanno bloccato un lavoro di decontaminazione dell’area – sostiene Federica Ferrario, responsabile della campagna OGM di Greenpeace – che avrebbero dovuto effettuare loro già settimane fa. Queste piante OGM sono in fioritura e il loro polline sta contaminando il mais dei campi circostanti. Adesso chi pagherà i danni agli agricoltori friulani?».

lunedì 26 luglio 2010

Deltaplano: Italia campione d'Europa


D'un soffio sull'Austria, l'Italia, già campione del mondo di deltaplano, vince anche il titolo europeo in nove combattute gare nei cieli di Ager (Catalogna, Spagna), villaggio situato nella valle omonima a nord della regione del Noguera, zona pre pirenaica.

Presenti 22 nazioni per complessivi 91 piloti, alle spalle dell'Italia si sono classificate Austria e Svizzera. Gli austriaci hanno vinto oro ed argento individuali con Gerolf Heinrichs e Thomas Weissenberger, seguiti dall'ungherese Attila Bertok. Alessandro Ploner (Trento), campione del mondo in carica, ed Elio Cataldi (Vittorio Veneto, Treviso), i meglio piazzati tra gli azzurri.

Facevano parte della squadra nazionale anche Christian Ciech, trentino trapiantato a Varese, Davide Guiducci di Reggio Emilia, Filippo Oppici di Parma, l'alto atesino Anton Moroder, campione italiano 2010, e Marco Borri di Biella. In particolare Ploner e Ciech si sono distinti vincendo una task ciascuno.

Impegnativi i percorsi di gara, tra i 67 e 194 km, che si sono sviluppati nella valle di Ager, limitata a nord dalla catena del Montsec, a sud della Sierra de Montcls, con il Coll d'Ares (1586 m) ed il monte Sant Alís (1675 m) quali cime più salienti.

Il prossimo appuntamento per i piloti di deltaplano sarà dal 30 luglio al 8 agosto a Sigillo (Perugia) per le gare pre-mondiali, evento propedeutico ai campionati del mondo che si terranno nella stessa località e periodo nel 2011.

Nel frattempo a Malcesine (Verona), nella cornice del lago di Garda, si è tenuta Adrenalina Splash, una festa di volo in parapendio organizzata dal Paragliding Malcesine, con aggiunta di esibizioni di bike trial, base jumper, musica dal vivo e buona cucina. Nella gara acro ha vinto il pilota locale Roberto La Fauci, secondo il tedesco Ralf Reiter e terzo un altro pilota del posto, Italo Miori. Gli atterraggi in acqua, con recupero di piloti ed attrezzature tramite quattro gommoni predisposti ad hoc, hanno divertito il pubblico presente, mentre chi non sbagliava terminava il suo volo lungo la riva del lago o su una zattera galleggiante.

Fonte: Federazione Italiana Volo Libero

giovedì 22 luglio 2010

Per le femmine israeliane la guerra è un videogioco


NAZARETH — Si chiama “Spot and Shoot” (”Localizza e Spara”). Gli operatori siedono di fronte ad un monitor TV dal quale possono controllare l’azione grazie ad un joystick in stile Playstation.
L’obiettivo: uccidere.

Giocato da: giovani femmine dell’esercito Israeliano.

Spot and Shoot, come viene chiamato dall’esercito Israeliano, potrebbe sembrare un videogioco ma le sagome nello schermo sono persone reali – Palestinesi di Gaza – che possono venire uccise con la semplice pressione di un pulsante nel joystick.

Le femmine in divisa, situate ben lontane in delle stanze operative, sono responsabili nel mirare e sparare le mitragliatrici controllate a distanza che sono collocate in delle torrette posizionate a distanza di qualche centinaio di metri fra di loro lungo un recinto che circonda Gaza.

Il sistema è uno degli ultimi congegni per “l’uccisione a distanza” sviluppati dall’azienda per armamenti Israeliana Rafael, che precedentemente era una divisione di ricerca militare all’interno dell’esercito Israeliano e ora è un’azienda governativa separata.

Secondo Giora Katz, il vice presidente di Rafael, apparati militari di controllo a distanza come Spot and Shoot rappresentano il futuro. Katz ritiene che entro un decennio almeno un terzo dei mezzi utilizzati dall’esercito Israeliano per il controllo di terra, aria e mare saranno senza pilota.

La richiesta per simili sistemi, ammette l’esercito Israeliano, è la conseguenza della combinazione di bassi livelli di arruolamento e una popolazione meno propensa a rischiare la vita in battaglia.

Oren Berebbi, a capo della sezione tecnologia, recentemente ha dichiarato ad un giornale Statunitense: “Stiamo tentando di portare i mezzi senza pilota in ogni luogo del campo di battaglia … Possiamo fare molte più missioni senza mettere in pericolo la vita del soldato.”
Il veloce progresso della tecnologia ha sollevato la preoccupazione delle Nazioni Unite. Philip Alston, un relatore speciale sulle uccisioni extragiudiziali, lo scorso mese ha messo in guardia sul pericolo che potrebbe presto emergere una “mentalità Playstation d’uccidere”.

Secondo gli analisti, però, Israele difficilmente accantonerà i sistemi che sta sviluppando – utilizzando i territori Palestinesi occupati, e specialmente Gaza, come dei laboratori per testare le armi.

Le armi controllate a distanza sono molto richieste da regimi repressivi e dalle fiorenti industrie sulla sicurezza di tutto il mondo.

“Questi sistemi sono ancora nelle fasi iniziali di sviluppo, ma il mercato è ampio e sta crescendo per loro”, ha detto Shlomo Brom, un generale in pensione e analista della difesa presso l’Institute of National Security Studies della Tel Aviv University.

Il sistema Spot and Shoot – conosciuto ufficialmente come Sentry Tech – ha attirato l’attenzione principalmente perchè viene operato da femmine in divisa di 19 e 20 anni, rendendolo così l’unico sistema di guerra utilizzato esclusivamente da femmine.
Le femmine in divisa vengono preferite per operare sistemi per uccidere a distanza per via della carenza di reclute di sesso maschile nelle unità di combattimento Israeliane. Le giovani femmine possono compiere quindi missioni senza rompere il taboo sociale di rischiare la loro vita, ha detto Mr Brom.

Le femmine devono identificare ogni persona sospetta che si avvicina al recinto intorno a Gaza e, se autorizzate da un ufficiale, ucciderli usando i loro joystick.
L’esercito Israeliano, che intende introdurre la tecnologia assieme alle altre nel campo di battaglia, si rifiuta di dichiarare quanti Palestinesi sono stati uccisi da queste mitragliatrici controllate a distanza nella Striscia di Gaza. Secondo i media Israeliani, le vittime sarebbero svariate dozzine.

Il sistema venne preparato due anni fa per motivi di sorveglianza, ma solo recentemente gli operatori hanno avuto l’opportunità di usarlo anche per sparare. L’esercito ha ammesso di aver usato Sentry Tech a Dicembre per uccidere almeno due Palestinesi che erano molte centinaia di metri all’interno del recinto che circonda Gaza.

Il quotidiano Haaretz, a cui la scorsa settimana è stato dato un raro accesso alla stanza di controllo di Sentry Tech, ha citato una femmina, Bar Keren, di 20 anni, che ha detto: “E’ molto allettante essere una di quelle che fanno questo. Ma non tutti vogliono fare questo lavoro. Non è semplice prendere un joystick come quello di una Sony Playstation e uccidere, ma alla fine è per difesa“.

Sensori audio nelle torrette significano che le femmine sentono il colpo quando uccide il bersaglio. Nessuna femmina, ha dichiarato Haaretz, ha fallito l’obiettivo di sparare quel che l’esercito definisce un Palestinese “incriminato”.

L’esercito Israeliano, che impone il rispetto di una terra di nessuno senza confini definiti dentro il recinto che penetra fino a 300 metri dentro il piccolo territorio, è stato largamente criticato per aver aperto il fuoco contro civili che entravano nella zona chiusa.
Rafael sembra che stia sviluppando anche una versione di Sentry Tech che sparerà missili guidati a lunga gittata.

Un’altro pezzo di hardware prodotto recentemente dall’esercito Israeliano è il Guardium, una macchina robot corazzata che può pattugliare un territorio raggiungendo velocità fino a 80km all’ora, può procedere dentro le città, lanciare “imboscate” e sparare a bersagli. Attualmente pattuglia i confini Israeliani con Gaza e il Libano.

I suoi sviluppatori Israeliani, G-Nius, l’hanno chiamato il primo “soldato robot” del mondo.
Ma Israele è meglio conosciuto per il suo ruolo nello sviluppo di “veicoli aerei senza piloti” – o droni, come sono conosciuti oggi. Sviluppati inizialmente con scopi di spionaggio, e usati per la prima volta da Israele agli inizi degli anni ‘80 in Libano, oggi vengono sempre più usati per compiere esecuzioni extragiudiziali da migliaia di metri dal cielo.

Tratto da http://saigon2k.altervista.org/?p=1758

Somalia: giornalisti sotto attacco a causa del giro di vite del governo sulla stampa, denuncia Amnesty International


In occasione della Giornata dei diritti umani dei somali, che si celebra oggi 22 luglio, Amnesty International ha reso pubblico un documento dal titolo "Notizie difficili: le vite dei giornalisti in pericolo in Somalia". Di fronte al crescente giro di vite nei confronti del giornalismo indipendente nel paese, Amnesty International ha chiesto oggi alle autorità di governo e ai gruppi armati d'opposizione di impegnarsi a rispettare la libertà di espressione.

A partire da giugno, una campagna di persecuzione e intimidazione ha dato luogo a una serie di arresti e interrogatori di giornalisti. Questa ondata repressiva si aggiunge alla grave e costante minaccia da parte dei gruppi armati, che hanno assassinato 10 giornalisti negli ultimi 18 mesi.

"Ai giornalisti somali viene impedito di informare la popolazione locale sulla violenza quotidiana che si abbatte sulle loro vite, in un conflitto così pericoloso da impedire alla stampa internazionale di riferirne con regolarità" - ha dichiarato Michelle Kagari, vicedirettrice del Programma Africa di Amnesty International. "Le autorità somale devono indagare sugli attacchi e sulle persecuzioni di giornalisti da parte dei gruppi armati e di esponenti del governo e assicurare che la libertà di espressione sia rispettata".

Il governo federale di transizione (Tfg), che ha l'appoggio internazionale, controlla solo una piccola parte della capitale Mogadiscio, mentre il resto del sud e del centro della Somalia è sotto il controllo dei gruppi armati. I due più grandi gruppi armati sono al-Shabab e Hizbul Islam, alleati contro il Tfg ma anche impegnati a combattere tra di loro.

Mentre i gruppi armati costituiscono la maggiore minaccia mortale per i giornalisti somali, la repressione del giornalismo indipendente da parte del Tfg è aumentata d'intensità.
Il 26 giugno, Mohammed Ibrahim, corrispondente del "New York Times", è fuggito dalla Somalia dopo aver ricevuto minacce dalle forze di sicurezza del governo, in seguito alla pubblicazione di un articolo nel quale asseriva che tra le forze governative vi fossero bambini soldato.

Il 29 giugno a Mogadiscio, diversi giornalisti sono stati feriti da missili esplosi contro un locale in cui si svolgeva una conferenza stampa di al-Shabab. I giornalisti locali presenti ritengono di essere stati indirettamente presi di mira dal Tfg, che non voleva che la conferenza stampa avesse luogo.

Il 1° luglio, la polizia ha arrestato il giornalista Mustafa Haji Abdinur e l'operatore televisivo freelance Yusuf Jama Abdullahi perché trovati in possesso di immagini di un loro collega, il fotogiornalista Farah Abdi Warsame, che era stato colpito dal fuoco incrociato durante dei combattimenti a Mogadiscio. I giornalisti sono stati interrogati e obbligati a eliminare le loro foto. Warsame ha potuto ricevere cure mediche solo dopo essere stato interrogato.

"Più che proteggerli dal pericolo costituito dai gruppi armati come al-Shabab, le autorità somale stanno aumentando i problemi per gli operatori dell'informazione, aggravando la persecuzione nei loro confronti" - ha proseguito Kagari.

I gruppi armati che si oppongono al governo somalo controllano attualmente diverse città del paese. Hanno ucciso, perseguitato e intimidito giornalisti, chiuso stazioni radio, limitato i temi su cui gli organi di stampa locali possono riferire e impedito frequentemente ai giornalisti di pubblicare notizie considerate sfavorevoli nei loro confronti. Questo rende quasi impossibile divulgare informazioni vitali sulla situazione in Somalia.

La più recente uccisione di un operatore dell'informazione ha avuto luogo il 5 maggio, quando tre uomini armati hanno colpito a morte il giornalista Sheik Nur Mohamed Abkey, dopo aver lasciato la sede della radio di stato. Abkey è stato rapito vicino la sua abitazione, nella parte meridionale di Mogadiscio, e poi assassinato con ripetuti colpi di arma da fuoco in testa. Esponenti di al-Shabab hanno rivendicato l'azione.

Nel 2009 sono stati uccisi nove giornalisti, il più alto numero in un anno dal 1991, quando è esploso il conflitto armato a seguito del collasso del governo dell'ex presidente Siad Barre.

Nei primi cinque mesi del 2010, è stato ucciso un giornalista e molti altri sono stati rapiti e perseguitati dai gruppi armati.

Il Tfg è stato sostenuto militarmente dalle truppe etiopi che sono rimaste in Somalia fino all'inizio del 2009. I rappresentanti del Tfg e le istituzioni somale sono attualmente protetti dalla Missione dell'Unione africana in Somalia, Amisom.

Al Tfg si oppongono diversi gruppi armati islamisti. Da entrambe le parti in conflitto si verificano spesso sovrapposizioni, creazioni di nuove alleanze, cambiamenti e ulteriori scissioni.

Fonte:Amnesty International

mercoledì 21 luglio 2010

Polizia in piazza contro la manovra

Non erano tanti, ma erano sufficientemente arrabbiati. Per la prima volta si sono ritrovati in piazza, davanti alla Camera, i sindacati di polizia, i Cocer della Finanza e dell’Aeronautica, il Corpo forestale, la penitenziaria. Tutti, tranne i carabinieri, per dire “no” a una manovra economica che riduce ulteriormente gli investimenti per la sicurezza e la difesa. Tagli che, tra la legge Brunetta e l’attuale finanziaria, sfiorano il miliardo e 600 milioni di euro. In piazza la solita passerella dei politici d’opposizione, che ora promettono di presentare un emendamento per salvaguardare l’intero comparto. Ma in pochi credono ormai che la situazione possa cambiare. Anzi, la convinzione diffusa – mettendo insieme manovra e ddl intercettazioni – è che si stia compiendo un progetto politico ben preciso: negare alle forze dell’ordine di fare il proprio dovere, cioè arrestare i criminali.


Fonte: il Fatto Quotidiano

Crisi: 1.600 imprenditori suicidi nel 2008. Ora c'è il Forum Antiusura Bancaria - AgoraVox Italia

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MSF: Ridurre i fondi per la lotta all’HIV/AIDS significa giocare con la vita dei pazienti


I donatori internazionali stanno ignorando i risultati scientifici sui benefici derivanti dalla diffusione dei programmi di trattamento antiretrovirale, allo scopo di risparmiare soldi sulle spalle di 10 milioni di pazienti che necessitano di cure. In occasione della Conferenza Mondiale sull’HIV, in corso a Vienna in questi giorni, Medici Senza Frontiere manifesta la propria preoccupazione.

Oggi i donatori internazionali si aspettano che i medici dicano ai pazienti che si trovano quasi in punto di morte di tornare più tardi per avere accesso al trattamento antiretrovirale”, dichiara Eric Goemare, responsabile medico di MSF in Sud Africa. "Questo è un modo sbagliato di curare. Da medico mi piacerebbe molto di più dare loro una pillola e mandarli a casa, piuttosto che vederli dopo 6 mesi in un letto di ospedale con le complicanze di una tubercolosi ”.

Con i dati dei progetti per la lotta all’HIV/AIDS condotti da MSF in Lesotho e che verranno presentati in questi giorni a Vienna, MSF dimostra come un trattamento somministrato precocemente possa ridurre di oltre il 60% la mortalità dei pazienti affetti da HIV/AIDS.

Ma questo tipo di risultati continuano ad essere ignorati dai donatori internazionali, in particolare dagli Stati Uniti (il primo paese al mondo tra i donatori istituzionali), che invece attualmente premono sui paesi poveri affinché riducano i trattamenti soltanto a quei pazienti che hanno uno stadio molto avanzato della malattia.

Oltre ai benefici medici e finanziari di una terapia iniziata precocemente, diversi studi mostrano che rendere il trattamento disponibile tra le comunità è uno dei modi più efficaci per prevenire e ridurre la trasmissione dell'HIV.

Nonostante ciò, a livello internazionale si riducono progressivamente gli impegni presi per combattere l’HIV/AIDS e si registra un calo dei finanziamenti che di conseguenza determinerà un ritardo nella somministrazione della terapia o ancora peggio una sospensione.

Il Fondo Globale, il principale meccanismo di finanziamento per l’acquisto di farmaci antiretrovirali, sta affrontando una grave crisi finanziaria. Gli Stati Uniti stanno proponendo di continuare il programma PEPFAR (U.S. President’s Emergency Plan for AIDS Relief) con un contributo che non prevede incrementi nel corso dei prossimi anni e contestualmente intendono diminuire il proprio supporto al Fondo Globale.

Proprio questa settimana i media tedeschi hanno riportato notizia del dibattito su come la Germania potesse ridurre il proprio contributo al Fondo Globale di tre volte. L’Austria, paese ospitante dell'International AIDS Conference, non contribuisce con un solo dollaro al Fondo dal 2001.

Questa involuzione arriva dopo un decennio di sforzi e di successi: più di 5,2 milioni di persone sono vive grazie ai trattamenti antiretrovirali, resi possibili dalla diffusione e distribuzione di farmaci generici economici e di qualità e dall’impegno dei paesi donatori.

Con 1,2 milioni di persone che hanno iniziato il trattamento nel 2009, i progressi sono stati rapidi. Tuttavia ci sono ancora 10 milioni di persone in attesa di iniziare il trattamento e per i quali il mutato clima lascia intravedere incertezza e scarse possibilità di avere accesso alla terapia.

"I donatori hanno ripetutamente promesso a milioni di persone la possibilità di accedere al trattamento salvavita", dichiara Eric Goemaere. "Ora è una questione di scelta: o si contribuisce al finanziamento delle terapie antiretrovirali o si lasceranno morire milioni di persone!"

Fonte: Medici Senza Frontiere

Roma accoglienza dei profughi afgani all’Ostiense: dalle istituzioni una prima risposta necessaria ma non sufficiente

Medici per i Diritti Umani (MEDU) e la Rete di tutela dei rifugiati afgani esprimono apprezzamento per la temporanea soluzione della crisi umanitaria e di accoglienza di almeno 150 profughi afgani obbligati a vivere in condizioni abitative ed igienico-sanitarie disastrose presso la stazione Ostiense (si veda il video dell'attuale situazione).

I profughi verranno ospitati da lunedì prossimo, e fino al 30 settembre, presso tre centri di accoglienza del Comune di Roma. Tale soluzione è stata prospettata dall’Assessore alle politiche sociali, Sveva Belviso, durante un incontro con i rappresentanti dei profughi afgani, della Rete di tutela dei rifugiati afgani, del Centro Astalli e di MEDU avvenuto ieri presso il V Dipartimento. L’incontro e le misure straordinarie di ieri arrivano dopo che, negli ultimi due mesi, la già precaria situazione umanitaria del campo profughi spontaneo dell’Ostiense si era deteriorata a livelli estremi di invivibilità a causa del caldo, del sovraffollamento,della chiusura dell’unica fontanella di acqua potabile e delle minacce di sgombero.
Duranti questi mesi sono state pressoché quotidiane le segnalazioni e le denuncie all’amministrazione comunale da parte di associazioni e singoli cittadini sulla gravità della situazione così come sono state numerose le iniziative di solidarietà messe in atto dalla società civile per assicurare un minimo approvvigionamento d’acqua ai profughi. E’ stata infine necessaria un’azione di protesta civile dei profughi e della Rete di tutela, con l’occupazione simbolica degli uffici del V Dipartimento del Comune, per arrivare ad un incontro con l’Assessore alle politiche sociali e alla soluzione di ieri.

Nell’esprimere soddisfazione per il risultato raggiunto MEDU e la Rete auspicano che all’intervento emergenziale seguano strategie strutturali e sostenibili nel tempo per garantire accoglienza e integrazione ai profughi afgani, senza le quali la problematica si riproporrà nei medesimi termini e con le stesse gravi violazioni dei diritti fondamentali della persona tra alcuni mesi. Questa purtroppo è l’esperienza degli ultimi anni (si vedano le immagini in basso)!

In questo senso MEDU e la Rete hanno avanzato da tempo una serie di proposte concrete alle istituzioni tra cui quella della creazione presso la Stazione Ostiense di un punto di primo orientamento e di assistenza per i profughi afgani e l’avvio di un tavolo interistituzionale che metta in campo risorse e strategie di accoglienza condivise, e in cui a fianco del Comune di Roma e delle altre istituzioni competenti (Ministero dell’Interno,

Regione, Provincia, Municipio) vengano coinvolte la comunità afgana, le associazioni e le istanze della società civile. A questo proposito, durante l’incontro di ieri, è stato raggiunto un accordo per la convocazione, agli inizi di settembre, di un tavolo di concertazione tra l’Assessorato alle politiche sociali, la comunità dei rifugiati afgani e le associazioni.

Nell’attesa che vengano compiuti tutti i passi necessari per garantire un’accoglienza dignitosa e non effimera a chi fugge dalla violenza e dalla guerra, MEDU e la Rete proseguiranno le loro attività di assistenza e di solidarietà con i profughi afgani.

Fonte:Medici per i Diritti Umani

AIDS, l'epidemia silenziosa che consuma i giovani dell'Est


Secondo un nuovo rapporto lanciato dall’UNICEF in Europa orientale e in Asia centrale si sta espandendo a un ritmo allarmante un’epidemia sotterranea di HIV, alimentata dal consumo di droghe, da comportamenti sessuali a rischio e dall’alto livello di stigma sociale che circonda la malattia, scoraggiando le persone dal cercare informazioni su prevenzione e cure.

Il rapporto “Blame and Banishment: the Underground HIV Epidemic Affecting Children in Eastern Europe and Central Asia” sottolinea le difficoltà incontrate dai bambini affetti dall'HIV, dagli adolescenti che hanno comportamenti a rischio, dalle donne in gravidanza che utilizzano droghe e da più di un milione di bambini e adolescenti che vivono o lavorano sulle strade nella regione.

I giovani emarginati sono esposti ogni giorno a numerosi rischi, come il consumo di droga, lo sfruttamento sessuale e altri tipi di abusi e violenze, che comportano un alto rischio di contrarre l'HIV.

Le tendenze sono particolarmente preoccupanti, poiché nella regione si registrano 3,7 milioni di consumatori di droga per via endovenosa - quasi un quarto della popolazione mondiale di tossicodipendenti.

Per molti, l’iniziazione al consumo di droga comincia già in età adolescenziale.

Gli attuali servizi sanitari e di protezione sociale sono inadeguati rispetto ai bisogni degli adolescenti più a rischio, che sono spesso esposti a pregiudizi, discriminazioni e anche ad azioni penali quando cercano informazioni e cure sull’HIV.

«I bambini e gli adolescenti che vivono ai margini della società hanno bisogno di avere accesso ai servizi sanitari e sociali, non di una marcata disapprovazione» ribadisce Anthony Lake, Direttore generale dell'UNICEF.

Per raggiungere e aiutare i giovani HIV-positivi o a rischio di infezione, le autorità mediche e civili devono realizzare servizi ‘amici’, che vadano incontro alle particolari esigenze degli adolescenti emarginati.

Lo stigma associato all’HIV non si limita ad adulti e adolescenti. I bambini sieropositivi si vedono sistematicamente negato l'accesso a scuole e asili, e quando la loro condizione diventa nota devono affrontare rifiuti e violenze.

«Questo rapporto è un appello per proteggere i diritti e la dignità di tutte le persone che vivono o che sono a rischio di contrarre l’HIV, soprattutto i bambini vulnerabili e i giovani» prosegue Lake.

«Abbiamo bisogno di costruire un contesto di fiducia e di cura, non di giudizio e di esclusione Soltanto annullando la discriminazione contro le persone che vivono con l'HIV, l'Europa orientale e Asia centrale può cominciare a invertire la diffusione dell'epidemia
AIDS, le videostorie dei giovani dell'Ucraina.4

Quindici ragazzi (12-18 anni) provenienti dall'Ucraina si sono riuniti – su invito dell’UNICEF e dell’organizzazione non governativa "Rete ucraina delle persone che vivono con l'HIV/AIDS" per partecipare al laboratorio video “OneMinute Jr", un'iniziativa che permette a giovani di tutto il mondo di imparare a realizzare videostorie della durata di un minuto.

I ragazzi che hanno preso parte al laboratorio sono sieropositivi oppure hanno amici o familiari affetti da HIV/AIDS. Ciascuno dei partecipanti ha raccontato in un video da 60’’ l'impatto che la malattia sta avendo sulla sua vita.




La sentenza del processo: niente acqua ai Boscimani!


Indignazione oggi presso l’aula dell’Alta Corte del Botswana dove ai Boscimani è stato negato il diritto all’acqua.

Il giudice ha negato ai Boscimani il diritto di accedere al pozzo esistente nelle loro terre e anche quello di scavarne uno nuovo all’interno della Central Kalahari Game Reserve (CKGR), una delle regioni più aride del mondo. Il caso era stato discusso il 9 giugno alla presenza di molti Boscimani che avevano affrontato un lungo viaggio per raggiungere il tribunale. Poi però il giudice si era riservato di decidere oggi.

La sentenza infligge un’enorme ferita ai Boscimani che lottano per sopravvivere senz’acqua già dal 2002, quando il Governo sigillò il pozzo per indurli ad abbandonare le terre ancestrali. Ma nel 2006, l’Alta Corte definì illegali e incostituzionali gli sfatti forzati operati dal Governo e da allora, a centinaia sono ritornati nella riserva.

Nonostante la sentenza, il governo proibì ai Boscimani di riaprire il pozzo condannandoli ad affrontare quelle che l’alto Commissario per i diritti indigeni dell’ONU James Anaya ha definito “condizioni di vita dure e pericolose a causa dell’impossibilità di accedere all’acqua”. Ma contemporaneamente ha autorizzato l’apertura di un complesso turistico di lusso della Wilderness Safaris dotato di bar e piscina per i turisti, e lo scavo di nuovi pozzi per abbeverare esclusivamente gli animali selvatici con i soldi della Fondazione Tiffany & Co; la Gem Diamonds ha addirittura ottenuto il nulla osta ambientale per aprire una miniera di diamanti nella riserva ma solo a condizione che non sia fornita acqua ai Boscimani.

Ai Boscimani è anche stato proibito di portare acqua dall’esterno ai parenti assetati dentro la CKGR.

Jumanda Gakelebone, portavoce dei Boscimani, ha commentato: “È terribile. Come possiamo sperare di sopravvivere senz’acqua? Il tribunale ci ha autorizzato a vivere nelle nostre terre ma senz’acqua è molto dura”.

Negli ultimi anni, il Botswana è diventato uno dei luoghi più ostili del mondo per i popoli indigeni” ha dichiarato Stephen Corry, direttore generale di Survival. Se ai Boscimani viene negata l’acqua nelle loro terre mentre viene fornita liberamente ai turisti, agli animali e alle miniere di diamanti, beh, allora gli stranieri dovrebbero chiedersi seriamente se possono accettare di sostenere questo regime visitando il paese e acquistando nei suoi negozi di gioielli.”

Fonte:Survival

Greenpeace: nel Santuario delle balene divieto di balenazione


Greenpeace lancia oggi nuovi dati scandalosi sul Santuario dei Cetacei che indicano una forte contaminazione da batteri fecali in alto mare, con livelli che arrivano a superare quelli normalmente tollerati a riva per la balneazione. Proprio nell’area che dovrebbe garantire la tutela di balene e delfini oggi dovremmo mettere cartelli con la scritta “divieto di balenazione”!

Nel Santuario Greenpeace ha potuto, inoltre, registrare - durante il suo ultimo tour nell’agosto 2009 - un notevole traffico navale che in estate può arrivare a una media di circa 200 imbarcazioni al giorno, tra cui navi passeggeri (con traghetti che corrono a ben a oltre 38 nodi!), tanker e cargo, spesso con sostanze pericolose. Questo traffico, per non parlare delle competizioni motonautiche come quella prevista tra l’Isola d’Elba e l’Argentario, rappresenta un fattore di disturbo molto intenso per i cetacei, non solo per il rumore e per le possibili collisioni, ma anche per problemi di contaminazione.

Le analisi delle acque superficiali condotte l’anno scorso nel Santuario confermano le nostre preoccupazioni: delle 28 stazioni campionate ben 6 hanno riscontrato una pesante contaminazione da coliformi e streptococchi fecali, più del 20% dei campioni, in aumento rispetto al 10% dell’anno precedente. Si tratta di batteri tipici degli scarichi fognari, che non dovrebbero essere presenti in alto mare. Eppure in ben 4 campioni i valori accertati sono talmente alti che se ci trovassimo a riva sarebbe vietato fare il bagno. Nessuna sorpresa, quindi, se le osservazioni raccolte durante il nostro ultimo tour sembrano confermare il preoccupante calo di cetacei nel Santuario registrato da Greenpeace, e confermato da altri, nel 2008.

«Questi batteri non possono provenire da scarichi fognari terrestri e la fonte di contaminazione più verosimile – sostiene Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace - sono gli scarichi di grandi navi traghetto e da crociera, che usano il Santuario come vera e propria discarica».

Anche se questi sversamenti sono previsti dalla legislazione vigente, è scandaloso che siano permessi anche in un Santuario dei Cetacei: ancora una volta tutto ciò che vale fuori dal Santuario è valido anche dentro. Greenpeace da anni denuncia che il Santuario dei cetacei è una “scatola vuota”: il piano di gestione sviluppato nel 2004 non è mai stato attuato! Lo scorso novembre all’ultimo incontro delle Parti sembrava che finalmente fossero stati fatti dei passi avanti, con l’approvazione di dieci raccomandazioni per far fronte alle principali problematiche del Santuario. Purtroppo a ben otto mesi dall’incontro nulla è cambiato, anzi da gennaio non esiste più neanche un Segretariato, organo preposto ad amministrare il Santuario.

Considerata l’inerzia del Ministero dell’Ambiente, Greenpeace ha contattato gli Assessori all’Ambiente di Liguria, Toscana e Sardegna esponendo le problematiche legate al traffico navale e chiedendo loro un confronto in tempi rapidi sulla questione degli scarichi delle navi passeggeri e, in generale, dell’impatto ambientale del sistema trasporti nel Santuario.

«L’economia della fascia costiera di Liguria, Toscana e Sardegna dipende dal mare: è ora che le Regioni che si affacciano sul Santuario prendano l’iniziativa per tutelare un patrimonio in pericolo- conclude Monti -. Non possiamo aspettare che tutto il Santuario si trasformi in una fogna e balene e delfini scompaiano prima che si faccia qualcosa».

Il Ministro Prestigiacomo deve fare di più per le balene


«Ci congratuliamo con l’On. Prestigiacomo – commenta Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace - per aver negato l'autorizzazione alla gara di motonautica prevista per fine luglio nelle acque toscane del Santuario, ma per salvare le balene questo non basta È necessario che il Ministero si attivi subito per mettere in atto al più presto un piano di gestione dell’area che ne garantisca la reale tutela».

«Ci congratuliamo con l’On. Prestigiacomo – commenta Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace - per aver negato l'autorizzazione alla gara di motonautica prevista per fine luglio nelle acque toscane del Santuario, ma per salvare le balene questo non basta È necessario che il Ministero si attivi subito per mettere in atto al più presto un piano di gestione dell’area che ne garantisca la reale tutela».

Greenpeace da anni denuncia che il Santuario è un parco di carta: nessuna tutela specifica dell’area, nessun piano di gestione, nessun progetto coerente, nessun controllo mirato. L’area verte in uno stato di totale abbandono come dimostrano gli ultimi studi di Greenpeace nel Santuario: traffico incontrollato e grave contaminazione da batteri fecali!

«Non sorprende che balene e delfini se ne stiano andando dal Santuario. Finora nulla è stato fatto per proteggerli. Ci auguriamo – conclude Monti - che l’intervento di oggi non rimanga isolato, ma segni una chiara volontà del Ministero di proteggere questo patrimonio unico nel Mediterraneo».

Fonte:Greenpeace

martedì 20 luglio 2010

Di Pietro attacca: “Vendola pensi alla Puglia”


Il leader Idv contrario all'autocandidatura a leader del centrosinistra di Nichi, che promette: "Batterò Berlusconi"

Inarrestabile Vendola. Dopo aver lanciato ufficialmente la sua candidatura a leader del centrosinistra, non esita a sfidare Berlusconi per la leadership: “Vincerò le primarie del centrosinistra e batterò Berlusconi. Come faccio a perdere?”. Perché “ha berlusconizzato la nostra società e adesso comincia ad esserne vittima. Lo batterò perché è troppo vecchio”. Oltre ad essere “maschilista” e un po’ “guascone”. Una discesa in campo che pesa e che lascia intendere l’imminenza di possibili elezioni politiche, mentre proprio il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani rilancia la proposta di una “fase di transizione”, cioè un rinvio delle urne dopo un ipotetico post-Berlusconi.

Ma se il Pd, pur accusando il colpo, simula indifferenza e si dichiara più o meno in maggioranza pronto ad accogliere la partecipazione del governatore della Puglia alle primarie, Di Pietro esprime tutta la sua contrarietà, con un affondo che preannuncia battaglia. “Vendola è stato da poco rieletto governatore della Regione Puglia e peraltro è più per demeriti della coalizione del centrodestra che si è divisa che per meriti del centrosinistra che ha guidato nei precedenti 5 anni visto che molti assessori della sua giunta poi sono finiti sotto l’attenzione della magistratura per aver fatto male il loro dovere”, dice ad Affari italiani. E ribadisce al Fatto Quotidiano: “Ci siamo impegnati a farlo eleggere e lo sosteniamo ora, non per aiutarlo nel suo successo personale, ma per governare la Puglia”. D’altra parte il leader dell’Idv non nega la possibilità di candidarsi in prima persona. E non risparmia una stoccata velenosa rispetto all’affermazione del governatore della Puglia che Carlo Giuliani sarebbe un eroe della Repubblica come Borsellino e Falcone, come riportato dal Corriere della Sera (ma poi smentito ieri: “Nessun paragone – dice Vendola a Radio 24 – era il contrario di un’apologia o di una retorica; era semplicemente ricordare cos’è accaduto nel luglio del ’92 e nel luglio del 2001”). “Questa è la dimostrazione del fatto che Vendola ha uno sguardo settoriale – dichiara Di Pietro – Borsellino e Falcone hanno dato la vita per l’Italia, Carlo Giuliani ha partecipato a una manifestazione violenta”.

Alzata di scudi contro Vendola anche dai suoi ex alleati della sinistra radicale: “Discussione faticosa e inutile”, dichiara Diliberto. “Prima di discutere su Nichi Vendola e sulla sua volontà di sparigliare il centrosinistra, dobbiamo chiederci se riusciamo a far cadere Berlusconi”, dice Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione comunista. E intanto Bersani parla di una “fase di passaggio”, che però non sarebbe il governo di larghe intese proposto da Casini, che includeva Berlusconi. Attacca Vendola: “Un discorso dal mio punto di vista poco chiaro, si ha la sensazione che ci sia un giudizio che differenzia l’azione di Tremonti da quella di Berlusconi”.

Da Il Fatto Quotidiano del 20 luglio 2010

mercoledì 14 luglio 2010

CONTRIBUENTI.IT: 2 YACHT SU 3 INTESTATI A NULLATENENTI, +5% NEL 2010.

Crescono a dismisura i poveri possidenti, +5% nel 2010, che vivono spendendo migliaia di euro per beni di lusso e non dichiarano al fisco quello che guadagnano effettivamente. Il 64% degli yachts che circolano in Italia, sono intestati a nullatenenti, o ad arzilli prestanomi ultraottantenni o a società di comodo, italiane o estere per evadere le tasse”. Lo rileva Contribuenti.it – Associazione Contribuenti Italiani che con lo Sportello del Contribuente monitora costantemente il fenomeno dell’evasione fiscale nella bella Penisola. E’ questo il dato diffuso a Capri da Contribuenti.it – Associazione Contribuenti Italiani, all’apertura del secondo simposio internazionale al quale partecipano i massimi rappresentanti delle associazioni dei contribuenti dei principali paesi europei.

Secondo lo studio di Contribuenti.it, elaborato su dati de Lo Sportello del Contribuente e del Ministero delle Finanze, è emerso che la metà degli italiani dichiara non oltre 15.000 euro annui e circa due terzi non più di 20.000 euro; di contro, solo l’1% che dichiara oltre 100 mila euro e lo 0,2% più di 200mila euro.

Una fotografia che strida con i dati relativi ai consumi dei beni di lusso. La spesa per i cosiddetti “passion investiments” è cresciuta in Italia nel 2009 del 2,4% e nel primo semestre del 2010 del 4,8%. I “ricchi nullatenenti ed i poveri possidenti” hanno continuato a destinare nel 2010 buona parte della propria spesa nell’acquisto di beni di lusso tradizionali come auto di grossa cilindrata, yachts, gioielli e oggetti d’arte, nonostante l’introduzione del nuovo redditometro da parte del fisco.

E’ ora di finirla con modeste misure di contrasto all’evasione fiscale, come il nuovo redditometro – afferma Vittorio Carlomagno presidente di Contribuenti.it Associazione Contribuenti Italiani – È necessaria un'illuminante politica di collaborazione con le associazioni dei contribuenti che operano da tempo sul fronte della Tax Compliance, generando una autentica cultura antievasione. Come è accaduto durante la crisi finanziaria del sistema creditizio, è necessario assegnare ai Prefetti un ruolo nel controllo nella lotta all’evasione fiscale con la costituzione di un osservatorio sulla Tax Compliance presso tutte le Prefetture e la partecipazione di tutti i diretti interessati: i rappresentanti delle società, i rappresentati del fisco e degli intermediari, i rappresentanti dei lavoratori ed i rappresentanti dei contribuenti, con il Prefetto che coordinerà il tavolo. L'osservatorio – conclude Carlomagno – dovrà migliorare i rapporti tra fisco e contribuenti, per evitare che l’evasione dilaghi nel nostro paese”.

Fonte: Contribuenti.it

Agenzia di viaggi P3, weekend da sogno per giudici


Dall’anonima Cervinara, cittadina nella bassa Irpinia, l’ex sindaco e geometra Pasquale Lombardi invitava magistrati, politici e intellettuali per i seminari del Centro studi giuridici per l’integrazione europea. Ordinava centinaia di biglietti aerei, bloccava decine di camere d’albergo, chiedeva contribuiti alle istituzioni. E per magia rispondevano. Tutti. La Sardegna con 50 mila euro. Il referente pubblico era l’attuale sottosegretario alla Giustizia, il napoletano Giacomo Caliendo. Il finanziatore occulto era Flavio Carboni, l’uomo dei misteri. Attivissimo da Napoli, l’ex socialista Arcangelo Martino.

La P3 organizzava turismo congressuale: chi può rifiutare due giorni sul mare cristallino di Santa Margherita di Pula, nel clima mite di settembre, per chiacchierare di “Federalismo fiscale”, tema che affascina ben oltre la Padania. Lombardi, Carboni e Martino faticano un’estate intera – siamo nel 2009 – per imbandire la tavola rotonda di Santa Margherita. La previsione di spesa è enorme: i tre prenotano voli di linea da Napoli, Roma e Milano per la Sardegna che costano 46 mila euro. Serve un aiutino, ecco che arriva Ugo Cappellacci. Il 28 agosto, a uffici deserti, il governatore sardo scrive all’assessore e al direttore per gli Affari Generali: “L’attualità del tema trattato assume notevole rilevanza … Si ritiene fondamentale la nostra partecipazione…Nella misura di 50 mila euro”. In Regione s’accorgono che la dicitura “contributo” è illegale, dunque scelgono la forma di “compartecipazione finanziaria”.

Il cenacolo-convegno inizia il 18 settembre al Forte Village, un lussuoso cinque stelle sulla costa: fine settimana con interventi (anche seri) in maniche di camicia, cene di gala e intrattenimento musicale. Le comitive raggiungono Santa Margherita, trovano umile sistemazione in stanze da 247 euro a notte. Francesco Verusio (procuratore del Tribunale di Grosseto) e Vincenzo Carbone (presidente della Cassazione) aprono i lavori, introducono i governatori regionali: il padrone di casa Cappellacci, il lombardo Roberto Formigoni e il campano Antonio Bassolino. E proprio su Bassolino c’è un piccolo enigma: come avrà raggiunto la Sardegna? Non ha pernottato al Forte Village, non era sulle (tre) liste d’imbarco. Ma era nei pensieri di Carboni e Lombardi in un’intercettazione (29 luglio 2009). C: “Stava provvedendo lui (Martino, ndr) per…”. L: “Sì, l’aereo per Bassolino. Ha affittato l’aereo solo per Bassolino”. C: “Viene con aereo privato diciamo!”. Il collega Formigoni dorme soltanto il 18 notte, toccata e fuga anche per Carbone in doppia da 374 euro, Caliendo preferisce il ponte lungo: venerdì, sabato e domenica per mille euro.

Per ricevere l’assegno della Regione sarda, Lombardi deve trasmettere la fattura di 134 mila euro – compresi i 16 mila per la ristorazione – e un allegato su chi alloggiava al Forte Village a carico del Centro studi. Due pagine per un elenco di illustri togati e politici da far ingelosire i maestri dei grandi eventi. C’erano stimati magistrati, ignari dei piani della P3: Oscar Fiumara (avvocato generale dello Stato), Alfonso Marra (presidente Corte d’Appello di Milano), Carlo Alemi (pres. Tribunale di Napoli), Maurizio Meloni (Corte dei Conti), Antonio Guida (pres. Tar Campania), Giandomenico Lepore (procuratore Tribunale di Napoli). E tanti conoscenti della P3 o vittime dell’effetto traino: c’è tizio, non mancherà caio. Il trio ha usato Luca Palamara per adescare i colleghi. Lombardi e soci avevano inserito il nome del capo dell’Associazione nazionale magistrati tra i “partecipanti” – termine neutro non casuale – per un seminario sulla riforma della giustizia (Hotel Excelsior di Napoli, novembre 2008): “Non ho mai conosciuto questi signori né mi hanno mai chiamato”, precisa Palamara. In compenso avevano affidato le conclusioni al cardinale Crescenzio Sepe, indagato per corruzione nell’inchiesta sulla cricca. Il governatore Formigoni era assiduo oratore del Centro studi: prima di Santa Margherita, il Gallia di Milano ha ospitato la P3 nel marzo 2009. Onnipresenti il sottosegretario Caliendo e Antonio Martone, ormai ex avvocato generale in Cassazione. La festa è finita. E gli amici se ne vanno.

Da Il Fatto Quotidiano del 14 luglio 2010

Deltaplano in Umbria - Coppa del Mondo nel Matese


Dal 30 luglio al 8 agosto presso il Monte Cucco (Sigillo, Perugia) l'Italia organizzerà i pre-mondiali di deltaplano, evento propedeutico ai campionati del mondo che si terranno nella stessa località e periodo nel 2011.

Il comprensorio del Monte Cucco è universalmente noto ai cultori del volo libero in deltaplano e parapendio, quello che si effettua senza motore, sfruttando le correnti d'aria ascensionali come propellente.

L'Italia vive un eccellente momento in questa disciplina. Proprio a Sigillo nel 2008 la nazionale ha conquistato il titolo mondiale nella categoria "ali rigide", vale a dire i deltaplani più innovativi e performanti, e l'oro individuale con il trentino Alex Ploner. Il successo è stato bissato nella
categoria "ali flessibili", cioè i deltaplani tradizionali, lo scorso anno in Francia, ancora una volta con Ploner megaglia d'oro ed il team ai vertici mondiali, titoli da difendere l'anno prossimo in Umbria. Italiana anche l'azienda che produce le ali campioni del mondo, la Icaro di Laveno Mombello (Varese).

A San Potito Sannitico (Caserta), dopo le gare in Brasile, Giappone, Cina e Grecia, si è conclusa con gran successo la tappa italiana di Coppa del Mondo di parapendio (PWC).

Il merito va al club Le Streghe che ha portato 125 piloti provenienti da 32 nazioni a volare nell'Appennino centro-meridionale, nel tratto del Massiccio del Matese al confine tra Campania e Molise.

Qui, negli splendidi panorami che dalle aspre pendici del Monte Miletto (2050 m) si aprono sui laghi di Letino e Gallo fino ad abbracciare il mar Tirreno, l'Adriatico ed i monti dell'Abruzzo, il francese Luc Armant e la ceca Renáta Kuhnovà hanno vinto la gara maschile e femminile, seguiti dallo sloveno Alijaz Valic e dal danese Andreas Malecki, il primo, dalla francese Seiko Fukuoka Naville e dall'austriaca Regula Strasser, l'altra. Classifica per nazioni: dopo Francia e Slovenia, l'Italia centra un ottimo terzo posto.

La PWC prosegue con le tappe negli Stati Uniti, Portogallo e la finale di Denizli (Turchia).

venerdì 9 luglio 2010

Rapporto di Amnesty International sul Kenya: la paura di essere aggredite rende le donne prigioniere nelle loro case


Le donne e le ragazze degli insediamenti abitativi precari di Nairobi, la capitale del Kenya, vivono nella costante minaccia di subire violenza sessuale e per questo rinunciano spesso a uscire dalle loro case per usare i servizi igienici e i bagni pubblici. È quanto denunciato oggi da Amnesty International, in un nuovo rapporto intitolato "Sicurezza e dignità negate: la vita delle donne negli insediamenti abitativi precari di Nairobi".

Il rapporto spiega come il mancato inserimento di queste aree nei progetti e nei finanziamenti di sviluppo urbano abbia significato un accesso inadeguato ai servizi igienici, cosa che colpisce in modo particolarmente duro le donne che vi risiedono.

"Queste donne diventano prigioniere nelle loro case durante la notte e talvolta anche prima del tramonto. Poiché necessitano di maggiore riservatezza rispetto agli uomini per andare in bagno o fare una doccia, l'inaccessibilità di questi servizi le pone a rischio di stupro e le costringe a restare intrappolate in casa" - ha dichiarato Godfrey Odongo, ricercatore di Amnesty International sull'Africa orientale. "Il fatto che non siano in grado neanche di accedere ai pochi servizi pubblici igienici esistenti le espone al rischio di malattie".

La situazione è aggravata dall'assenza di forze di polizia negli insediamenti abitativi precari. Quando le donne subiscono violenza, è improbabile che riescano a ottenere giustizia. A Kibera, l'insediamento più grande di Nairobi con un milione di abitanti, non c'è un posto di polizia.

"Avevo sempre sottovalutato la minaccia della violenza. Andavo abitualmente alle latrine, salvo quando si era fatto troppo tardi. Questo fino a due mesi fa quando ho rischiato di essere stuprata" - ha dichiarato Amina, 19 anni, dell'insediamento abitativo precario di Mathare.

Alle 7 di sera, Amina è stata circondata da quattro uomini, che l'hanno picchiata e spogliata. Solo le sue grida, che hanno richiamato l'attenzione dei vicini, hanno scongiurato lo stupro. Sebbene conoscesse uno degli uomini, Amina non lo ha denunciato per timore di ritorsioni.

Nell'impossibilità di lasciare le loro case di una sola stanza dopo il tramonto, molte abitanti degli insediamenti informali ricorrono alle "toilette volanti", buste di plastica che vengono poi lanciate fuori per disfarsi del contenuto. Le precarie condizioni igieniche in cui vivono, dovute anche alla grande quantità di escrementi umani depositati all'aperto a causa dell'inadeguato accesso ai servizi igienici, contribuiscono direttamente all'insorgere di malattie e agli elevati costi delle spese mediche.

Altre donne hanno raccontato ad Amnesty International quanto sia umiliante lavarsi di fronte ai parenti e ai bambini.

Anche alla luce del giorno, i bagni pubblici sono scarsi e molto lontani. Secondo fonti ufficiali, solo il 24 per cento degli abitanti degli insediamenti informali di Nairobi ha accesso a servizi igienici in casa.

Nonostante alcuni elementi positivi, le politiche adottate del Kenya riguardo ai risultati prefissati dagli Obiettivi di sviluppo del millennio non tengono conto delle specifiche necessità delle donne che vanno incontro alla violenza a causa della mancanza di servizi igienici adeguati e non affrontano la mancata applicazione delle direttive che impongono ai proprietari delle case e dei terreni di fornire questi servizi.

"C'è una differenza profonda tra quello che il governo dice di voler fare e quello che succede ogni giorno negli insediamenti abitativi precari" - ha sottolineato Odongo. "Le politiche nazionali del Kenya riconoscono il diritto ai servizi igienici, attraverso leggi e regolamenti in vigore. Tuttavia, a causa di decenni di mancato riconoscimento ufficiale degli insediamenti, in queste aree quelle leggi e quei regolamenti non vengono applicati, permettendo ai proprietari delle case e dei terreni di evitare ogni sanzione per non aver messo a disposizione bagni e docce".

Nonostante le politiche nazionali sulla terra, l'incertezza sui titoli legali costituisce a sua volta un problema perdurante per gli abitanti e fa sì che i proprietari delle case e dei terreni non abbiano alcun incentivo a fornire servizi igienici adeguati e a incrementare le misure di sicurezza.

Amnesty International chiede al governo del Kenya di rendere più vincolanti le norme che impongono ai proprietari di costruire servizi igienici e bagni negli insediamenti, anche attraverso contributi economici ai proprietari non in grado di sostenerne i costi.

Il governo deve inoltre adottare misure immediate per migliorare la sicurezza, l'illuminazione e le attività di polizia e garantire che le autorità competenti agiscano in modo coordinato per migliorare la fornitura di acqua e di servizi igienici negli insediamenti.

Entrambi i rapporti fanno parte della campagna globale "Io pretendo dignità", che intende porre fine alle violazioni dei diritti umani che creano e acuiscono la povertà. Nell'ambito di questa campagna, Amnesty International chiede a tutti i governi di porre fine agli sgomberi forzati, garantire eguale accesso ai servizi pubblici per le persone che vivono negli insediamenti abitativi precari e assicurarne la partecipazione attiva alle decisioni riguardanti le loro vite.

Inter for Emergency: la Champions League per i bambini di Goma,nella Repubblica Democratica del Congo

Ancora una volta, F. C. Internazionale affianca e sostiene Emergency. Lo fa attraverso il simbolo vincente della Uefa Champions League 2009-2010, che verrà esposta al pubblico nella Sala delle Colonne della Banca Popolare di Milano.

Dall'8 al 21 luglio weekend inclusi, dalle ore 10 alle 21 (il 14 luglio fino alle ore 17), i tifosi potranno scattare la loro foto ricordo con la Coppa dei Campioni d'Europa e al tempo stesso donare il proprio contributo a favore della costruzione di un Centro pediatrico per offrire assistenza sanitaria ai bambini fino a 14 anni di età a Goma, nella Repubblica Democratica del Congo, in un'area dove la guerra ha portato 500 mila profughi.

Il Centro, che fa parte della Rete regionale di pediatria e cardiochirurgia che Emergency sta costruendo in Africa, sarà attrezzato anche con un ambulatorio cardiologico per lo screening dei pazienti affetti da cardiopatie congenite e acquisite, da trasferire per l'intervento al Centro Salam di cardiochirurgia di Khartoum, aperto da Emergency nel 2007.

Bastano 5 euro per contribuire a questo progetto, 10 se si desidera che la foto venga scattata e stampata da un fotografo professionista a disposizione del pubblico.

Per sostenere il Centro pediatrico di Emergency a Goma:
INTER FOR EMERGENCY
Dall'8 al 21 luglio
Tutti i giorni, dalle 10 alle 21 - il 14 luglio fino alle ore ore 17
Esposizione della Coppa della Champions League
Sala delle Colonne della Banca Popolare di Milano, via San Paolo 12, Milano
Conto corrente bancario intestato a EMERGENCY presso Banca Popolare di Milano n. 63500
IBAN IT37 O 05584 01600 000000063500
BIC BPMIITMM300

Fonte: Emergency