lunedì 31 maggio 2010

Amnesty International chiede un'indagine sull'uccisione degli attivisti a bordo della flotta diretta a Gaza.


Amnesty International ha chiesto al governo israeliano di aprire un'inchiesta immediata, credibile e indipendente sull'uccisione, compiuta dalle sue forze armate, di almeno 10 attivisti a bordo di una flotta che protestava contro il blocco della Striscia di Gaza.

"Appare chiaro che le forze israeliane hanno fatto ricorso alla forza eccessiva" - ha dichiarato Malcolm Smart, direttore del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International. "Israele afferma che le sue forze hanno agito per autodifesa, essendo state attaccate, ma non è credibile sostenere che il livello di forza letale impiegato fosse giustificabile. Esso appare del tutto sproporzionato rispetto alla minaccia affrontata".

Amnesty International ha chiesto alle autorità israeliane di rendere subito pubbliche le regole d'ingaggio impartite alle truppe che hanno compiuto questo attacco letale.

"Gli attivisti sulle navi avevano reso evidente che il loro scopo primario era quello di protestare contro il continuo blocco di Gaza, che costituisce una punizione collettiva e, in quanto tale, una violazione del diritto internazionale" - ha proseguito Smart.

Da circa tre anni Israele, che è la potenza occupante della Striscia di Gaza, attua una politica che impedisce ogni movimento di cose e persone, con l'eccezione dei beni più indispensabili dal punto di vista umanitario, che vengono importati da agenzie di aiuti internazionali. Solo una parte dei pazienti che hanno bisogno di cure mediche fuori da Gaza viene autorizzata a uscirne. Decine di persone sono morte mentre attendevano l'autorizzazione a viaggiare da parte israeliana.

"Il blocco non è diretto contro i gruppi armati, piuttosto punisce l'intera popolazione di Gaza limitando l'ingresso di cibo, forniture mediche, materiale scolastico e da costruzione. Non sorprende, quindi, che il suo impatto si ripercuota sulla parte più vulnerabile della popolazione di Gaza: i bambini e le bambine, le persone anziane e quelle ammalate" - ha proseguito Smart.

"Il blocco costituisce una punizione collettiva ai sensi del diritto internazionale e dev' essere rimosso immediatamente" - ha concluso Smart.

Israele ha l'obbligo di diritto internazionale di assicurare il benessere della popolazione di Gaza, compresi i diritti alla salute, all'istruzione, al cibo e a un alloggio adeguato.

Fonte: Amnesty International

sabato 29 maggio 2010

ROMA: RAGAZZO GAY AGGREDITO IN VIA CAVOUR, HA RISCHIATO UN OCCHIO


Gli hanno urlato frocio, frocio e poi lo hanno colpito ripetutamente con calci e pugni all’addome e al volto fino a farlo cadere. E’ accaduto – afferma Fabrizio Marrazzo, presidente di Arcigay Roma - nella notte tra martedì 25 e mercoledì 26 maggio, tra l’1.30 e le 2 a S., un ragazzo romano di 22 anni, nei pressi di via Cavour (via del Fagutale). Il ragazzo aggredito si è rivolto a Gay Help Line 800.713.713, il numero verde antiomofobia per denunciare l’episodio e ha deciso di sporgere denuncia grazie al servizio di assistenza legale gratuita che la nostra associazione mette a disposizione”.

Gli aggressori - aggiunge il responsabile dell’Ufficio Legale di Gay Help Line, Daniele Stoppello – quattro italiani tra i 25 e i 30 anni, dopo averlo lasciato privo di sensi per terra, gli hanno poi sottratto il cellulare con il quale, prima di essere colpito era al telefono con un amico al quale è riuscito a chiedere aiuto e che lo ha poi raggiunto sul luogo della violenza. Il ragazzo aggredito è stato ricoverato d’urgenza in Ospedale, riportando diverse ferite, tagli e contusioni al volto (in allegato le foto) e rischiando di perdere l’occhio. Le lesioni riportate dal mio assistito sono gravissime. E’ necessario fare piena luce su questa vicenda e, per questo, forniremo tutti i dettagli e gli elementi utili agli inquirenti perché siano trovati i responsabili”.

Facciamo davvero un appello alle Forze dell’Ordine – conclude Marrazzo – perché rintraccino i colpevoli di questa aggressione così violenta: sono troppi i casi di omofobia di cui non sono stati individuati i responsabili, come, ad esempio, la coppia di ragazzi gay aggredita a Campo de’ Fiori, quella aggredita ai Fori Imperiali e il ragazzo aggredito al bus notturno qualche settimana fa. C’è da notare, inoltre, che gli aggressori sono sempre più spesso giovani. Le Istituzioni si impegnino davvero quanto prima a mettere in campo una campagna di formazione ed educazione contro l’omofobia e la transfobia a partire dalle scuole come avviene in molti altri Paesi europei. E’ necessario che la comunità lesbica, gay e trans e la città reagiscano a questo ennesimo episodio di violenza”.

Fonte:ArcigayRoma

01. Afghanistan / Crisi Dimenticate - Medici Senza Frontiere


venerdì 28 maggio 2010

ANCORA VITTIME E MIGLIAIA DI SFOLLATI IN FUGA DAGLI ASPRI COMBATTIMENTI A MOGADISCIO


Sono oltre 17mila i civili costretti ad abbandonare le proprie abitazioni nella capitale somala Mogadiscio durante il mese di maggio. Oltre 14.300 sono fuggiti solo nelle ultime due settimane in seguito ai nuovi pesanti combattimenti fra le truppe del Governo Federale di Transizione, sostenute dalla AMISOM (Corpi di Pace dell’Unione Africana), e i gruppi armati di opposizione.

E’ con grave preoccupazione che l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha registrato un’impennata nel numero di vittime e di sfollati negli ultimi 14 giorni. Secondo i rapporti ricevuti, almeno 60 persone sarebbero state uccise e oltre 50 ferite negli scontri urbani. Si stima che dall’inizio dell’anno siano circa 200mila i somali sfollati.

La maggior parte dei somali, circa 9.300 persone, che hanno dovuto lasciare le proprie abitazioni nelle ultime due settimane sono rimasti nella capitale. Mogadiscio ospita già oltre 350mila sfollati interni. Secondo i rapporti forniti all’UNHCR dai suoi partner, il numero di famiglie sfollate che vivono nelle strade della città in condizioni estreme sta gradualmente crescendo. Molte di queste famiglie vivono situazioni disperate, bloccate nella città sotto assedio. Non possono permettersi il trasferimento nei campi di fortuna sorti nel corridoio di Afgooye che già ospitano 366mila sfollati interni a soli 15 km a ovest di Mogadiscio.

Le famiglie più fortunate sono ospitate da parenti o amici che vivono nei più sicuri dintorni della capitale. Comunque il sovraffollamento è tale che in media tre famiglie devono dividersi un unico alloggio. Secondo i partner dell’UNHCR molti altri sfollati vivono nelle strade di Mogadiscio, riparati solo da teli di plastica o qualsiasi altro materiale riescano a reperire per avere un tetto sulla testa. Sono queste le persone più vulnerabili e dipendenti dagli scarsi aiuti che le agenzie umanitarie riescono a fornire e dagli esigui contributi che ricevono dai parenti che si trovano all’estero. Centinaia di bambini sono costretti a chiedere l’elemosina per le strade della capitale e molte donne fanno lo stesso nei mercati principali.

I partner dell’UNHCR presenti nella capitale somala riferiscono che la gente è esausta, tesa e affamata, ma continua ad ascoltare la radio nella speranza di apprendere la notizia della fine degli scontri.

La Somalia è uno dei paesi che generano il più elevato numero di sfollati nei mondo. Si stima che ci siano 1 milione e 400mila sfollati interni nel paese, mentre oltre 580mila vivono nei paesi confinanti come rifugiati.

Il 43% circa della popolazione somala vive al di sotto della soglia di povertà estrema e un bambino su sette muore prima dei 5 anni.

Fonte: UNHCR

Summit con la Russia: oserà l'Unione europea sollevare il tema delle violazioni dei diritti umani?


In una lettera inviata oggi a Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio dell'Unione europea (Ue), e alla presidenza di turno spagnola, Amnesty International ha chiesto che il tema delle violazioni dei diritti umani sia al centro del summit Ue-Russia in programma lunedì 31 maggio a Rostov sul Don. La lettera fa riferimento in particolare alle estese violazioni dei diritti umani nel Caucaso del Nord e al deterioramento della libertà d'espressione, soprattutto dei difensori dei diritti umani.

Secondo Amnesty International, l'Ue dovrebbe rafforzare il legame tra questi incontri con la Russia e le Consultazioni Ue-Russia sui diritti umani, gestite attualmente come due processi distinti. Di conseguenza, le questioni relative ai diritti umani non vengono approfondite in modo adeguato in occasione degli incontri tra i leader russi e quelli dell'Ue.

"Non è accettabile che i diritti umani siano considerati un aspetto secondario. Il rispetto della libertà d'espressione, il legittimo lavoro dei difensori dei diritti umani, il diritto a un processo equo e la protezione dalle minacce di morte non possono essere sottoposti a compromessi e subordinati a qualsiasi altro aspetto politico" - ha dichiarato Nicolas Beger, direttore dell'Ufficio di Amnesty International presso l'Ue.

Un altro tema di grande preoccupazione che i leader dell'Ue dovrebbero affrontare è l'estesa dimensione delle violazioni dei diritti umani nel Caucaso del Nord. Le frequenti operazioni antiterrorismo in Cecenia, Daghestan e Inguscezia danno luogo ad arresti arbitrari, maltrattamenti e uccisioni illegali. I rappresentanti delle Organizzazioni non governative e i giornalisti che operano in questa regione vanno incontro a minacce e intimidazioni.

"Le violazioni in corso nel Caucaso del Nord sono la prova che la situazione dei diritti umani in Russia deve essere oggetto di monitoraggio internazionale e che l'Ue deve sollevare la questione in modo coerente in ogni occasione utile. Vi sono segnali che la situazione per i difensori dei diritti umani e gli attivisti della società stia peggiorando, anziché migliorare" - ha concluso Beger.

Fonte: Amnesty International

Appello di Survival a Obama: ci aiuti a proteggere le tribù incontattate del Perù


Survival International ha chiesto al Presidente Obama di aiutarla a proteggere le tribù incontattate del Perù in occasione del suo incontro con il Presidente peruviano Alan Garcia previsto per il primo giugno prossimo.

Survival ha scritto a Obama descrivendogli le minacce poste alla sopravvivenza di due delle ultime tribù incontattate del mondo dalla costruzione di un oleodotto petrolifero in una remota regione dell’Amazzonia peruviana.

A beneficiare dell’infrastruttura saranno la ConocoPhillips e il gigante petrolifero ispano-argentino Repsol-YPF. Entrambe le compagnie sperano di poter effettuare prospezioni petrolifere nella regione in cui queste tribù vivono e per trasportare il greggio dalla foresta del Perù alla costa del Pacifico avranno bisogno dell’oleodotto. A costruirlo dovrebbe essere l’anglo-francese Perenco.

“La sollecitiamo ad appellarsi al Presidente Garcia per fermare la costruzione dell’oleodotto e a proibire a compagnie come la ConocoPhillips di lavorare nell’area, e in qualunque altra area in cui vivano tribù incontattate” si legge nella lettera di Survival a Obama. “Lavorare in quelle aree costituisce una flagrante violazione dei diritti delle tribù sia secondo la legge internazionale sia secondo la dichiarazione ONU dei diritti dei popoli indigeni, e mette a rischio la vita di alcuni tra i popoli più vulnerabili del pianeta.”

L’incontro previsto tra i presidenti Obama e Garcia alla Casa Bianca giunge poco dopo una dichiarazione dell’ambasciatore USA alle Nazioni Unite, Susan Rice, che ha annunciato l’intenzione degli Stati Uniti di rivedere la propria posizione sulla Dichiarazione ONU dei popoli indigeni.

Il Presidente Garcia ha pubblicamente definito l’esistenza delle tribù incontattate “un’invenzione” degli ambientalisti. Mentre portavoce di Perenco, Repsol-YPF e ConocoPhillips hanno tutti affermato che le tribù non esistono.

Fonte:Survival

giovedì 27 maggio 2010

Survival URGENTE: Esercito del Botswana e polizia irrompono nella riserva dei Boscimani


Camion di poliziotti e militari hanno fatto irruzione oggi nella riserva dei Boscimani della Central Kalahari Game Reserve. Survival ritiene che si tratti di un atto intimidatorio verso i Boscimani, e forse anche di un tentativo di sfrattarli nuovamente perché:

1) la Gem Diamonds intende aprire una miniera di diamanti nelle loro terre;

2) l’Alta Corte del Botswana sta per aprire il processo intentato dai Boscimani per ripristinare il loro pozzo dell’acqua, cementato dalle autorità.

Per favore, scrivi subito una mail al presidente Ian Khama all’indirizzo op.registry@gov.bw chiedendo al Governo del Botswana di porre immediatamente fine alle violazioni dei diritti dei Boscimani. Scrivi pure in italiano.

La denuncia nel nuovo rapporto di Medici Senza Frontiere.Il taglio degli aiuti finanziari mina l'accesso alle cure contro l'HIV/AIDS in Africa


La riduzione degli impegni finanziari da parte dei paesi donatori nei confronti della lotta all’HIV/AIDS, rischia di minare i progressi fatti negli ultimi anni e causare molte più morti inutili.

È la denuncia che Medici Senza Frontiere (MSF) esprime nel nuovo rapporto dal titolo “No time to quit: HIV/AIDS treatment gap widening in Africa” (“Non c’è tempo da perdere: peggiora l’accesso alle cure per l’HIV/AIDS in Africa). Il rapporto si fonda su analisi portate avanti in otto paesi dell’Africa sub-sahariana e illustra come la maggior parte delle istituzioni internazionali che erogano fondi come PEPFAR, Banca Mondiale, UNITAID e i paesi che finanziano il Fondo Globale, da un anno e mezzo abbiano deciso di tagliare, ridurre o interrompere i loro finanziamenti per le cure e i farmaci antiretrovirali (ARV) contro l’HIV.

Come è possibile interrompere la sfida a metà strada e far finta che la crisi sia passata? Nove milioni di persone in tutto il mondo hanno urgente bisogno di cure e non hanno accesso a farmaci salvavita, due terzi di loro nella sola Africa sub-sahariana. Esiste un reale rischio che molti pazienti muoiano nei prossimi anni se non verranno fatti i passi necessari per affrontare il problema. L’ulteriore riduzione degli aiuti impedirà ad un numero maggiore di persone l’accesso alle cure e metterà a rischio tutti i progressi fatti dall’introduzione dei farmaci antiretrovirali ad oggi”, avverte Mit Philips, analista delle politiche sulla salute per MSF e tra gli autori del rapporto.

Il Piano di emergenza per l’AIDS della Presidenza degli Stati Uniti (PEPFAR) ha ridotto il suo budget per l’acquisto di farmaci antiretrovirali nel 2009 e 2010, e ha bloccato il budget complessivo. Altri donatori, come UNITAID e la Banca Mondiale, hanno annunciato riduzioni negli investimenti dei prossimi anni per i farmaci antiretrovirali in Malawi, Zimbabwe, Mozambico, Uganda e Repubblica Democratica del Congo (RDC).

Anche il Fondo Globale per l’HIV, Tubercolosi e Malaria - la più grande istituzione finanziaria per la lotta all’HIV - sta fronteggiando un calo dei finanziamenti. Stati Uniti, Olanda e Irlanda hanno già annunciato che diminuiranno le loro quote contributive annuali. L’Italia è in arretrato con il pagamento della quota per il 2009. Tra il 2009 e il 2010, gli stanziamenti già approvati si sono ridotti dell’8-12%.

I tagli generalizzati si sono tradotti nella riduzione del numero di persone in grado di iniziare un trattamento antiretrovirale, in Sudafrica, Uganda e Repubblica Democratica del Congo, dove il numero dei nuovi pazienti che hanno iniziato le cure è diminuito di ben sei volte. Sistemi sanitari già fragili verranno portati allo stremo, a causa di un sempre maggior numero di pazienti che richiederanno un’assistenza più specialistica per l’insorgenza di patologie opportuniste.

L’esaurimento delle scorte e la sospensione nella distribuzione dei medicinali sono già una realtà e diventeranno sempre più frequenti se non saranno disponibili fondi a sufficienza. Recentemente alcuni governi e altri soggetti in Malawi, Zimbabwe, RDC, Kenya e Uganda, hanno fatto diretta richiesta a MSF di forniture straordinarie di medicinali.

Una riduzione dei finanziamenti provocherà la morte di molte più persone e l’aumento del numero degli orfani. I pazienti sieropositivi spesso devono accudire altre persone, in primo luogo i propri bambini. Perderanno la speranza e moriranno. Senza medicinali non c’è futuro”, dichiara Catherine Mango, una donna sieropositiva del Kenya.

I farmaci antiretrovirali evitano che la malattia precipiti, facendo sì che i pazienti vivano più a lungo. Ciò significa che il numero dei pazienti in cura aumenta ogni anno. Per questo è necessario un incremento costante e stabile dei finanziamenti.

L’HIV/AIDS è un’emergenza sanitaria globale che richiede ancora una risposta eccezionale. MSF chiede un rinnovato e continuo impegno da parte dei donatori e dei governi nazionali nella lotta all’HIV/AIDS, affinché tale disastrosa emergenza di salute pubblica possa essere affrontata in maniera adeguata”, conclude Mit Philips.

Fonte:MSF

L'UNICEF sul caso Omar Khadr: ingiusto processare ex bambini soldato


Dichiarazione del neo direttore Anthony Lake alla vigilia del processo per il detenuto afghano, detenuto dal 2002 a Guantanamo per l'accusa di atti di terrorismo commessi all'età di 15 anni: il tribunale incapace di garantire le tutele previste dal diritto internazionale.

L’UNICEF esprime preoccupazione per l’imminente processo nei confronti di Omar Khadr, detenuto nella base di Guantanamo.

Omar Khadr era stato arrestato in Afghanistan nel 2002 con l’accusa di avere commesso crimini terroristici quando aveva 15 anni. Omar è l’ultimo bambino soldato ancora in carcere a Guantanamo.

Il reclutamento e l’impiego di minori nelle ostilità è un crimine di guerra, e gli adulti che se ne rendono responsabili devono essere puniti. I bambini così coinvolti ne sono vittime, e agiscono sotto coercizione.

Come l’UNICEF ha ripetutamente affermato in altre dichiarazioni sull’argomento, i minori combattenti hanno bisogno di assistenza per essere recuperati e reintegrati nelle comunità di appartenenza, e non di processi o condanne.

Il procedimento contro Omar Khadr rischia di creare un grave precedente internazionale a svantaggio di altri minori vittime di reclutamento nei conflitti armati.

Nel momento in cui le
Nazioni Unite celebrano il decimo anniversario dell’approvazione del Protocollo opzionale sul coinvolgimento dei minori nei conflitti armati, chiediamo ai Governi di tutti gli Stati che hanno ratificato questo trattato – inclusi gli Stati Uniti – di far rispettare lo spirito del Protocollo e di tutte le sue norme.

Inoltre, chiunque sia perseguito per reati che si ritiene siano stati commessi quando era minorenne dovrebbe essere trattato secondo i principi basilari della giustizia minorile internazionale, che prevede una protezione speciale per tali soggetti.

Omar Khadr non dovrebbe essere processato da un tribunale che non è attrezzato né ha ricevuto un mandato per fornire questo genere di tutela e per rispettare questi principi
”.

Fonte: UNICEF

Stop alle trivellazioni in Alaska, ma denunciati gli attivisti di Greenpeace


E’ una vittoria per l’ambiente la decisione, che dovrebbe essere annunciata ufficialmente domani dal Presidente Barack Obama, di sospendere le trivellazioni in Alaska fino al 2011. Intanto, però, si consuma l’ennesimo paradosso. Mentre il petrolio nel Golfo del Messico continua a fare danni, a essere incriminati sono gli attivisti di Greenpeace, che tre giorni fa si sono sollevati contro l’industria del petrolio chiedendo al governo di fermare le perforazioni offshore, e non la BP.

Il 24 maggio Greenpeace aveva protestato proprio contro i piani di esplorazioni petrolifere nell’Artico. Sette attivisti erano saliti a bordo della Harvey Explorer a Port Fourchon, in Louisiana, utilizzando il petrolio sversato per scrivere ponte sulla fiancata della nave “Artic next”? “Sarà l’Artico il luogo del prossimo disastro?” La nave era, infatti, stata ingaggiata dalla Shell che a Luglio avrebbe dovuto iniziare esplorazioni petrolifere proprio in Alaska.
Gli attivisti, tutti arrestati dopo l’azione, sono stati rilasciati ma incriminati pesantemente.

"Si tratta di una reazione assolutamente sproporzionata di fronte a una protesta pacifica. – commenta Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace- E’ assurdo che si utilizzi una tale severità contro chi protesta in maniera pacifica mentre nessun responsabile della BP è stato incriminato per la devastazione causata nel Golfo del Messico".

Greenpeace, che è presente con una squadra di esperti nel Golfo del Messico, oggi diffonde nuove immagini sugli effetti del disastro, come quelle dei pellicani bruni, uccello simbolo della Louisiana, ricoperti di catrame.

"E’ ormai evidente a tutti che i rischi legati a questo tipo di operazioni sono troppo alti sia per l’ambiente che per le popolazioni.- Spiega Monti- Eppure questo disastro sembra stia insegnando ben poco ai governi. Bloccare le perforazioni nell’Artico fino al 2011 è sicuramente un passo importante, ma nel Golfo del Messico dopo l’affondamento della Deepwater Horizon sono state concessi almeno diciannove permessi di trivellazione. Per proteggere i nostri oceani e il futuro del nostro pianeta, è necessario fermare definitivamente ogni progetto offshore e abbandonare la strada dei combustibili fossili".

Fonte:Greenpeace

Amnesty International presenta il Rapporto Annuale 2010: "Le lacune della giustizia globale sono una condanna per milioni di persone"


Nonostante il 2009 sia stato un anno fondamentale per la giustizia internazionale, le lacune esistenti nella giustizia globale sono state acuite dal potere della politica. È quanto affermato da Amnesty International, che ha presentato oggi il Rapporto Annuale 2010.

Nella sua analisi sulla situazione dei diritti umani nel mondo nel periodo gennaio - dicembre 2009, Amnesty International segnala violazioni in 159 paesi e punta il dito contro quei governi potenti che stanno bloccando i passi avanti della giustizia internazionale, ponendosi al di sopra delle norme sui diritti umani, proteggendo dalle critiche gli alleati e agendo solo quando politicamente conveniente.

"La repressione e l'ingiustizia prosperano nelle lacune della giustizia globale, condannando milioni di persone a una vita di violazioni, oppressione e violenza" - ha dichiarato Christine Weise, presidente della Sezione Italiana di Amnesty International, nel corso della presentazione del Rapporto annuale (pubblicato in Italia da Fandango Libri), che si è svolta questa mattina presso l'Associazione della Stampa Estera di Roma.

"I governi devono assicurare che nessuno si ponga al di sopra della legge e che ogni persona abbia accesso alla giustizia, per tutte le violazioni dei diritti umani subite. Fino a quando i governi non smetteranno di subordinare la giustizia agli interessi politici, la libertà dalla paura e dal bisogno rimarrà fuori dalla portata della maggior parte dell'umanità" - ha affermato Weise.

L'organizzazione per i diritti umani ha pertanto rinnovato la richiesta ai governi di garantire che renderanno conto del loro operato, dare piena adesione alla Corte penale internazionale e assicurare che i crimini di diritto internazionale saranno sottoposti a procedimenti giudiziari ovunque nel mondo. Agli stati che rivendicano una leadership globale, tra cui quelli del G20, compete la responsabilità specifica di dare l'esempio.

Il mandato di cattura emesso nel 2009 dalla Corte penale internazionale nei confronti del presidente del Sudan, Omar Hassan Al Bashir, per crimini di guerra e contro l'umanità, è stato un evento epocale che ha dimostrato che anche un capo di stato in carica non è al di sopra della legge. Tuttavia, il rifiuto da parte dell'Unione africana di cooperare, nonostante la terribile violenza che ha colpito centinaia di migliaia di persone nel Darfur, è stato un crudo esempio di come i governi antepongano la politica alla giustizia.

A sua volta, la paralisi del Consiglio Onu dei diritti umani sullo Sri Lanka, nonostante il governo e le Tigri per la liberazione della patria Tamil si siano resi responsabili di gravi violazioni dei diritti umani e possibili crimini di guerra, è stata la prova dell'inazione della comunità internazionale nei momenti di bisogno. Infine, le raccomandazioni del rapporto Goldstone per accertare le responsabilità di quanto accaduto nel conflitto di Gaza attendono ancora di essere tenute in conto da parte di Israele e Hamas.

A livello mondiale, le lacune della giustizia hanno rafforzato un pernicioso reticolo di repressione. Le ricerche di Amnesty International hanno documentato torture e altri maltrattamenti in almeno 111 paesi, processi iniqui in almeno 55 paesi, restrizioni alla libertà di parola in almeno 96 paesi e detenzioni di prigionieri di coscienza in almeno 48 paesi.

Gli organismi per i diritti umani e le attiviste e gli attivisti che li difendono sono finiti sotto attacco in molti paesi, i cui governi hanno impedito loro di lavorare od omesso di fornire protezione.

Nella regione Medio Oriente e Africa del Nord, l'intolleranza dei governi nei confronti delle critiche è stata sistematica in Arabia Saudita, Siria e Tunisia e la repressione è aumentata in Iran. In Asia, il governo della Cina ha esercitato ancora più pressione verso chi provava a sfidare la sua autorità, attraverso arresti e intimidazioni di difensori dei diritti umani. Migliaia di persone, a causa della forte repressione e delle difficoltà economiche, hanno lasciato la Corea del Nord e Myanmar.

Lo spazio per le voci indipendenti e per la società civile si è ridotto in alcune parti della regione Europa e Asia centrale: inique limitazioni alla libertà d'espressione hanno avuto luogo in Azerbaigian, Bielorussia, Russia, Turchia, Turkmenistan e Uzbekistan. Il continente americano è stato tormentato da centinaia di omicidi illegali commessi dalle forze di sicurezza in vari paesi tra cui Brasile, Colombia, Giamaica e Messico, mentre negli Stati Uniti d'America è proseguita l'impunità per le violazioni dei diritti umani compiute nel contesto della lotta al terrorismo.

Governi africani, come quelli di Guinea e Madagascar, hanno affrontato il dissenso con un uso eccessivo della forza e omicidi illegali, mentre le voci critiche sono state oggetto di repressione, tra gli altri, in Etiopia e Uganda.

Un impietoso disprezzo per le popolazioni civili ha caratterizzato i conflitti. Gruppi armati e forze governative hanno violato il diritto internazionale nella Repubblica Democratica del Congo, nello Sri Lanka e nello Yemen. Nel conflitto di Gaza e del sud d'Israele, le forze israeliane e i gruppi armati palestinesi hanno ucciso e ferito illegalmente i civili. Migliaia di persone hanno subito le conseguenze dell'escalation di violenza da parte dei talebani in Afghanistan e Pakistan, così come degli scontri in Iraq e Somalia. Nella maggior parte dei conflitti, le donne e le bambine sono state stuprate o sottoposte ad altre forme di violenza da parte delle forze governative e dei gruppi armati.

Tra gli altri dati che emergono dal Rapporto annuale 2010 di Amnesty International, si segnalano:

•gli sgomberi forzati di massa in Africa, come in Angola, Ghana, Kenya e Nigeria, che spesso hanno fatto sprofondare ancora di più le persone colpite nella povertà;

• l'aumento delle denunce di violenza domestica contro le donne, degli stupri, degli abusi sessuali, degli omicidi e mutilazioni successivi agli stupri in El Salvador, Giamaica, Guatemala, Honduras e Messico;

• lo sfruttamento, la violenza e le violazioni che milioni di migranti della regione Asia e Pacifico hanno subito in paesi come Corea del Sud, Giappone e Malesia;

• il profondo aumento del razzismo, della xenofobia e dell'intolleranza nella regione Europa e Asia centrale;

• gli attacchi compiuti da gruppi armati in alcuni casi apparentemente affiliati ad al-Qaeda, che in paesi come Iraq e Yemen hanno acuito l'insicurezza.

La dimensione globale di milioni di persone spinte nella povertà dalle crisi alimentare, energetica e finanziaria, ha dimostrato l'urgente bisogno di contrastare gli abusi che determinano la povertà.

"I governi devono essere chiamati a rispondere per le violazioni dei diritti umani che causano e aumentano la povertà. La Conferenza Onu di revisione degli Obiettivi di sviluppo del millennio, che si terrà a New York a settembre, costituirà un'opportunità per i leader del mondo per passare dalle promesse a impegni vincolanti" - ha proseguito Weise.

Sulle donne, in particolare quelle povere, si abbatte il peso dell'incapacità dei governi di realizzare questi Obiettivi. Si stima che le complicazioni legate alla gravidanza siano costate la vita a circa 350.000 donne. La mortalità materna è spesso la conseguenza diretta della discriminazione di genere, della violazione dei diritti sessuali e riproduttivi e della negazione del diritto alle cure sanitarie.

"Se vogliono fare passi avanti negli Obiettivi di sviluppo del millennio, i governi devono promuovere l'uguaglianza di genere e contrastare la discriminazione contro le donne" - ha sottolineato Weise.

Amnesty International ha chiesto agli stati del G20 ancora inadempienti (Arabia Saudita, Cina, India, Indonesia, Russia, Stati Uniti d'America e Turchia) di ratificare lo Statuto della Corte penale internazionale. La Conferenza internazionale di revisione sulla Corte, che inizia a Kampala, in Uganda, il 31 maggio, è un'occasione per i governi per dimostrare il loro impegno nei confronti della Corte.

Nonostante i gravi insuccessi registrati nel 2009 nei tentativi di assicurare giustizia, molti avvenimenti hanno fatto segnare dei progressi. In America Latina sono state riaperte inchieste su crimini coperti da leggi di amnistia, come dimostrano le epocali sentenze riguardanti l'ex presidente del Perù Alberto Fujimori, condannato per crimini contro l'umanità, e l'ultimo presidente militare dell'Argentina Reynaldo Bignone, condannato per sequestri e torture. Tutti i processi celebrati dalla Corte speciale per la Sierra Leone si sono conclusi salvo quello, ancora in corso, contro l'ex presidente della Liberia, Charles Taylor.

"Il bisogno di giustizia globale è una lezione fondamentale da trarre dallo scorso anno. La giustizia porta equità e verità alle vittime, è un deterrente nei confronti delle violazioni dei diritti umani e, in definitiva, conduce verso un mondo più stabile e sicuro" - ha concluso Weise.

Fonte:Amnesty International

Indignazione per il prestigioso premio assegnato all’Ufficio del Turismo del Botswana


L’Ufficio del Turismo del Botswana ha vinto il premio del World Travel & Tourism Council (WTTC) nonostante il trattamento riservato dal governo ai Boscimani.

Un’ondata di indignazione si è sollevata ieri quando il World Travel & Tourism Council (WTTC) ha annunciato l’assegnazione del premio “Tourism for Tomorrow” all’Ufficio del Turismo del Botswana nonostante la condanna di Survival per il trattamento riservato dal governo ai Boscimani del Kalahari.

L’Ufficio del Turismo del Botswana, un organismo governativo, ha vinto il premio della categoria Destination Stewardship che riconosce “dedizione e successo nella conduzione di un programma di gestione sostenibile del turismo”.

Il governo del Botswana ha proibito ai Boscimani l’uso del pozzo da cui dipendono per procurarsi l’acqua a dispetto di una sentenza della Corte Suprema del 2006 che ha sancito il loro diritto di vivere sulle terre ancestrali all’interno della Central Kalahari Game Reserve. L’ultimo rapporto sui diritti umani del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha criticato il governo per la sua continua “riduttiva interpretazione” della sentenza.

E un’altra critica è arrivata dal massimo funzionario delle Nazioni Unite per i diritti dei popoli indigeni, il professor James Anaya, che ha condannato il Botswana per il trattamento riservato ai Boscimani sostenendo che il governo non ha saputo rispettare “i basilari standard internazionali sui diritti umani”. Ha inoltre costatato che i Boscimani “che sono rimasti o sono tornati nella riserva devono affrontare condizioni di vita dure e pericolose a causa dell’impossibilità di accedere all’acqua”, e ha chiesto al governo di riaprire i pozzi “come questione della massima urgenza”.

Contemporaneamente, mentre costringe i Boscimani ad affrontare un viaggio di 480 km per andare ad attingere l’acqua fuori, il governo ha autorizzato l’apertura di un complesso turistico nelle loro terre, dotato di piscina, e ha fatto scavare pozzi per abbeverare gli animali selvatici. Survival aveva chiesto il ritiro della candidatura del tour operator implicato, la Wilderness Safaris, nominata anch’essa a un premio per la categoria “Global Tourism Business”. Alla Wilderness Safaris non è stato effettivamente assegnato alcun premio.

I Boscimani hanno trascinato nuovamente il governo in tribunale per ottenere l’autorizzazione ad accedere al loro pozzo e l’udienza è fissata per il 9 giugno. Contemporaneamente, in concomitanza con i mondiali di calcio, il governo sta promuovendo le sue riserve come meta turistica.

L’Ufficio del Turismo del Botswana sta violando i principi sanciti dalla dichiarazione ONU sui popoli indigeni” ha commentato il direttore generale di Survival International Stephen Corry. “Se questo è un concorso per il “turismo sostenibile”, si mette chiaramente in luce il conflitto sempre più forte che vige tra i popoli tribali e il modo in cui le loro terre vengono utilizzate a beneficio dei turisti e delle compagnie che li servono. I turisti dovrebbero pensare bene alle implicazioni di tutto questo prima di decidere di visitare il Botswana.”

Fonte:Survival

mercoledì 26 maggio 2010

Nascono a Milano i baby pit-stop, oasi in città per l'allattamento al seno


L'iniziativa è frutto del Protocollo di intesa siglato ieri tra UNICEF Italia e ASL di Milano sarà possibile allattare al seno in farmacie, negozi e centri commerciali.

Iniziative (ad esempio i baby pit-stop, le zone per allattare all’interno di farmacie, negozi e centri commerciali), sviluppo di programmi e progetti concordati, presenza comune in campagne istituzionali inerenti il sostegno alla genitorialità, la promozione e la tutela dei diritti e della salute materno-infantile, pubblicazioni congiunte e divulgazioni sul web: sono questi alcuni degli obiettivi inseriti nel Protocollo d’intesa che è stato firmato questo pomeriggio a Milano dal Direttore generale del Comitato Italiano per l’UNICEF Roberto Salvan e dal Direttore generale dell’Asl di Milano G. Walter Locatelli.

Un accordo di programma che rafforza in modo formale la collaborazione già attiva da molti anni tra l’Azienda Sanitaria Locale di Milano e il Comitato Italiano per l’UNICEF.

«Il modello che sta dietro a questo accordo è quello che l'UNICEF usa nei Paesi in via di sviluppo» ha dichiarato il Direttore dell'UNICEF Italia. «Un modello che tende a fare rete e che serve ad esportare le buone pratiche, in questo caso l’allattamento materno, che a Milano in alcune zone raggiunge una percentuale del 50%.

Abbiamo bisogno di partner affidabili» ha aggiunto Salvan «che sostengano il diritto alla salute di madri e bambini. Noi vi consideriamo un poco come dei volontari dell’UNICEF. Dei volontari che hanno un compito importante da svolgere: cambiare la cultura di una città, dove dovrà diventare prassi vedere una mamma che allatta».

Sul progetto baby pit stop si è soffermato anche il Direttore generale dell’Asl di Milano, Walter Locatelli: «Se la Lombardia, come spesso si sente dire, è la Ferrari del Paese Italia, sembra quasi naturale prendere atto che a Milano si attiveranno questi spazi per l’allattamento dentro le farmacie, negli ospedali e nei negozi.

L’intesa con UNICEF sancisce sulla carta un lungo percorso di attiva collaborazione che proseguirà anche in futuro.»

Sempre sui baby pit stop c’è anche l’adesione del professor Fabio Mosca, direttore dell’Unità Operativa Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale della Clinica Mangiagalli e cattedratico milanese, che ha ribadito come “gli ospedali sono il luogo privilegiato ad ospitare questi spazi di allattamento”.

A Milano i primi baby pit stop si materializzeranno in una ventina di farmacie e in alcuni negozi.

L’Asl intende promuovere anche un concorso (coinvolgendo il Politecnico di Milano e un paio di istituti di design cittadini) per l’ideazione della nuova linea di zone a misura di bebè.

Il Protocollo sancirà una ancor più stretta collaborazione anche in tema di promozione - da parte dell’azienda sanitaria locale milanese - del Codice internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno e delle successive risoluzioni dell’Assemblea Mondiale della Sanità nel contesto più ampio della tutela dei diritti materno-infantili.

Inoltre, viene stabilito il supporto a iniziative e interventi concreti e strutturati di accompagnamento alle famiglie di nuova formazione, con particolare riguardo a esperienze di cui siano misurabili i risultati utili all’empowerment delle famiglie e della comunità.

Le azioni volte ad aumentare i tassi dell’allattamento al seno nella popolazione che UNICEF e Asl con questo accordo promuovono, non apportano solo benefici di salute per il bambino, la madre e la società connessi all’aspetto nutrizionale, ma sono anche in grado di favorire la relazione madre-bambino e i processi di attaccamento.
La decisione di allattare al seno è però fortemente influenzata dalle norme sociali e dalle credenze e valori delle donne e di chi sta loro vicino.

Una volta che la decisione di allattare è stata presa, la continuità e la qualità assistenziale, in particolare alla nascita e nell’immediato post-partum, è di vitale importanza per stabilire e mantenere l’allattamento al seno, la cui prevalenza rappresenta un indicatore strategico delle competenze culturali ed organizzative di un sistema sanitario interessato a proteggere la salute dell’infanzia.

Sistema sanitario che, come ha ricordato Leonardo Speri, della task-force UNICEF sugli Ospedali Amici dei bambini «può contare su vari progetti come quello della Comunità Amica dei Bambini per l’allattamento materno che si basa su 7 passi e che 18 Asl stanno sperimentando sul modello Milano», di cui la dott.ssa Bettinelli, responsabile del Progetto Allattamento Asl di Milano ha illustrato i dati di contesto.

Alla firma del Protocollo di intesa hanno partecipato Alberto Fabio Podestà, Primario di Pediatria dell’Ospedale San Carlo in rappresentanza anche della Società Italiana di Pediatria,Giuseppe Banderali della Società Italiana Nutrizione Pediatrica e Fiammetta Casali, presidente del Comitato Provinciale dell’UNICEF di Milano.

Fonte:UNICEF

Greenpeace svela gli investimenti segreti delle banche sul nucleare


Oltre la metà di tutti i finanziamenti all’energia nucleare in Europa arriva da un gruppo di soli dieci istituti finanziari. È questo il risultato della ricerca pubblicata oggi sul sito http://www.nuclearbanks.org/ e commissionata da Greenpeace CRBM (Campagna per la riforma della Banca Mondiale) e dalle altre ONG che compongono la coalizione Banktrack. Qualche sorpresa c’è anche per gli italiani: BNL in testa seguita da UniCredit e Intesa Sanpaolo.

«Le banche che finanziano progetti nucleari rischiano di rimetterci soldi e reputazione - sostiene Andrea Lepore, responsabile della campagna Nucleare di Greenpeace - Per questo chiediamo alle banche di spostare i loro investimenti da una fonte sporca e pericolosa come il nucleare verso progetti di efficienza e fonti rinnovabili».

Secondo la ricerca, realizzata dall’istituto indipendente Profundo, al primo posto della classifica delle banche nucleari c’è BNP Paribas, banca francese presente in Italia attraverso BNL (Banca Nazionale del Lavoro). A seguire, nei primi dieci posti, Barclays (UK), Citi (US), Société Générale (Francia), Crédit Agricole/Calyon (Francia), Royal Bank of Scotland (Regno Unito), Deutsche Bank (Germania), HSBC (UK / Hong Kong), JP Morgan (Stati Uniti) e Bank of China. Su un totale di 175 miliardi di euro in finanziamenti a progetti nucleari tra il 2000 e il 2009, queste dieci banche hanno finanziato con ben 92 miliardi di euro l'industria nucleare.

Oltre BNL, tra le banche italiane, Unicredit e Intesa Sanpaolo occupano rispettivamente la 23ma e la 28ma posizione nella classifica ma non sono ancora disponibili informazioni ufficiali su quali banche finanzierebbero il ritorno del nucleare in Italia voluto dal Governo Berlusconi.

«Greenpeace è pronta a rendere pubbliche le future decisioni di investimento delle banche nel nucleare in Italia. È bene che ne siano consapevoli quegli istituti che stanno pensando di investire in questa fonte di energia dannosa per l’ambiente, per l’Italia e per i suoi cittadini» conclude Lepore.

Fonte:Greenpeace

CELLULARI D’ORO, CONTRIBUENTI.IT: CRESCONO DEL 9,7%, ITALIA PRIMA.

Dopo il primato delle “auto blu” l’Italia conquista anche quello dei “cellulari d’oro” raggiungendo il tetto record di 939.450 unità, con un costo medio di 1.350 euro ad utenza, in dispregio dei numerosi interventi effettuati dalla Corte dei Conti che, individuandone i limiti e la durata, ha ricondotto l’uso del cellulare alle esclusive esigenze di reperibilità del beneficiario.

E' quanto emerge dallo studio condotto da Contribuenti.it, diffuso oggi a Sorrento nel corso della kermesse “Fisco Tour 2010”.

Contribuenti.it, per il conteggio, ha analizzato il parco dei “cellulari d’oro” in uso in qualunque modo ai dipendenti, funzionari e dirigenti della P.A., conteggiando sia quelli con contratto che quelli che con ricaricabile, il cui costo ricade comunque sulla P.A., presso lo Stato, Regioni, Province, Comuni, Municipalità, Asl, Comunità montane, Enti pubblici, Enti pubblici non economici, Societa' misto pubblico-private e Societa' per azioni a totale partecipazione pubblica.

Nei primi quattro mesi del 2010, in Italia, il numero dei “cellulari d’oro” in dotazione della pubblica amministrazione è cresciuto del 9,7% passando da 856.390 a 939.450 unità.

Nella classifica dei paesi che utilizzano i "cellulari d’oro" primeggia l'Italia con 939.450 seguita dagli USA con 678.500, Germania con 281.800, Francia con 264.300, Regno Unito con 246.800, Grecia con 212.400, Spagna con 191.000, Giappone, con 190.000, Russia 186.600 e Olanda con 141.000.

"Tagliare la spesa pubblica si può senza alcun danno per gli italiani - afferma Vittorio Carlomagno, presidente Contribuenti.it Associazione Contribuenti Italiani - Basta solo far rispettare anche alla casta le decisioni della Corte dei Conti. Gli amministratori pubblici, in Italia, hanno superato ogni limite Basterebbe pubblicare sul sito internet il nome degli utilizzatori e tassarli come fringe benefit per ridurre drasticamente il numero dei cellulari intestati alla pubblica amministrazione".

Fonte: CONTRIBUENTI.IT

680mila firme raccolte. Savona maglia rosa dell'acqua pubblica


Savona è la maglia rosa del Giro d'Italia dell'acqua pubblica, la provincia ligure ha già più che raddoppiato l'obiettivo delle firme da raccogliere entro luglio. Chi negli ultimi 7 giorni ha raccolto di più firme in proporzione alla popolazione e vince la maglia blu, è Frosinone con oltre 4000 firme.
La raccolta continua, siamo a quota 680mila firme e l'obiettivo è ora un milione. Qui la mappa di tutti i banchetti. Da qui a luglio lanceremo eventi, feste, spettacoli per coinvolgere sempre più italiani in questa civile lotta di democrazia per togliere le mani degli speculatori dall'acqua riconsegnandola ai cittadini e ai Comuni.

I tre quesiti vogliono abrogare la vergognosa legge approvata dall’attuale governo nel novembre 2009 e le norme approvate da altri governi in passato che andavano nella stessa direzione, quella di considerare l’acqua una merce e la sua gestione finalizzata a produrre profitti. Dal punto di vista normativo, l’approvazione dei tre quesiti rimanderà, per l’affidamento del servizio idrico integrato, al vigente art. 114 del Decreto Legislativo n. 267/2000.

Tale articolo prevede il ricorso alle aziende speciali o, in ogni caso, ad enti di diritto pubblico che qualificano il servizio idrico come strutturalmente e funzionalmente “privo di rilevanza economica”, servizio di interesse generale e privo di profitti nella sua erogazione.

Verrebbero poste le premesse migliori per l’approvazione della legge d’iniziativa popolare, già consegnata al Parlamento nel 2007 dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua, corredata da oltre 400.000 firme di cittadini. E si riaprirebbe sui territori la discussione e il confronto sulla rifondazione di un nuovo modello di pubblico, che può definirsi tale solo se costruito sulla democrazia partecipativa, il controllo democratico e la partecipazione diretta dei lavoratori, dei cittadini e delle comunità locali.









Perché si scrive acqua ma si legge democrazia

Fonte: www.acquabenecomune.org

Roma capitale degli sfratti


Nel 2009 gli sfratti emessi sono aumentati del 17,5% rispetto al 2008, col valore più alto degli ultimi 13 anni.

Roma si piazza in testa alla classifica, con 8.729 sfratti emessi, di cui 6.355 per morosità (72,8%); seguita a distanza da Firenze con 2.895 sfratti (2.322 per morosità, l' 80,2%).

Dal primo giorno della crisi, che attanagliava e attanaglia il mondo, il governo italiano ha sempre sdrammatizzato questa catastrofe ripetendo che “per gli italiani la crisi non esiste”, anzi se qualcuno si permetteva di scrivere della crisi o delle conseguenze che la stessa avrebbe potuto portare, veniva tacciato come sovversivo o comunista. L’opposizione non poteva contrastare con i fatti il governo visto che era ed è impegnato a trovare la sua identità dopo il cambio dell’ennesimo segretario, mentre invece gli abitanti del bel paese, italiani e stranieri che lavorano e devono fare i conti con la crisi reale quotidianamente e la crisi la sentono e la vivono sulle proprie spalle, non erano e non sono ascoltati.

Mentre accadeva e accade tutto questo la casta cosa ha fatto? Ha continuato a pensare ai suoi affari loschi o leciti. Come sempre per loro questi affari sono più importanti della tutela e della salvaguardia dei più deboli. Alcuni componenti della casta, a loro insaputa, come per incanto, si sono ritrovati proprietari di appartamenti con vista colosseo e altri ancora appena eletti in regione si trovano ad abitare in appartamenti che affacciano su piazza Navona, allora come possono mai dedicare il loro tempo prezioso ai ceti più deboli del paese in via di sviluppo?

Questa classe di affaristi, non riesce a preoccuparsi nemmeno dei dati che emergono da un’indagine condotta dal SUNIA, questi numeri così astratti e lontani dai loro interessi mica riguardano i risultati di una campagna elettorale e le poltrone da spartirsi?

Ma è un problema tangibile che riguarda gli abitanti del paese in via di sviluppo, dei ceti più deboli, i dati che emergono sono preoccupanti. Infatti, il SUNIA, ci informa che: su 61.484 sfratti 51.576 sono stati emessi per morosità: l’84% del totale. Sempre più famiglie non riescono a sostenere le spese e perdono la propria abitazione. Negli ultimi 5 anni sono stati eseguiti 100.000 sfratti motivati da morosità e altre 150.000 famiglie hanno un provvedimento in corso che si concluderà con l’esecuzione: 30.000 giovani e 50.000 anziani che vivono soli rischiano di perdere l’abitazione nel prossimo triennio.

Questa indagine, che è stata condotta su un campione di 1.000 famiglie sottoposte a sfratto che si sono rivolte presso le sedi del sindacato, mette in evidenza l’aumento di particolari fasce deboli.

Per quanto riguarda i giovani sotto i 35 anni, aumentano quelli sottoposti a sfratto passati dal 4% al 20% nel 2009; si tratta di lavoratori precari o che hanno perso nel corso dell'ultimo biennio il posto di lavoro.

Ma crescono anche i nuclei composti da anziani, passati dal 27% al 35%del totale; dei quali due terzi composti da una persona che vive sola.

Per le famiglie di migranti i provvedimenti sono saliti dal 22% al 26%, con nuclei composti in media da tre o più persone.

In generale il 60% delle famiglie con procedimento di sfratto ha figli e di queste due terzi hanno figli minori; il 26% dei casi riguarda famiglie in cui il percettore ha perso il posto di lavoro, il 17% dei casi cassaintegrati.

E pensare che, solo due anni fa con la campagna elettorale dell’attuale amministrazione capitolina, basata fondamentalmente su aria fritta e promesse che non verranno mai mantenute, come accade da oltre 60 anni nel paese in via di sviluppo, nulla è cambiato e nulla si muove per tutelare le fasce più deboli.
Dino Brancia

WWF: “RIVE DI ETERNIT LUNGO I FIUMI ITALIANI”


Il censimento “Liberafiumi” WWF svela discariche anche su Volturno e Aterno Discariche di Eternit a cielo aperto, una spiaggia di detriti di amianto ormai dispersa a valle, cumuli di materiale tossico liberamente accessibile e utilizzato per costruire pollai e pavimentare giardini, il tutto lungo le sponde del principale fiume italiano. È l’agghiacciante quadro delineato oggi al processo Eternit in corso a Torino, cui il WWF partecipa come parte civile, dove è inequivocabilmente emerso che le sponde del fiume Po sono state usate, da più di quarant’anni, come vere e proprie discariche di amianto a cielo aperto. Un dato che conferma la drammatica situazione di degrado dei nostri fiumi documentato ieri dal censimento di 29 corsi d’acqua effettuato dal WWF per la campagna “Liberafiumi”, che ha scoperto depositi di Eternit/amianto anche lungo altri fiumi italiani come il Volturno in Campania e l’Aterno in Abruzzo.

Lo stato di degrado e di inquinamento prodotto dall’Eternit sulle sponde del Po è documentato fin dal 1966 da foto di proprietà del CNR-Torino che sono state mostrate oggi al processo. Nelle immagini si vedono discariche abusive contenenti scarti di lavorazione dell’Eternit da cui, secondo la testimonianza del Sindaco di Cavagnolo, la popolazione attingeva pezzi di amianto che venivano poi utilizzati in manufatti di vario tipo, dai pollai alle pavimentazione dei giardini, o addirittura dai bambini per giocare.

Mentre, sempre al processo, l’attuale sindaco di Casale Monferrato ha confermato che molti residui di amianto venivano riversati nel fiume, in aree in cui lo Stato ha poi avviato un’opera di bonifica ormai in una fase avanzata di realizzazione.


Nelle immagini del Po si vede anche una vera e propria spiaggia realizzata con detriti di amianto, oggi non più visibile non solo a causa della bonifica in corso, ma soprattutto per l’azione naturale delle piene e delle alluvioni che hanno caratterizzato in bacino del Po negli ultimi anni e che nel corso del tempo hanno trasportato il materiale pericoloso verso valle.

La situazione denunciata a Torino non rappresenta solo la drammatica memoria storica di un crimine che ancora oggi produce conseguenze in migliaia di malati dell’amianto – ha detto Stefano Leoni, presidente del WWF Italia – ma anche la massima evidenziazione dello stato di degrado dei nostri fiumi, come ha rivelato censimento svolto ieri dal WWF su 29 fiumi italiani. Un degrado che avvelena le preziosissime vene blu del nostro paese, rischiando di compromettere gli indispensabili servizi che sono in grado di garantirci, dalla qualità dell’acqua alla protezione dai rischi idrogeologici alla vitalità dei delicatissimi ecosistemi fluviali che attraversano.”

I risultati completi della campagna Liberafiumi del WWF, che ieri con oltre 600 volontari ha setacciato 29 fiumi italiani per un totale di 600 km, saranno resi noti alla fine di maggio, in occasione della prima Conferenza nazionale per la biodiversità. Info su www.wwf.it/fiumi


FAO: la mancanza di fondi minaccia le operazioni di soccorso in Ciad


In Sahel milioni di persone rischiano la fame

La mancanza di fondi sta mettendo a serio repentaglio le operazioni d'emergenza della FAO in Ciad, dove circa due milioni di persone rischiano la fame, dopo che siccità ed infestazioni di parassiti hanno ridotto drasticamente la produzione alimentare, ha denunciato la FAO.

Secondo l'esperto FAO che coordina le operazioni d'emergenza, Fatouma Seid, la FAO sinora ha mobilitato soltanto 2 milioni di dollari degli 11.8 richiesti lo scorso novembre per le operazioni di intervento agricolo d'emergenza nel paese, parte dell'appello congiunto delle agenzie ONU, mentre per il vicino Niger, colpito anch'esso da seri problemi di penuria alimentare, la FAO era riuscita a mobilitare 14.5 milioni di dollari.

"I donatori temono che si possa ripetere una situazione di crisi alimentare come quella che ha colpito il Niger nel 2005, quando moltissime persone sono letteralmente morte di fame", ha spiegato Seid. " Rispetto ad allora, c'è minore consapevolezza di cosa stia succedendo in Ciad, nonostante la situazione sia altrettanto critica".

"Questo significa che la FAO sarà in grado di distribuire solo 360 tonnellate di sementi rispetto alle 11.286 tonnellate che avevamo programmato di dare ai contadini per il loro prossimo raccolto", ha aggiunto Seid. "Noi intendevamo distribuire anche 6.000 tonnellate di foraggio, ma, allo stato attuale, siamo in grado di fornirne solo 413 tonnellate".

Allerta speciale

La scorsa settimana il Sistema mondiale d'informazione e preavviso rapido nei settori agricolo e alimentare della FAO (GIEWS) ha denunciato, in un'allerta speciale, che la situazione alimentare è molto preoccupante in diverse parti del Sahel, e che oltre 10 milioni di persone rischiano la fame.

Si stima che rispetto al 2008 la produzione cerealicola in Ciad sia calata del 34 per cento, in Niger del 30 per cento, in Mauritania del 24 per cento ed in Burkina Faso del 17 per cento.

Anche la pastorizia è seriamente compromessa. La produzione di foraggio in Niger è di circa il 62 per cento inferiore al fabbisogno, denuncia l'allerta. In Ciad, l'anno scorso, il tasso di mortalità dei bovini è stato del 30 per cento, e notevoli morie di bestiame si sono verificate anche in zone del Mali.

Insicurezza alimentare diffusa

Il calo della produzione cerealicola, le cattive condizioni dei pascoli, insieme a prezzi alimentari ancora sostenuti, "hanno portato ad alti livelli d'insicurezza alimentare ed ad un aumento della malnutrizione", denuncia l'allerta del GIEWS.

Si stima che quest'anno in Niger saranno circa 2.7 milioni le persone che avranno bisogno di aiuti alimentari, mentre altri 5.1 milioni di persone nel paese sono considerate a rischio insicurezza alimentare. In Ciad circa due milioni di persone avranno bisogno di assistenza, mentre 258.000 persone dovranno affrontare una grave insicurezza alimentare in Mali. In Mauritania avranno bisogno di aiuti alimentari circa 370.000 persone.

In Niger sono state già avviate operazioni d'emergenza: vendita di cereali a prezzi politici da parte del Governo, distribuzione di alimenti da parte del PAM e dell'UNICEF, e di mangimi animali, sementi e fertilizzanti da parte della FAO, che sta fornendo anche assistenza di lungo periodo promuovendo la produzione di sementi locali. E' stato dato sostegno di lungo periodo, e sono stati distribuiti fattori produttivi, ad agricoltori e pastori anche in Burkina Faso, in Ciad ed in Mali.

Fonte:FAO

Campagna per “destabilizzare” l’organizzazione degli indigeni amazzonici


L’organizzazione degli indigeni Peruviani AIDESEP ha denunciato una “campagna di destabilizzazione” volta a distruggere il movimento degli indigeni del paese.

L’ultimo attacco è la creazione di un falso indirizzo mail utilizzato per convocare un “Meeting Straordinario “ a nome di Daysi Zapata Fasabi, vice-presidente dell’AIDESEP.

Secondo l’AIDESEP Zapata Fasabi sarebbe “profondamente indignata” per l’uso improprio del suo nome e “stanca” dei continui tentativi di destabilizzare la sua organizzazione. Nel corso di soli 12 mesi, il governo ha tentato di sciogliere l’AIDESEP con mezzi legali, lo ha messo sotto accusa per presunte illegalità finanziarie e, secondo l’AIDESEP, ha finanziato la creazione di un consiglio di amministrazione rivale all’interno dell’organizzazione.

Sono anche stati spiccati mandati d’arresto per i leader dell’AIDESEP, costringendo tre di loro a cercare asilo politico in Nicaragua. Il Presidente dell’organizzazione, Alberto Pizango, è ancora in Nicaragua e ci sono state delle manifestazioni di protesta davanti al Palazzo di Giustizia la scorsa settimana per chiederne l’immediato rimpatrio.

Non è la prima volta che accade” ha dichiarato l’AIDESEP. “Questo è solo l’ultimo dei tentativi compiuti per distruggere il movimento degli indigeni del Perù.

L’AIDESP ha i suoi uffici centrali a Lima e rappresenta più di 1.300 comunità indigene dell’Amazzonia. Conduce anche campagne a sostegno dei diritti delle tribù isolate del Perù.

Fonte:Survival

Grazie a "Salvaforeste" di Greenpeace, rivoluzione verde per i libri Feltrinelli


Grazie al lancio della classifica degli editori “Salvaforeste” di Greenpeace, al Salone del Libro di Torino, alcuni editori hanno deciso di mostrare più trasparenza sulla carta utilizzata per i propri libri. Altri, come Feltrinelli, hanno preso impegni concreti a favore delle foreste indonesiane e degli ultimi oranghi di Sumatra. "Feltrinelli ha avuto bisogno di quarantotto ore per decidere di stampare solo su carta sostenibile. Cosa aspettano – chiede Chiara Campione, responsabile della campagna Foreste di Greenpeace Italia - Mondadori e RCS Libri a fare lo stesso?".

In un incontro con Greenpeace, la direzione di Feltrinelli ha annunciato la decisione, con effetto immediato, di utilizzare per i propri libri solo ed esclusivamente carta certificata FSC (Forest Stewardship Council) proveniente da foreste gestite in maniera sostenibile e responsabile. Già dalle prossime settimane alcune ristampe di classici come “Re Lear” di Shakespeare, “Alfred e Emily” di Doris Lessing e “Ancora dalla parte delle bambine” di Loredana Lipperini saranno disponibili nelle librerie su carta certificata FSC.

Feltrinelli - che ha esteso l’impegno a usare solo carta FSC anche alle altre case editrici del gruppo (Apogeo, Kowalski e Urra) - ha, inoltre, chiesto a Greenpeace di collaborare nella ricerca di carta riciclata che possa sostituire la carta da fibre vergini per alcune collane.

"Siamo felici della decisione di Feltrinelli di adottare una politica di acquisti sostenibile e della maggiore trasparenza dimostrata finalmente da altri editori – sostiene Campione – Questo dimostra che stare dalla parte delle foreste e della biodiversità non solo è necessario ma anche possibile. Il futuro delle foreste e del pianeta è nelle pagine dei loro libri ".

Altri editori, dopo le incursioni pacifiche degli attivisti travestiti da oranghi al Salone del libro, hanno risposto al questionario di Greenpeace guadagnando posizioni "più verdi". Tra queste: Minimum Fax, Stampa Alternativa e Baldini Castoldi & Dalai.

L’editoria italiana ha ancora una grossa responsabilità quando si parla di deforestazione e cambiamento climatico e in particolare le case editrici dei gruppi Mondadori e RCS Libri hanno ancora moltissimo lavoro da fare per migliorare la sostenibilità della propria carta. Se gli editori con le loro scelte non fermeranno immediatamente l’avanzata di criminali forestali come APP (Asian Pulp and Paper) nel mercato italiano, Greenpeace li riterrà corresponsabili della distruzione delle ultime foreste tropicali.


Fonte:Greenpeace

martedì 25 maggio 2010

Notizie di volo libero dall’Alto Adige, Lombardia e Sicilia




Il Campionato Italiano deltaplani 2010 si terrà a Falzes (Bolzano) dal 19 al 27 giugno, organizzato dalla associazione DFC Pfalzen, con la Val punteria come splendida cornice.

L'uomo da battere sarà l'azzurro Alex Ploner, attuale detentore del titolo italiano e campione mondiale in carica dopo la vittoria dello scorso anno in Francia.

I decolli avverranno dal Plan de Corones a 2260 metri. Con buone condizioni meteo si potrà volare in mezzo alle Dolomiti, toccando verso est le Tre Cime di Lavaredo, a sud la Marmolada o Cortina d'Ampezzo, a nord Vipiteno, prima di toccare terra a Falzes (997 metri) all'atterraggio ufficiale della manifestazione.

Infatti, sfruttando le correnti d'aria ascensionali, in deltaplano è possibile percorrere decine di chilometri, nel caso potrebbero superare i 150.

A Suello (Lecco) il Club Scurbatt, che in dialetto significa corvo, organizzerà nei giorni 26 e 27 giugno She Fly, Raduno Nazionale Donne Parapendiste d'Italia.

Il tutto si svolgerà in uno dei più rinomati ed apprezzati siti di volo italiani, quello del Monte Cornizzolo.

L'iniziativa ha il dichiarato obiettivo di raggruppare il maggior numero di donne che condividono la passione per il volo in parapendio, un piccolo, ma neppure troppo, universo destinato ad ingrandirsi in uno sport prevalentemente maschile.

Il programma prevede una gara di precisione in atterraggio, momenti di festa con rinfreschi e premiazioni, voli in biposto per chi vuole provare l'emozione del parapendio ed avvicinarsi a questa fantastica attività, tavole rotonde e momenti di riflessione sul volo femminile, animati da molti ospiti fra i quali Laura Mancuso della fondazione Angelo D'Arrigo, autrice del recente libro "In volo senza confini".
A proposito di Angelo d'Arrigo, nel comune di Letojanni (Messina) lo scorso 23 maggio una piazza è stata dedicata al celebre pilota di volo libero, scomparso nel maggio del 2006, presente la moglie Laura Mancuso che oggi anima la fondazione a lui dedicata.

Non una mera commemorazione, ma una grande festa con volo di ultraleggeri, parapendio e paracadute, fra spettacoli di giocolieri, trapezisti e la partecipazione di Enrico Patuzzi, campione italiano di acrobazia in parapendio.

Forte era il legame di D'Arrigo con questa terra: a Letojanni aveva fondato la sua scuola di volo, facendo della cittadina un punto di riferimento per tutti gli appassionati di parapendio e deltaplano.

Mercato idrico, è iniziata la danza



La mulitutility Iride e il fondo F2i alla conquista dei servizi idrici italiani grazie alla Legge Ronchi.

Matrioske finanziarie che controllano i rubinetti dei cittadini. Con la Legge Ronchi si aprono grandi possibilità d'affari per le aziende del settore servizi con fusioni, accorpamenti, acquisizioni. La gestione dell'acqua si sposta sempre di più nelle mani della borsa, di banche e fondazioni, fondi e manager. Sfugge definitivamente al controllo dei Comuni e dei cittadini.

La prima mossa è di ieri ed ha per protagonista Iride (la multutilitynata dalla integrazione tra Aem Torino e Amga Genovaovvero tra l'azienda elettrica ex-municipale del capoluogo piemontese e la S.p.A. al 51% pubblica del gas e dell'acqua di quello ligure) e il fondo italiano per le infrastrutture F2i promosso dalla Cassa Depositi e Prestiti (1,8 miliardi di euro di capitalizzazione, sottoscritti in gran parte da banche, fondazioni bancarie e casse previdenziali).

Insieme promuoveranno un accorpamento di tutti i servizi idrici detenuti da Iride e le sue associate e si lanciano nel mercato aperto dalla Legge Ronchi. Acquisizioni e fusioni che verranno ripagate dalle bollette dei cittadini. Perché non c'è altro ricavo, e più sono i rubinetti, più crescono le aggregazioni, più si può “contare in borsa”. Una pura bolla finanziaria gonfiata ad acqua. Seguite bene perché c'è da farsi venire il mal di testa.

La ragnatela idrica

Con un annuncio congiunto Iride e F2i i si lanciano nel Risiko delle concessioni dei servizi idrici aperto dalla Legge Ronchi. L'alleanza prevede che Iride conferisca a una nuova società contenitore, la San Giacomo S.r.l., la sua partecipazione del 68% in Mediterranea acque (anch'essa quotata in Borsa, gestisce l'acqua di Genova) e tutte le altre partecipazioni “idriche” detenute (essenzialmente Amter S.p.A. ed Idrotigullio S.p.A che gestiscono i servizi idrici sulle riviere liguri di ponente e levante). San Giacomo acquisterà le quote di Mediterranea Acque detenute dalla multinazionale francese Veolia e da tutti gli altri partner a un prezzo bloccato di 3 euro. F2i finanzierà il tutto.

Alla fine dell'operazione, Mediterranea Acque sarà posseduta da San Giacomo (ovvero da Iride al 60% e da F2i al 40%) con una piccola quota di Impregilo e solo il 9% sul mercato borsistico (un flottante molto piccolo) e si dedicherà essenzialmente a diventare “uno dei principali operatori del servizio idrico in Italia, per dimensione e per estensione del servizio sul territorio nazionale”.

Come? Con “un programma di partecipazione alle future gare ad evidenza pubblica per l’assunzione di partecipazioni ovvero la gestione di ulteriori ambiti territoriali, allorquando troverà applicazione il nuovo regime delineato dall’entrata in vigore della Legge Ronchi”. Una campagna di shopping delle quote delle S.p.A. pubbliche in vendita obbligata dalla recente legge del governo.

Si compie in questo modo la prima mossa in grande stile per il riassetto del settore idrico che vedrà protagoniste le multiutility quotate in borsa (Acea, Hera, A2A su tutte), le multinazionali straniere presenti sul territorio (Veolia e Suez essenzialmente), fondazioni e banche. In palio un mercato di circa 8 miliardi di euro oggi detenuto in prevalenza da S.p.A. a controllo pubblico e un riassetto in borsa per circa 19 miliardi di euro di capitalizzazioni.

sempre che si riesca poi a dipanare la ragnatela di accordi e fusioni che in questi anni hanno portato i servizi idrici sempre più lontano dai territori e sempre più sui mercati finanziari.

L'asse padano occidentale che arriva fino in Sicilia

Il caso di Iride, in questo senso, è particolarmente indicativo, visto che il gruppo partecipato da Genova e Torino, oltre che di Mediterranea Acque è anche socio di Acque Potabili (a sua volta detenuta da “Acque Potabili S.p.A. con sede in Torino, Acquedotto di Savona S.p.A. con sede in Savona, Acquedotto Monferrato S.p.A. con sede in Torino e da Acque Potabili Siciliane S.p.A. con sede in Palermo”) e sta completando un processo di fusione con Enìa, la multiservizi emiliana quotata a Piazza Affari, nata dalla fusione delle S.p.A. delle province di Reggio Emilia, Parma e Piacenza. Iride ed Enìa insieme definirebbero un asse “padano occidentale” con 4 miliardi di capitalizzazione di borsa e 2,5 milioni di “clienti” solo per il servizio idrico, senza contare le quote di cittadini palermitani portati in dote da Iride e di Enna portati in dote da Enìa.

Con il rafforzamento di Mediterranea Acque, si dovrebbero quindi accorpare tutte le gestioni idriche tra Piemonte, Liguria, Emilia, Sicilia, più la campagna di shopping finanziata da F2i. Serve al territorio, ai cittadini, al recupero delle perdite, al risparmio della risorsa e alla sua gestione integrata? La storia delle liberalizzazioni negli altri paesi dice di no. Ma in Italia, con venti anni di ritardo, si procede a far diventare l'acqua un bene commerciabile e finanziario, lontano dalle necessità del territorio e dal controllo di cittadini e Comuni. Diranno che queste operazioni servono per raccogliere gli investimenti che mancano. Non è vero. Servono per fare massa finanziaria e garantire ritorni di bilancio. I privati non finanziano opere idriche, non c'è margine di ritorno. E infatti con la liberalizzazione sono crollati gli investimenti in reti e manutenzione (dai 2 miliardi anno, ai 700 milioni attuali). A meno di dargli mano libera sulle tariffe. E fargli mettere le mani nelle vostre tasche.

Fonte: www.acquabenecomune.org

UNICEF: l'Italia faccia la sua parte per far rispettare le norme ONU sull'arruolamento dei minori nei conflitti


A 10 anni dall'approvazione del Protocollo sul coinvolgimento dei minori nei conflitti armati l'arruolamento di bambini e ragazzi è praticato ancora in numerosi Stati: il monito della Coalizione italiana "Stop all'uso dei bambini soldato!"

Alla vigilia del decennale dell’approvazione da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (25 maggio 2000) del Protocollo Opzionale alla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza dedicato al coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati (Optional Protocol on Children in Armed Conflict – OPAC), la Coalizione Italiana “Stop all’Uso dei Bambini Soldato!”, coordinata da Save the Children, torna a puntare i riflettori su una serie di problematiche ancora irrisolte.

Il Protocollo, ratificato da 132 Paesi nel mondo inclusa l’Italia, vieta la partecipazione diretta di minori di 18 anni nei conflitti armati e fissa a 18 anni l’età minima per il reclutamento anche da parte dei gruppi armati irregolari oltre che per l’arruolamento obbligatorio da parte delle forze armate governative.

«Eppure, sono ancora più di 250.000 i minori che prendono parte ai combattimenti in 35 Paesi - utilizzati sia dagli eserciti governativi, sia dai gruppi armati irregolari. Ben 120.000 solo nel continente africano», afferma Viviana Valastro, portavoce della Coalizione.
La maggioranza ha dai 15 ai 18 anni, ma alcuni hanno anche soltanto 10 anni e si registra una tendenza sempre più evidente verso un abbassamento dell’età media.

Esistono Paesi - come ad esempio Afghanistan, Burundi, Ciad, Colombia, Iraq, Nepal, Filippine, Repubblica Democratica del Congo, Sri Lanka, Sudan e Uganda - che, pur avendo ratificato il Protocollo, sono tuttora tristemente noti per essere luoghi in cui si registrano alcune tra le più alte percentuali di bambini e bambine soldato.

«Proprio in occasione di questo decennale, la Coalizione Italiana auspica una ratifica quanto più ampia possibile del Protocollo Opzionale nel Mondo, così come promosso dalle Nazioni Unite, ma sollecita anche i Paesi che già l’hanno ratificato, compresa l’Italia ad una sua effettiva e piena applicazione» continua Viviana Valastro.

«In particolare, apprezziamo le modifiche della normativa nazionale italiana che hanno elevato a 18 anni l’età minima per l’arruolamento volontario nelle forze armate, anche se rileviamo che, formalmente, la dichiarazione di riserva resa dall’Italia al momento della ratifica del Protocollo Opzionale non è stata ritirata e contiene quindi il riferimento ai 17 anni come età minima per l’arruolamento volontario» conclude Viviana Valastro.

Inoltre, come ricordato anche dal Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza nelle sue "Osservazioni Conclusive" del giugno 2006 sull’attuazione in Italia del Protocollo Opzionale, non si è ancora provveduto alla definizione legislativa del concetto di “partecipazione diretta dei minori alle ostilità”, dando quindi adito alla possibilità che i minori di 18 anni possano essere utilizzati dalle forze armate, anche se con ruoli e funzioni diverse dal combattimento.

Preoccupa anche il fatto che l'insegnamento dell’educazione ai diritti umani e al diritto umanitario continuino a non essere parte integrante dei curricola scolastici, e ciò con particolare riguardo alle scuole militari, nonostante l’espresso richiamo del Comitato Onu a renderlo parte integrante della formazione dei soldati di domani.

In ultimo, pur apprezzando l’impegno della Cooperazione Italiana nel sostegno dei programmi di reinserimento sociale dei bambini soldato (c.d. programmi DDR) la Coalizione rileva l’insufficienza di strumenti efficaci nel valutarne la qualità e l’ impatto su bambini e bambine.

La Coalizione Italiana della campagna internazionale “Stop all’uso dei bambini soldato!” Nasce ufficialmente a Roma, il 19 aprile 1999. Alisei, Amnesty International-Sezione italiana, Cocis, Coopi, Focsiv, Intersos, Save the Children Italia, Telefono Azzurro, Terre des Hommes Italia e UNICEF Italia sono le 10 associazioni che attualmente ne fanno parte.

La Coalizione ha l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione dei bambini e delle bambine soldato e far conoscere gli strumenti internazionali esistenti ed utilizzabili per far rispettare i diritti di tutti i bambini e le bambine che vivono o provengono da Paesi in conflitto o in cui un conflitto si sia appena concluso.

Fonte:UNICEF

CONTRIBUENTI.IT: 2 YACHT SU 3 INTESTATI A NULLATENENTI, PENSIONATI 80 ENNI E SOCIETA’ DI COMODO, +5% NEL 2010.


Crescono a dismisura i poveri possidenti, +5% nel 2010. Quasi due terzi delle lussuose barche che circolano sui meri italiani, sono intestate a nullatenenti, a prestanomi 80enni o società di comodo, italiane o estere”.

Lo rileva Contribuenti.it – Associazione Contribuenti Italiani che con lo Sportello del Contribuente monitora costantemente il fenomeno dell’evasione fiscale nella Penisola. “Il 64% degli Yacht di lusso, barche a vela sofisticate e auto di grossa cilindrata sono intestati a nullatenenti, a pensionati 80enni o società di comodo, anche estere, per non pagare le tasse”. E’ questo il dato diffuso oggi a Capri, alla presentazione della manifestazione Fisco Tour 2010, da Contribuenti.it – Associazione Contribuenti Italiani che con Lo Sportello del Contribuente rileva costantemente il fenomeno dell’evasione fiscale in Italia.

Si espande a dismisura il fenomeno dei “ricchi nullatenenti” che vivono spendendo migliaia di euro per beni superflui e non dichiarano al fisco quello che guadagnano effettivamente.

Secondo il recente studio di Contribuenti.it, elaborato su dati provvisori del Ministero delle Finanze che fa riferimento alle dichiarazioni fiscali presentate nel 2009, è emerso che la metà degli italiani dichiara non oltre 15.000 euro annui e circa due terzi non più di 20.000 euro; di contro, solo l’1% che dichiara oltre 100 mila euro e lo 0,2% più di 200mila euro.

Una fotografia che non forma un “perfetto collage” con quella che riprende i dati relativi alla spesa pubblica. Nello stesso periodo in Italia, venivano immatricolate 151mila vetture tra fuoristrada ed auto di lusso, e addirittura a 27mila italiani sarebbero state rilasciate altrettante patenti nautiche.

E’ ora di finirla con modeste misure di contrasto all’evasione fiscale, come il nuovo redditometro – afferma Vittorio Carlomagno presidente di Contribuenti.it Associazione Contribuenti Italiani – È necessaria un'illuminante politica di collaborazione con le associazioni dei contribuenti che operano da tempo sul fronte della Tax Compliance, generando una autentica cultura antievasione. Come è accaduto durante la crisi finanziaria del sistema creditizio, è necessario assegnare ai Prefetti un ruolo nel controllo nella lotta all’evasione fiscale con la costituzione di un osservatorio sulla Tax Compliance presso tutte le Prefetture e la partecipazione di tutti i diretti interessati: i rappresentanti delle società, i rappresentati del fisco e degli intermediari, i rappresentanti dei lavoratori ed i rappresentanti dei contribuenti, con il Prefetto che coordinerà il tavolo. L'osservatorio – conclude Carlomagno – dovrà migliorare i rapporti tra fisco e contribuenti, per evitare che l’evasione dilaghi nel nostro paese”.

Fonte: Contribuenti.it