sabato 30 novembre 2013

LA MITIGAZIONE DEL RISCHIO IDROGEOLOGICO, UNA PRIORITÀ PER IL PAESE

Associazioni ambientaliste e di categoria, ordini professionali, sindaci, tecnici ed esperti del settore scrivono al presidente del Consiglio dei Ministri Enrico Letta“Occorre una scelta politica forte per fermare le tragedie causate dal dissesto idrogeologico: almeno 500 milioni di euro all’anno per una concreta azione nazionale preventiva di difesa del suolo”


“Anche l’autunno 2013 ha drammaticamente riportato all’attualità il problema del rischio idrogeologico, a partire da quanto avvenuto in Sardegna nei giorni scorsi. Prima di quest’ultima tragedia però, anche altri fenomeni, sempre purtroppo con vittime, avevano colpito la Toscana, la Liguria, la Puglia e la Basilicata, la Calabria, la Sicilia, le Marche e l’Umbria. E allora quanto dovremo aspettare perché il dissesto idrogeologico e il rischio connesso con le frane e le alluvioni diventi nel nostro Paese una priorità, la prima vera grande opera pubblica da mettere in campo?”

Inizia con questa richiesta la lettera aperta al presidente del Consiglio dei Ministri Enrico Letta firmata da un vasto schieramento di associazioni ambientaliste, di categoria, dai Consigli nazionali degli ordini professionali del settore, dai Sindaci, dal mondo dei tecnici e della ricerca per chiedere, mentre dopo il passaggio al Senato la legge di stabilità approda alla Camera, un forte impegno a favore della messa in sicurezza del Paese, minacciato da precipitazioni sempre più intense e violente per i cambiamenti climatici in atto, dagli effetti di un territorio che ogni anno è reso più vulnerabile dal consumo di suolo, ma anche da una politica di mitigazione del rischio idrogeologico che continua a basarsi su pochi interventi di somma urgenza invece che su un’azione di prevenzione e manutenzione diffusa su tutto il territorio.

“Purtroppo – continua il testo -, nonostante i disastri e le tragiche conseguenze di questi fenomeni su tutto il territorio nazionale, si continuano a favorire progetti di occupazione di suoli naturali o agricoli invece che salvaguardarne la destinazione d’uso. Occorre allora scongiurare interventi normativi che prevedano la costruzione di nuovi milioni di metri cubi di cemento in aree oggi inedificabili o persino sottoposte a vincolo idrogeologico e archeologico: proposte che ancora vengono avanzate in parlamento persino nel dibattito sulla legge di stabilità. Interventi che aggraverebbero ancora di più un rischio che già riguarda l’82% dei Comuni italiani e oltre 6 milioni di cittadini che vivono o lavorano nelle aree considerate ad alto rischio idrogeologico”.

La difesa del suolo e le politiche di prevenzione del rischio sono urgenti, ed è evidente che quanto previsto dalla legge di stabilità su questo tema sia oggi assolutamente inadeguato. L’articolo 5 infatti, prevede come nuovi fondi solo 30 milioni per l’anno 2014, 50 milioni per l’anno 2015 e euro 100 milioni per l’anno 2016, mentre per l’autotrasporto sono previsti 330 milioni di euro.

“Per questo - scrivono i firmatari - le scriviamo affinché a partire dalla legge di stabilità, le politiche per la prevenzione e la mitigazione del rischio idrogeologico, diventino la prima grande opera pubblica per l’Italia. A partire da due richieste puntuali: la deroga al patto di stabilità per consentire alle amministrazioni locali di mettere in campo gli interventi previsti dai Piani di bacino e dalla pianificazione di settore per la mitigazione del rischio idrogeologico nei loro territori (perché queste spese relative alla mitigazione del rischio idrogeologico vanno considerate come veri e propri investimenti), e di aumentare la somma prevista dall’attuale legge di stabilità (180 milioni di euro per i prossimi tre anni) stanziando almeno 500 milioni di euro all’anno da destinare ad un’azione nazionale di difesa del suolo che rilanci la riqualificazione fluviale, la manutenzione ordinaria e la tutela del territorio come elementi strategici delle politiche di prevenzione, abbandonando la logica del ricorso a sole opere di somma urgenza, coerentemente con gli obiettivi della direttiva comunitaria 2007/60/CE sulla gestione del rischio alluvioni. Perché dopo anni di risorse virtuali e di finanziamenti erogati sulla base di schemi emergenziali, occorre oggi una scelta politica forte”.

Con l'auspicio che il presidente Letta voglia rispondere a questa sollecitazione e consapevoli che oggi non è più possibile rimandare le azioni necessarie a fermare i disastri che ogni anno si ripetono nel nostro Paese a causa di frane e alluvioni, si chiude la lettera firmata dai presidenti di Legambiente, Coldiretti, Anci, Consiglio nazionale dei geologi, Consiglio nazionale degli architetti, Consiglio nazionale dei dottori agronomi e forestali, Consiglio nazionale degli ingegneri, Consiglio nazionale dei geometri, Inu, Ance, Anbi, WWF, Touring Club Italiano, Slow Food Italia, Cirf, Aipin, Sigea, Tavolo nazionale dei contratti di fiume Ag21 Italy, Federparchi, Gruppo183, Arcicaccia, Alta Scuola, FAI, Italia Nostra,CTS, Società italiana dei territorialisti, Lipu, Cai, Federazione Italiana Pro natura



L’ÉLITE DELLA VERGOGNA

I super ricchi nel mondo evadono più di tutti. Una ricerca – citata dal quotidiano britannico Guardian – elaborata dal gruppo Tax justice network dal titolo ‘The Price of offshore revisited’ (Il costo delle economie off-shore rivisitato), denuncia un dato impressionante: alla fine del 2010 l’élite mondiale dei Paperoni di tutto il mondo ha custodito almeno 21 trilioni di dollari in conti correnti segreti nei cosiddetti paradisi fiscali off-shore (come la Svizzera e le isole Cayman). Tale cifra assomma a più del valore del pil di Stati Uniti e Giappone messi insieme.


Secondo l’ex economista capo dell’agenzia di consulenza finanziaria McKinsey, James Henry, che ha compilato la stima, la più dettagliata relativa al mondo sommerso dei paradisi fiscali, la cifra potrebbe arrivare a 32 trilioni di dollari. Nel rapporto, viene infatti tenuto in conto solo il capitale finanziario e non le proprietà, fra cui le barche di lusso, che spesso sono iscritte ai registri navali proprio dei Paesi dove è più facile evadere il fisco.

Ad aiutare gli evasori, le banche private: la ricchezza di questi individui – relaziona Henry – è protetta da “un branco di professionisti altamente retribuiti, appartenenti all’industria bancaria, legale, contabile e di investimento che si avvantaggia delle frontiere porose dell’economia globale”.

Sempre secondo la ricerca dell’economista, le prime dieci banche private, tra cui Ubs e Credit Suisse, così come la banca di investimenti Goldman Sachs, hanno gestito oltre 5,8 trilioni di euro nel 2010, contro i 3 milioni di euro del 2007. Lo studio, redatto con dati provenienti da una varietà di fonti, incluso la Banca dei Regolamenti Internazionali (Bank of Settlements) e il Fondo Monetario Internazionale, suggerisce che in numerosi Paesi emergenti il valore cumulativo del capitale uscito dalla loro economie dagli anni ’70 a oggi sarebbe abbastanza per pagare il debito col resto del mondo.

I Paesi ricchi di petrolio, con un’élite mobile a livello internazionale sono particolarmente soggetti a vedere la loro ricchezza scomparire in conti bancari off-shore anziché essere investiti in patria. Oltre sette miliardi di euro hanno lasciato la Russia dai primi anni ’90. Dagli anni ’70, sono usciti dall’Arabia Saudita 290 miliardi di euro. Dalla Nigeria, nello stesso periodo, una somma di poco inferiore: 288 miliardi di euro.

Il capitale che evade il controllo delle autorità fiscali nazionali è così imponente che nuovi parametri sono necessari per calcolare il divario tra ricchi e poveri. Secondo i calcoli di Henry, 9,2 trilioni di capitale sono nelle mani di appena 92mila persone, lo 0,001 percento della popolazione mondiale. “La disuguaglianza – scrive Henry – è molto peggiore delle statistiche ufficiali, ma i politici attuano ancora il trickle-down (sconti fiscali e agevolazioni a imprese e soggetti benestanti) per trasferire ricchezza ai poveri. La gente per strada non si fa più illusioni su quanto ingiusta sia di diventata la situazione”.

di Luca Galassi


martedì 26 novembre 2013

EXPORT, CONTRIBUENTI.IT: BOOM AL SUD, +14,6% NEI PRIMI 10 MESI.

Aumentano ad ottobre l’export dei prodotti agroalimentari ed enogastronomici italiani verso la Cina con +17,7%, il Nord America con +15,6%, la Russia con + 5,5%, il Giappone con +5,4% e la UE con +4,3%. 

In media, le esportazioni dei prodotti agroalimentari ed enogastronomici sono aumentate del +4,6 per cento dei primi 10 mesi del 2013, con il Sud in crescita del +14,6%, il Centro del +7,2%, mentre dati negativi si registrano nel Nord est con -0,8% e nel nord ovest con –0,6%. 

La Sicilia batte tutti con +24,6%, seguita dalla Campania con +19,4% e Puglia con +12,9%. Bene anche il Lazio con +7,9%, l’Abruzzo con +7,1% ed il Molise con +6,6%.
Nello stesso periodo decresce export di tutti i paesi concorrenti ad eccezione della Spagna con +2,6% per cento e Portogallo con +1,8%. Va male la Francia con il -4,4%, la Germania con il -3,1% e la Gran Bretagna con –2,2%.

E’ questa la sintesi della nuova indagine condotta dal Centro Studi e Ricerche Sociologiche “Antonella Di Benedetto” di KRLS Network of Business Ethics per conto di Contribuenti.it Magazine dell’Associazione Contribuenti Italiani, presentata oggi a Roma nel corso del convegno “YAMABELL 2.0: il progetto Export Sud”.

Il “progetto YAMABELL 2.0”, promosso dall’Associazione Contribuenti Italiani, si rivolge alle imprese che sono interessate a lavorare in rete avvalendosi dell’esperienza di Teams professionali di Business Conselors e Coaches Aziendali, con la mission di supportare, promuovere e sviluppare l’aggregazione di piccole e medie imprese, italiane ed europee, su programmi comuni, centrati sui mercati esteri.

“L’aggregazione, o rete d’imprese, - ha affermato Vittorio Carlomagno - può offrire una risposta ai limiti dimensionali delle nostre aziende, favorendone l’accesso all’estero e accrescendo o diversificando la gamma di prodotti e servizi offerti”
“Contribuenti.it intende promuovere tali iniziative – ha concluso Vittorio Carlomagno – incentivando i processi di cambiamento delle aziende italiane, adeguandole agli standard internazionali (UE, Cina, Russia, Usa e Giappone), rendendo il sistema economico più competitivo”.


L'UNIONE EUROPEA VA PROCESSATA PER CRIMINI CONTRO L'UMANITA'. GRECIA: SUICIDI 40% OMICIDI 100% SPESA SANITA' -40%. - I fatti e le opinioni del Nord - ilnord.it

L'UNIONE EUROPEA VA PROCESSATA PER CRIMINI CONTRO L'UMANITA'. GRECIA: SUICIDI 40% OMICIDI 100% SPESA SANITA' -40%. - I fatti e le opinioni del Nord - ilnord.it


NAPOLITANO EURODEPUTATO TALLONATO DA TV TEDESCA SU RIMBORSI [CENSURATO IN ITALIA] (VIDEO)

domenica 24 novembre 2013

CGIA, PAGHIAMO QUASI 44 MLD DI EURO ALL’ANNO DI TASSE AMBIENTALI, MA SOLO L’1% È DESTINATO ALLA MESSA IN SICUREZZA DEL TERRITORIO

Il disastro che si è abbattuto in queste ultime ore in Sardegna ripropone l’annoso problema della mancanza di risorse economiche per la messa in sicurezza del nostro territorio. In realtà, sottolineano dalla CGIA di Mestre, i soldi ci sarebbero, purtroppo vengono destinati ad altre finalità. Dichiara il segretario della CGIA, Giuseppe Bortolussi:

“Sostenere che queste sciagure accadono anche perché non ci sono le risorse finanziarie disponibili per la tutela e la manutenzione del nostro territorio risulta difficile, soprattutto a fronte dei 43,88 miliardi di euro che vengono incassati ogni anno dallo Stato e dagli Enti locali dall'applicazione delle imposte ambientali, di cui il 99% finisce invece a coprire altre voci di spesa. I soldi ci sono, peccato che ormai da quasi un ventennio vengano utilizzati per fare altre cose“.

Infatti, secondo la recente elaborazione realizzata dalla CGIA, solo l’1% delle imposte ambientali pagate dai cittadini e dalle imprese italiane all’Erario e agli Enti locali è destinato alla protezione dell’ambiente. Il restante 99%, purtroppo, va a coprire altre voci di spesa.

A fronte di 43,88 miliardi di euro di gettito incassati nel 2011 (ultimo dato disponibile) dall’applicazione delle cosiddette imposte “ecologiche” sull’energia, sui trasporti e sulle attività inquinanti, solo 448 milioni di euro vanno a finanziare le spese per la protezione ambientale.

Insomma, tutta quella sequenza di imposte spesso sconosciute che paghiamo quando facciamo il pieno alla nostra autovettura, quando paghiamo la bolletta della luce o del gas/metano, il bollo dell’auto o l’assicurazione della nostra auto, non vanno a sostenere le attività di salvaguardia ambientale per le quali sono state introdotte. La CGIA sottolinea che la selva di tasse ed imposte ambientali che grava sugli italiani è lunghissima. I tre grandi capitoli su cui insistono le imposte “verdi” sono: energia, trasporti ed inquinamento.

Vediamo nel dettaglio.

 Le imposte sull’energia:
Sovrimposta di confine sul GPL;
Sovrimposta di confine sugli oli minerali;
Imposta sugli oli minerali e derivati;
Imposta sui gas incondensabili;
Imposta sull’energia elettrica;
Imposta sul gas metano;
Imposta consumi di carbone.

 Le imposte sui trasporti:
Pubblico registro automobilistico (PRA);
Imposta sulle assicurazioni Rc auto;
Tasse automobilistiche a carico delle imprese;
Tasse automobilistiche a carico delle famiglie.

 Le imposte sulle attività inquinanti:
Tributo speciale discarica;
Tassa sulle emissioni di anidride solforosa e di ossidi di zolfo;
Tributo provinciale per la tutela ambientale;

Imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili.

ABUSI EDILIZI: FORESTALE, SEQUESTRATA UNA VASTA AREA ALL'INTERNO DEL PARCO REGIONALE DELL'APPIA ANTICA

Cinque persone denunciate per il reato di lottizzazione abusiva in concorso fra loro e per danno ambientale e sequestrata un'area di circa 26 ettari di agro romano all'interno del Parco regionale dell'Appia antica per violazione dei vincoli paesaggistici, ambientali, forestali ed urbanistici

È il risultato dell'operazione condotta, in corso da questa mattina, dal Corpo forestale dello Stato, su disposizione della Procura della Repubblica e convalidato dal Giudice per le Indagini Preliminari di Roma, che ha portato alla sospensione dei lavori della Tenuta di Tor Marancia, all'interno dell'area naturale protetta a sud della Capitale, a causa dell'alterazione del paesaggio rurale e forestale. Ad essere coinvolti il committente delle opere, il progettista, il direttore dei lavori, l'esecutore materiale degli interventi e il responsabile unico del procedimento.

L'indagine è partita a seguito dei controlli effettuati dal personale del Comando stazione di Roma del Corpo forestale dello Stato che ha segnalato la presenza di alcuni cantieri edilizi all'interno del bosco di alto fusto nel Parco regionale dell'Appia antica. Sono stati realizzati, infatti, due ampi parcheggi, un parco giochi, fognature e reti di irrigazione, la base di una pista ciclo-pedonale lunga oltre tre chilometri ed estese recinzioni di reti metalliche. Per realizzare tali opere sono stati sbancati diversi ettari di terreno, recise le radici di numerosi pini di alto fusto, compromettendone la stabilità, cementificato un sottobosco e sono state danneggiate numerose specie vegetali.

Dalle accurate indagini della Forestale si è appurato che la realizzazione degli interventi  sono stati autorizzati dai competenti uffici regionali e comunali, in base ad una Convenzione urbanistica dell'ottobre 2011 tra il Comune di Roma Capitale e un Consorzio edilizio. Secondo il programma di trasformazione urbanistica, su un'area rurale di circa 23 ettari, lungo via di Grotta Perfetta, in una zona adiacente al Parco regionale, dovrebbero essere realizzati 32 edifici ad uso abitativo con altezze fino a 8 piani, due asili nido, un centro polifunzionale, parcheggi, strade interne, una pista ciclo-pedonale e varie opere di urbanizzazione ed infrastrutture. Il tutto subordinato all'inizio dei lavori all'interno della Tenuta di Tor Marancia che avrebbero dovuto concludersi entro il mese di dicembre 2012. Tuttavia dentro un bosco, all'interno di un'area naturale protetta, sono presenti dei vincoli inderogabili e, pertanto, non si possono né autorizzare né costruire strade, parcheggi, muri in cemento armato, chioschi e parchi giochi. L'intera zona è, infatti, sottoposta a vincoli paesaggistici e ambientali e inoltre, sullo stesso territorio, nell'aree ricoperte da soprassuoli boschivi, si applicano le misure di salvaguardia previste per le aree forestali. I lavori realizzati non sono opere di pubblico interesse idonee a salvaguardare l'integrità dei luoghi e dell'ambiente naturale del comprensorio del Parco e pertanto non potevano essere autorizzati.

Inoltre, proprio all'interno della Tenuta Ceribelli, l'area dove si dovrebbero costruire i 32 palazzi, durante i sondaggi archeologici sono stati rinvenuti una necropoli risalente al periodo compreso tra il I e il II secolo d.C., piccoli mausolei e recinti funerari, una villa suburbana, vari ambienti agricoli, cisterne, un lungo tratto di strada romana con rivestimento pavimentale ben conservato, un tratto di acquedotto, un'antica cava e varie opere murarie.

L'area costituita dal Parco regionale dell'Appia antica nonché quelle prospiciente via di grotta perfetta ricade, infatti, tra le zone di interesse archeologico e paesaggistico.

TREDICESIME: CALO – 300 MILIONI DI EURO (- 0,9%) MONTE GRATIFICHE 2013,CHE SCENDE A 34,20 MILIARDI. Il 90,9 % (31,1 MLD) MANGIATO DA TASSE MUTUI, BOLLI, CANONI, RIMBORSO DEBITI.

IL  9,1% (MENO DI UN DECIMO)  DESTINATO A RISPARMI, REGALI, VIAGGI, ALIMENTARI !  VITE A RATE FAMIGLIE STROZZATE IDEOLOGIA DEBITO. ADUSBEF-FEDERCONSUMATORI: GOVERNO RIPRISTINI IVA (LA VERA TASSA SUI POVERI) AL 21 %.       

Mentre i mass media fanno a gara nelle lodi sperticate al “governo di banchieri, tecnocrati ed oligarchi” guidato da Enrico Letta, si accentua il disagio sociale di famiglie e cittadini, plasticamente dimostrato dal secondo calo delle tredicesime nel biennio 2012-2013, come risulta dal 23^ rapporto Adusbef. Fra tre settimane saranno pagate infatti le tredicesime, che ammontano quest’anno a 34,20 miliardi di euro (-0,3 miliardi, con un decremento dello 0,9% per cento rispetto al 2012), così ripartite: 9,8 miliardi ai pensionati (-1%); 9,1 miliardi ai lavoratori pubblici (-1,1%); 15,3 mld  (-0,6%) ai dipendenti privati (agricoltura, industria e terziario). Ma dopo un anno  di rincari ed aumenti speculativi che hanno falcidiato i redditi delle famiglie costrette a nuovi debiti, con una perdita ulteriore del potere di acquisto, resterà poco per festeggiare.

      Sarà un Natale durissimo, dopo l’onda lunga delle convulsioni finanziarie derivanti dagli spread, dagli scandali finanziari legati alla manipolazione di Libor, Euribor e tassi sui cambi, dalla politica dei sacrifici insostenibili imposti dalla troika a paesi in crisi come Grecia, Spagna e Portogallo, con l’unica nota positiva della richiesta di rinvio a giudizio delle agenzie di rating e la vittoria di un italo-americano come sindaco di New York. Si faranno sentire gli effetti dei diktat europei e della troika, del “Fiscal Compact” (recepito dall’Italia ma bocciato dal parlamento tedesco), del “Six-Pack”  e del "Two-pack", cioè i due regolamenti approvati dal Consiglio europeo il 13 maggio 2013 con l'obiettivo di introdurre, per i paesi dell'eurozona, più coordinamento e vigilanza nel processo di formazione delle politiche fiscali nazionali, rinunciando alla sovranità nazionale, che impone  ad ogni paese dell’eurozona di presentare entro il 15 ottobre di ogni anno la bozza di bilancio per l’anno successivo a Commissione ed Eurogruppo (il coordinamento europeo che riunisce i ministri dell'Economia e Finanze dei paesi euro).  

     Le leggi di Stabilità, saranno scritte d’ora in avanti sotto diretta dettatura della Commissione europea, che le soppeserà con cura e le rispedirà al mittente se non conformi al Patto di Stabilità e di Crescita (costituzionalizzato nel frattempo con il Fiscal compact) ed alle raccomandazioni della Commissione, come ha chiesto ed ottenuto nelle scorse settimane il commissario Olli Rehn al parlamento italiano, intimando al Governo Letta-Saccomanni l’aumento dell’Iva (tassa sui poveri), dal 21 al 22 per cento.  La genesi delle politiche restrittive imposte dall’Unione Europea ai paesi del Sud Europa, che hanno ceduto qualsiasi residuo di sovranità, con l’effetto di impoverire i popoli di Grecia, Portogallo, Spagna e Italia, drogati in una prima fase dal credito facile per comprare le merci straniere, che hanno prodotto una inaccettabile austerità ad esclusivo vantaggio delle banche tedesche e della Germania, alla quale viene fornita  nuova mano d'opera a basso costo ed il pretesto  per ridiscutere (al ribasso) il proprio sistema di welfare.

    Tredicesima ancor più che falcidiata quindi sotto l’albero di Natale, per pagare gli aumenti infiniti iniziati a gennaio 2013 con le tariffe autostradali, benzina, bolli, tasse, tarsu, ed Imu  riciclate nella Trise, ed altri ordinari balzelli.  A fine anno, oltre alla busta paga più pesante, arrivano infatti anche le consuete scadenze fiscali, quali tasse,  bolli,  rate e canoni, che durante il mese di dicembre i contribuenti sono chiamati a versare. Con il risultato di ridurre del 90,9 per cento l’agognata gratifica natalizia. Nel rincorrersi dei pagamenti da effettuare entro il 31 dicembre, dei 34,20 miliardi di euro di tredicesime che verranno pagate quest’anno, soltanto il 9,1 per cento, ossia 3,1 miliardi di euro, per la prima volta  meno di un decimo del monte tredicesime, resterà realmente nelle tasche di lavoratori e pensionati. 

    Nel consueto appuntamento che fa i conti (da 23 anni) nelle tasche degli italiani, Adusbef e Federconsumatori prevedono un Natale durissimo sul fronte dei consumi per i regali, destinati a calare del -11,2 per cento perché almeno 3 famiglie su quattro taglieranno le spese per l’incerta situazione economica. A “bruciare” un’ ampia fetta delle tredicesime bollette, utenze, ratei e prestiti per un valore di 12,4 miliardi (ben il 36,3% del totale). La RC Auto, che continua a salassare le tasche degli automobilisti con rincari ingiustificati pari al 7% a fronte di una riduzione dei sinistri, mangerà 5,9 miliardi di euro, il 17,3% delle tredicesime, mentre 4,9 miliardi di euro, serviranno per pagare le rate dei mutui. Il salasso non è però ancora finito: 4,1 miliardi di euro (il 12%) se ne andranno per pagare le tasse di auto e moto, mentre 2,0 miliardi (6,4 %) spariranno per il canone Rai che sarà incrementato nonostante un deterioramento della qualità del servizio pubblico.

   La tredicesima per la maggior parte delle famiglie è già stata pesantemente ipotecata  non solo per pagare tasse, ratei e bollette delle utenze domestiche (Enel, Telecom, Gas, ecc.), ma un ulteriore 12,6 per cento, pari a 4,3 miliardi di euro, servirà per pagare i prestiti contratti con banche, finanziarie, parenti, amici e/o conoscenti per sopravvivere, dato che stipendi, salari e pensioni non bastano più per far quadrare i bilanci famigliari.

    Per scopi più piacevoli restano 3,1 miliardi di euro, il 9,1% del monte tredicesime, che potranno essere utilizzati per cenone, regali (spesso ai più piccoli), qualche viaggio, qualcosa da mettere da parte per future esigenze: una miseria, che non servirà a rilanciare i consumi, né ad alleviare le preoccupazioni di famiglie sempre più impoverite da rincari speculativi che si profilano in tutti i settori con la sciagurata tassa sui poveri denominata Iva al 22% e da un  futuro incerto, nonostante un tasso di fiducia, costruito a tavolino, che non aiuterà i consumatori, soprattutto i giovani che protestano per il futuro ipotecato, ad essere più sereni e fiduciosi. 

    Adusbef e Federconsumatori, invitano il Governo ad un ravvedimento operoso, ripristinando l’Iva al 21%, la “tassa sui poveri” che colpisce indistintamente tutti i consumatori, gravando in particolare sulle più basse fasce di reddito aggravando così la recessione con un aumento dell’inflazione ed un calo dei consumi, varando un urgente contestuale decreto per una tassa sui patrimoni oltre 1,5 milioni di euro.     

Le tabelle che seguono riportano le stime di Adusbef.

MONTE TREDICESIME 2013  (In miliardi euro) 
Variazione sul 2012

2012
2013

Variaz. 2013/2012
Pensionati
9,90
9,80

- 1,0 %
Lavoratori pubblici
9,20
9,10

- 1,1 %
Dipendenti privati
15,40
15,30

- 0,6 %
TOTALE TREDICESIME
      34,50
34,20

- 0,9  %

Come verranno spese le tredicesime 2013  - Importi in miliardi di euro 
(In parentesi: percentuale su monte tredicesime dell’anno) 
Stime Adusbef (22 ° rapporto)  su dati ufficiali   
(Variazione sul 2012)


2012
2013
Variazione 2013/2012
RCAuto
5,3  (15,4%)
5,9 (17,3%)
+ 11,3 %
Prestiti / Ratei
3,0    (8,7%)
4,3 (12,6%)
+ 43,0 %
Canone Rai
1,9    (5,5%)
2,0 (5,8%)
+ 5,3 %
Mutui casa
4,6   (13,3%)
4,9 (14,3%)
+ 6,5 %
Bolli auto/moto
3,7   (10,7%)
4,1 (12,0%)
+10,8 %
Bollette + Utenze
7,3   (21,2%)
8,1 (23,7%)
+ 11,0 %
IMU Famiglie (seconda casa)
4,6   (13,0 %)
1,8 (5,3%)
- 60,1 %
TOTALE SPESO
31,3   (90,7%)
31,1 (90,9)
-0,6 %
RIMANENZA
3,2     (9,3%)
           3,1  (9,1%)
-3,1 %
TOTALE  TREDICESIME
34,50   Mld
      34,20  Mld
- 0,9 %


sabato 23 novembre 2013

L’UOMO E L’AMBIENTE: 500MILA ANNI DI FOLLIA IN 3 MINUTI E MEZZO (VIDEO)

senza parole. Siamo riusciti anche nell'intento di far morire un'oceano. E' evoluta la specie che uccide il suo unico habitat?
Barbara

L’uomo e l’ambiente: 500mila anni di follia in 3 minuti e mezzo

Scritto da: Davide Mazzocco - lunedì 18 novembre 2013
Il genio di Steve Cutts per raccontare la (d)istruttiva storia di quello che l’uomo ha chiesto e continua a chiedere alla natura. Un corto d’animazione che diventa operetta morale

Steve Cutts è un eclettico blogger ed artista londinese che spazia dalla pittura alla scultura, dall’illustrazione all’animazione. Quello che Ecoblog vi propone quest’oggi è un video dalla forte tematica ecologista, intitolato Man. Pubblicato il 21 dicembre 2012 su Youtube, questo video è diventato un vero e proprio caso ottenendo oltre 5.211.000 visualizzazioni sulla principale piattaforma video al mondo e più di un milione di play su Vimeo.

Il tema centrale di questo splendido corto è l’ambiente. L’uomo arriva sulla Terra e la prima cosa che impara è la violenza verso gli altri esseri viventi. Dall’atto gratuito si passa all’utilitarismo. L’uomo utilizza la pelle dei serpenti per fare degli stivali e le pellicce per coprirsi dai rigori del freddo, poi inizia a uccidere gli animali per i motivi più futili: per divertimento, per oggetti di lusso. Lo stupro nei confronti della natura continua con foreste di alberi che vengono trasformate in altissime colonne di fogli di carta.

In un progresso autodistruttivo scandito dal Peer Gynt di Edvard Grieg, l’uomo, inconsapevole dei danni che procura alla Terra, continua incessante la sua marcia cementificando tutto il cementificabile. Lasciamo agli utenti di Ecoblog la sorpresa del beffardo epilogo, consapevoli del fatto di come un video di questo genere sia più potente, dal punto di vista della comunicazione, di qualsiasi campagna o pubblicità progresso di stampo tradizionale.

L’animazione è un’arte giovane e vitale che trova nella forma del corto la sua espressione più efficace. In poco più di tre minuti e mezzo, Cutts ci mette di fronte all’assurdità dei nostri comportamenti. E il male più grande non sembra tanto essere l’errore quanto la perseveranza nello sbagliare. Una perseveranza che rischia di fare dell’uomo, il folle re di un regno inutile.

Via | Youtube



LANDINI: “A SINISTRA NON C’È UNA FORZA CHE SI FACCIA CARICO DEI DIRITTI DEI LAVORATORI”


“Il lavoro è decisivo per cambiare il Paese e combattere le diseguaglianze ma negli ultimi anni è stato cancellato e precarizzato. La sola forza della partecipazione potrà portare al miglioramento”. Maurizio Landini, segretario Fiom, descrive il senso del suo libro “Forza Lavoro” (Feltrinelli Editore, 135 pagine, 14 Euro) che affronta la crisi, i disagi sociali, il ruolo della politica e le logiche dell’economia. Un capitolo è dedicato alreferendum di Mirafiori “che ha reso evidente il disegno di un’impresa volto a cambiare i rapporti sociali nel Paese. Una battaglia che andava fatta, come ha dimostrato tre anni dopo la Corte costituzionale“. “Non vedo a sinistra una forza politica che si fa carico dei diritti negati dei lavoratori. Sel ha presentato la proposta sul reddito minimo, ma il Pd sembra ancora distante da questi temi”, dice Stefano Rodotà, impegnato nella presentazione del libro con l’autore e Antonio Padellaro, direttore del Fatto Quotidiano. Landini lo ripete anche nel libro: “Non ho intenzione di candidarmi”. E Rodotà aggiunge: “Lo abbiamo detto tante volte, non vogliamo fare il partitino. Imovimenti referendari, Libera, la Fiom, Emergency hanno vinto le loro battaglie, per questo io sto dalla parte di Landini che in questo momento guida un soggetto vincente che non deve abbandonare”  di Annalisa Ausilio

FUKUSHIMA, SILENZIO DEI MEDIA. MA LE FUORIUSCITE RADIOATTIVE PROSEGUONO

L'emergenza non è archiviata. Una petizione chiede al Giappone di trattare con maggiore trasparenza la situazione. Intanto, nessuno sa dove siano finiti i "noccioli" di tre reattori e a Fukushima Daiichi, centrale in funzione da oltre 40 anni, ci sono circa undicimila barre di combustibile “spento”, un micidiale mix di uranio e plutonio.


Ormai nessuno ne parla più. E non solo sui media italiani, notoriamente poco propensi a seguire con continuità eventi stranieri, aldilà dell’emergenza. Eppure a Fukushima l’emergenza è tutt’altro che archiviata. E se mantra, scongiuri e menzogne del governo sono riusciti a convincere il Cio ad affidare le Olimpiadi del 2020 a Tokyo, la realtà è quella che è e va, di tanto in tanto, ricordata. La situazione di Fukushima – dove proprio in questi giorni è iniziata una delle operazioni più delicate e pericolose (il trasferimento di migliaia di barre di uranio altamente radioattive dalla cosiddetta “piscina” del reattore n.4, l’unico a non avere subito il meltdown perché all’epoca era spento) non ha precedenti per quanto è successo, quanto sta succedendo e quanto potrebbe ancora succedere.
Un incubo che coinvolge non solo i poveracci che ci lavorano dentro e la popolazione locale, ma l’intero Giappone e l’intera comunità internazionale, come giustamente continuano a denunciareGreenpeace e altre organizzazioni internazionali composte non solo solo da attivisti antinucleari, ma da fior fiore di scienziati come Arnie Gundersen e Harvey Wasserman. Date un’occhiata a Fairewinds.org all'appassionata denuncia della situazione, con annessa petizione da firmare on line. La petizione è già sul tavolo di Ban Ki Mon, segretario generale dell’Onu e davvero non si capisce perchè l’Onu, a questo punto, non imponga al Giappone di trattare e gestire la questione con maggiore senso di responsabilità e trasparenza. In sintesi, possiamo dire che a Fukushima, a quasi tre anni dalla catastrofe, sussistono tre grandi problemi.
1 – Non si sa dove siano finiti i “noccioli” di tre reattori. Davvero. Non si sa.
2 – Continuano, senza sosta, le fuoriuscite, anche ingenti, di acqua contaminata. L’intera centrale, è un vero e proprio colabrodo. Non fanno a tempo a tappare (spesso in modo assolutamente precario) una perdita che se ne scoprono di nuove.

3 – A Fukushima Daiichi, centrale in funzione da oltre 40 anni, ci sono circa undicimila barre di combustibile “spento”, un micidiale mix di uranio e plutonio che qualcuno ha definito, giustamente, la cosa più pericolosa mai prodotta dall’uomo. Essendo Fukushima in piena emergenza, sono tutte a rischio. Circa 1500 (quelle che la Tepco ha cominciato a trasferire) sono ad altissimo rischio. Ciascuna di esse, se “maltrattata”, potrebbe provocare una nuova, tragica emergenza nucleare. Eppure, nonostante i ripetuti appelli della comunità internazionale e persino del governo giapponese, la Tepco ha deciso di procedere da sola, senza l’assistenza di “tecnici” stranieri. Questo non è eroismo, né orgoglio nazionale: è arroganza e profondo senso di irresponsabilità (qui potete vedere foto e video ufficiali).
Ciascuno dei problemi elencati è di per sé un’emergenza che dovrebbe essere gestita sotto i riflettori del mondo e non, come avviene a Fukushima, con visite guidate, comunicati stampa e dati inverificabili. Già il fatto che ci sia stato (e negato per oltre tre mesi) un triplo meltdown è un evento senza precedenti. Ma che nessuno sia ancora in grado di capire dove siano finiti i “noccioli” ha dell’inverosimile. La Tepco, che continua ogni tanto ad innaffiare i reattori, sostiene che sono ancora all’interno, che non hanno “bucato” la cosiddetta camicia esterna, in acciaio e cementoarmato. Ma nessuno lo sa con certezza. Nessun essere umano ha potuto sinora avvicinarsi ai tre reattori per verificarlo: nemmeno i supersofisticati “robot”. Appena entrano nel reattore, “friggono”, a causa delle radiazioni. C’è la concreta possibilità che almeno una parte dei “noccioli”, sotto forma di lava incandescente, abbia perforato il cemento e sia penetrata nelle falde acquifere. E’ una plausibile giustificazione dei numerosi “hot spots” che pullulano attorno alla centrale, anche oltre la cosiddetta “zona di sicurezza” di 20 km. Senza precedenti è anche la quantità di acqua contaminata che Tepco e governo giapponese – dopo averlo per lungo tempo negato – hanno ammesso di riversare quotidianamente in mare. E’ vero che l’Oms, l’Organizzazione Mondiale per la Sanità, ha affermato che non si tratta di quantitativi “pericolosi per l’uomo”. Ma c’è da fidarsi? Molti esperti dicono di no, che non c’è da fidarsi, che solo tra qualche anno ci renderemo conto delle reali dimensioni di questa catastrofe e dell’impatto ambientale che ha provocato.
Le stesse Nazioni Unite stanno preparando un dettagliato rapporto che – secondo alcune indiscrezioni – è destinato a contraddire quanto sostenuto dall’Oms. Il rilascio in mare non è certo l’unico problema delle acque contaminate. C’è, ed è forse più grave, quello dei serbatoi (in superfice ed interrati) che la Tepco continua a costruire per conservare l’acqua contaminata di “risulta”, dopo cioè che è stata usata per raffreddare i reattori. I serbatoi in superficie sono oramai più di un migliaio, più un imprecisato numero di interrati. Molti denunciano perdite, che vengono tamponate in modo francamente artigianale: abbiamo visto con I nostri occhi degli operai siliconare e posizionare sacchetti di sabbia intorno ai serbatoi. Ogni giorno, i dati sono della Tepco, 400 tonnellate di acqua vengono usate per raffreddare i reattori: nonostante gli enormi costi sostenuti sinora, il sofisticato sistema di decontaminazione gestito assieme alla società francese Areva non ha mai funzionato perfettamente.
Il risultato è che circa la metà dell’acqua deve essere immagazzinata nei serbatoi. Attualmente pare ce ne siano circa 400 mila, nel giro di due anni, a questi ritmi, saranno il doppio, 800 mila. I serbatoi sono stati costruiti in fretta e furia e come già detto hanno perdite dappertutto. Ma cosa succederebbe in caso di un terremoto serio? Se tutto va bene, e francamente ce lo auguriamo, per decommissionare definitivamente i reattori di Fukushima ci vorranno 30, forse 40 anni. Nel frattempo, fra sette anni, ci saranno le Olimpiadi. Forse la comunità internazionale dovrebbe puntare i piedi e far capire al Giappone che non può continuare a nascondere una realtà che può – letteralmente – esplodere in qualsiasi momento. Nel frattempo, sarebbe dovere dei media di tutto il mondo, visto che quelli nazionali sono ricattati dall’ancora potente lobby nucleare, mantenere gli occhi, anzi, i riflettori, aperti.


di Pio d'Emilia