domenica 29 settembre 2013

LA MAPPA DELLA DEMOCRAZIA PERDUTA (IN EUROZONA)

Una breve nota di ZeroHedge a proposito dell'ultimo rapporto sull'Indice di Democrazia stilato dall'Economist Intelligence Unit. Risultato: negli ultimi cinque anni la democrazia nell'eurozona è regredita in misura maggiore che in qualsiasi altra macro-area del pianeta.


Zerohedge scrive:

Secondo l’indice di democrazia elaborato dall'Economist Intelligence Unit (EIU), dal 2008 la democrazia è regredita in 15 su 17 paesi dell’eurozona. Come evidenzia Niraj Shah su Bloomberg, l’indice è precipitato di 0,48 punti in Grecia tra il 2008 e il 2012, poiché le politiche sono state sempre più influenzate dalla BCE, dall’EU e dal FMI, invece che da politici eletti. Nello stesso periodo l’indice è calato di 0,48 punti anche in Germania, per la mancanza di ricambio dei membri dei maggiori partiti alle elezioni.Secondo l’indice, che viene calcolato dal 2006 e si basa su 60 indicatori appartenenti a 5 categorie che includono pluralismo politico, libertà civili, partecipazione politica e cultura, la Finlandia è il paese più democratico dell’eurozona. Siamo certi che Nigel Farage avrà qualcosa da dire riguardo a questa lugubre perdita di controllo democratico. ”


Abbiamo anche noi analizzato l’indice (che varia da 0 a 10) nel periodo 2008-2012, ed ecco cosa risulta:

  • Tra i continenti, l’Indice di Democrazia è aumentato in Medio Oriente (+0,19 punti) e in Africa (+0,04 punti).

  • È sceso di -0,03 punti a livello globale, di -0,05 punti in Nord America, di -0,07 punti in Sud America, di -0,02 punti in Asia, e… risultato peggiore, di -0,23 punti nell’eurozona e di -0,13 nei paesi non-euro dell'UE.

  • Il calo maggiore all'interno dell’eurozona si è avuto in Olanda (-0,54), Grecia (-0,48), Germania (-0,48), Irlanda (-0,45), Spagna (-0,43) e Cipro (-0,41). L’Italia invece “perde democrazia” in linea con la media dell’eurozona (-0,24), ma si collocava già tra gli ultimi posti




sabato 28 settembre 2013

GLI SPRECHI ALIMENTARI GRAVANO SUL CLIMA, SULLE RISORSE IDRICHE, SUL SUOLO E SULLA BIODIVERSITÀ

Secondo un nuovo rapporto FAO i costi economici diretti sono di 750 miliardi di dollari l'anno - Necessarie migliori politiche

La perdita della strabiliante quantità di 1,3 miliardi di tonnellate di cibo l'anno non solo causa gravi perdite economiche, ma anche grava in modo insostenibile sulle risorse naturali dalle quali gli esseri umani dipendono per nutrirsi, denuncia un nuovo rapporto FAO pubblicato oggi.

Il rapporto Food Wastage Footprint: Impacts on Natural Resources (L'impronta ecologica degli sprechi alimentari: l'impatto sulle risorse naturali N.d.T.) è il primo studio che analizza l'impatto delle perdite alimentari dal punto di vista ambientale, esaminando specificamente le conseguenze che esse hanno per il clima, per le risorse idriche, per l'utilizzo del territorio e per la biodiversità.

Il rapporto evidenzia che:

Ogni anno, il cibo che viene prodotto, ma non consumato, sperpera un volume di acqua pari al flusso annuo di un fiume come il Volga; utilizza 1,4 miliardi di ettari di terreno - quasi il 30 per cento della superficie agricola mondiale - ed è responsabile della produzione di 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra.

Oltre a questo impatto ambientale, le conseguenze economiche dirette di questi sprechi (esclusi pesci e frutti di mare), si aggirano secondo il rapporto intorno ai 750 miliardi di dollari l'anno.

"Queste tendenze mettono un'inutile e insostenibile pressione sulle risorse naturali più importanti, e devono essere invertite", ha affermato il Direttore Generale della FAO, José Graziano da Silva. "Tutti - agricoltori e pescatori, lavoratori nel settore alimentare e rivenditori, governi locali e nazionali, e ogni singolo consumatore - devono apportare modifiche a ogni anello della catena alimentare per evitare che vi sia spreco di cibo e invece riutilizzare o riciclare laddove è possibile".

"Oltre all'imperativo ambientale, ve n'è anche uno di natura etica: non possiamo permettere che un terzo di tutto il cibo che viene prodotto nel mondo vada perduto, quando vi sono 870 milioni di persone che soffrono la fame", ha aggiunto Graziano da Silva.

Insieme al nuovo studio la FAO ha pubblicato anche Toolkit: Reducing the Food Wastage Footprint, un manuale di 100-pagine su come ridurre le perdite e gli sprechi di cibo in ogni fase della catena alimentare.

Nel manuale vengono presentati un certo numero di progetti che mostrano come governi nazionali e locali, agricoltori, aziende e singoli consumatori possono adottare misure per affrontare il problema.

Achim Steiner, Sotto-Segretario Generale dell'ONU e Direttore Esecutivo del Programma per l'Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP), ha dichiarato: "L'UNEP e la FAO hanno identificato lo spreco di cibo come una grande opportunità verso un'economia verde a basse emissioni di carbonio, che fa un uso efficiente delle risorse".  "Il rapporto presentato oggi dalla FAO sottolinea i molteplici vantaggi che possono essere realizzati - in molti casi attraverso semplici misure da parte delle famiglie, dei dettaglianti, dei ristoranti, delle scuole e delle imprese - che possono contribuire alla sostenibilità ambientale, a migliorare l'economia e la sicurezza alimentare, e alla realizzazione della sfida Fame Zero lanciata dal Segretario Generale delle Nazioni Unite".

L'UNEP e la FAO sono i cofondatori della campagna Think Eat Save per ridurre l'impronta ambientale lanciata all'inizio dell'anno, il cui scopo è dare assistenza e coordinare a livello mondiale l'impegno per ridurre gli sprechi alimentari.

Come e dove viene sperperato il cibo

Secondo lo studio FAO, il 54 per cento degli sprechi alimentari si verificano "a monte", in fase di produzione, raccolto e immagazzinaggio. Il 46 per cento avviene invece "a valle", nelle fasi di trasformazione, distribuzione e consumo.

In linea generale, nei paesi in via di sviluppo le perdite di cibo avvengono maggiormente nella fase produttiva, mentre gli sprechi alimentari a livello di dettagliante o di consumatore tendono ad essere più elevati nelle regioni a medio e alto reddito - dove rappresentano il 31/39 per cento del totale - rispetto alle regioni a basso reddito (4/16 per cento).

Il rapporto fa notare che più avanti lungo la catena alimentare un prodotto va perduto, maggiori sono le conseguenze ambientali, dal momento che i costi ambientali sostenuti durante la lavorazione, il trasporto, lo stoccaggio ed il consumo devono essere aggiunti ai costi di produzione iniziali.

Zone critiche

Lo spreco di cereali in Asia è un problema di notevoli dimensioni, che ha grandi ripercussioni sulle emissioni di carbonio, sulle risorse idriche e sull'uso del suolo.  Nella coltivazione del riso questo è particolarmente evidente, in considerazione dell'elevata emissione di metano che la sua produzione comporta e del grande livello di perdite.

Mentre il volume degli sprechi di carne in tutte le regioni del mondo è relativamente basso, il settore carne genera un notevole impatto sull'ambiente, in termini di occupazione del suolo e di emissioni di carbonio, in particolare nei paesi ad alto reddito e in America Latina, che insieme sono responsabili dell'80 per cento di tutti gli sprechi di carne.  Escludendo l'America Latina, le regioni ad alto reddito sono responsabili di circa il 67 per cento di tutto lo spreco di carne.

In Asia, America Latina ed Europa lo spreco di frutta contribuisce in modo significativo al consumo di risorse idriche, soprattutto a causa dell'alto livello di perdite.

Allo stesso modo, il grande volume di spreco di verdure in Asia, Europa, Sud e Sud-Est asiatico si traduce in una grande impronta di carbonio per tale settore.

Le cause dello spreco di cibo e i suggerimenti su come ridurlo

Alla base dell'alto livello di perdite alimentari nelle società opulente vi è il comportamento dei consumatori insieme alla mancanza di comunicazione lungo la catena di approvvigionamento. I consumatori non riescono a pianificare i propri acquisti, comprano più cibo di quel che serve, o reagiscono in modo eccessivo all'etichetta "da consumarsi entro", mentre eccessivi standard di qualità ed estetici portano i rivenditori a respingere grandi quantità di cibo perfettamente commestibili.

Nei paesi in via di sviluppo, le perdite avvengono principalmente nella fase post-raccolto e di magazzinaggio a causa delle limitate risorse finanziarie e strutturali nelle tecniche di raccolto, di stoccaggio e nelle infrastrutture di trasporto, insieme a condizioni climatiche favorevoli al deterioramento degli alimenti.

Per affrontare il problema, il manuale della FAO presenta tre livelli in cui è necessario intervenire:

  • La riduzione degli sprechi dovrebbe diventare una priorità. Limitando le perdite produttive delle aziende agricole dovute a cattive pratiche e bilanciando meglio la produzione con la domanda consentirebbe di non utilizzare le risorse naturali per la produzione di cibo non necessario. 

  • In caso di eccedenze alimentari, il riutilizzo all'interno della catena alimentare umana - la ricerca di mercati secondari o la donazione del cibo eccedente ai membri più vulnerabili della società - rappresenta l'opzione migliore. Se il cibo non è idoneo al consumo umano, la seconda alternativa è quella di destinare il cibo non utilizzato all'alimentazione del bestiame, preservando risorse che sarebbero altrimenti utilizzate per produrre mangimi commerciali.

  • Laddove il riutilizzo non fosse possibile, si dovrebbe pensare a riciclare e recuperare l'eccedenza di cibo: riciclaggio dei sottoprodotti, decomposizione anaerobica, elaborazione dei composti e l'incenerimento, con recupero di energia rispetto all'eliminazione nelle discariche. (Il cibo non consumato che finisce per marcire nelle discariche è per altro un grande produttore di metano, gas serra particolarmente dannoso).
Il rapporto Food Wastage Footprint ed il manuale su cosa fare contro gli sprechi sono stati finanziati dal governo tedesco.

giovedì 26 settembre 2013

FISCO, CONTRIBUENTI.IT: CORRUZIONE + 536% IN 5 ANNI. 3 IMPRESE SU 5 CHIUDONO DOPO UN CONTROLLO.

"La corruzione e l’equità fiscale sono i principali problemi che affliggono i contribuenti". Lo ha affermato il Presidente dei Contribuenti Italiani, Vittorio Carlomagno nel presentare stamane a Capri il 3° Rapporto del Contribuente 2013 redatto da Contribuenti.it - Associazione Contribuenti Italiani.

"Non si può combattere l’evasione fiscale se non si sradica la corruzione diffusa che si registra nel nostro Paese - ha aggiunto Carlomagno – La corruzione provoca sia un danno diretto all’economia, generando costi insostenibili per le imprese, che un danno indiretto, allontanando quelle straniere dall’investire in Italia”. 

In Italia, dal 2008 al 2013, la corruzione è cresciuta del 536%, raggiungendo un giro d’affari di 74 MLD di euro l''anno.

Anche lo stato di salute dei contribuenti italiani peggiora. Sempre più imprese italiane chiudono i battenti dopo aver ricevuto una verifica fiscale. Secondo il 3° Rapporto del Contribuente 2013, nel I semestre soltanto 2 imprese su 5 (40,3%) che ricevono un accertamento tributario riescono a sopravvivere, contro il 93,2% registrato nel 2008. Anche la richieste di rateizzazione del pagamento dei tributi è cresciuta superando la stratosferica cifra di 20 MLD di euro. 


Ma il vero e proprio boom si registra nell’uso del ravvedimento operoso: +166% nel 2013: 3 contribuenti su 4 non riescono più a pagare nei termini le imposte. Nel I semestre del 2013 è cresciuta anche la sfiducia dei Contribuenti Italiani nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria. Il 74,8% dei Contribuenti chiedono la riforma del Garante del Contribuente e la riforma della mediazione tributaria perché non sono organi terzi. Al contrario, cresce la fiducia nella Giustizia tributaria dell’16,1%, passando dal 73,3% del 2008 all’89,4% del 2013.

CAMPANIA: UNA REGIONE BELLISSIMA PER L’81,6% DEGLI ITALIANI


Il 68,4% vorrebbe visitarla, ma per il 38,3% è ancora scarso il senso del rispetto delle regole dei campani, per il 22% la convivenza civile

Quale immagine hanno gli italiani della Campania? E cosa pensano i cittadini campani di loro stessi e della loro regione? Dalla ricerca del Censis su immagine, identità e valori della Campania emergono alcune sorprese che sfatano alcuni dei luoghi comuni più diffusi.
La propensione dei cittadini campani al bene comune, almeno nelle intenzioni, non è inferiore alla media nazionale. L'83,8% si dice disponibile a denunciare la criminalità organizzata, il 79,5% a denunciare chi non paga le tasse, il 62,7% a segnalare abusi edilizi. Quindi più di tre quarti della popolazione si sentono pronti a comunicare all'autorità pubblica piccole o grandi illegalità. Positivo è anche il dato sulla disponibilità a darsi da fare in caso di calamità naturali (74,1%). Probabilmente la tragedia dell'Irpinia e le più recenti alluvioni hanno lasciato un segno profondo nelle coscienze.

Il 60% dei cittadini campani si sente vitale, il 45,3% (il 5% in più rispetto alla media nazionale) afferma di progettare il proprio futuro, ma il 57,5% sostiene che vorrebbe fare qualcosa ma non sa che cosa. Emerge una spinta verso il superamento del senso di apatia e il fatalismo che spesso hanno rallentato lo sviluppo e le trasformazioni. Ma la voglia di fare rischia di rimanere delusa. Nella regione la percentuale di quanti si dicono frustrati (35,5%) è maggiore di 9 punti rispetto alla media italiana.

La coesione sociale viene percepita come molto bassa. Soltanto il 15,2% degli abitanti della regione ritiene che la coesione nel proprio territorio sia forte. Così come l'onestà dei cittadini (forte solo per il 16%) e il senso del rispetto delle regole (11,6%): tutti dati nettamente più bassi della media nazionale. Per quanto riguarda gli aspetti positivi, viene riconosciuta la forza delle tradizioni (57,1%, 8 punti percentuali in più rispetto al resto del Paese) e la capacità di accoglienza delle persone (53,5%).

E cosa gli italiani pensano dei campani? Il 38,3% considera scarsa la tendenza dei campani a rispettare le regole. Un po' più indulgenti sulla convivenza civile, giudicata di scarso livello dal 22%. Migliora il giudizio sulla coesione sociale: un terzo degli italiani la giudica positivamente e un'altra metà ne dà una valutazione discreta. E oltre il 60% degli italiani dà un giudizio positivo sul patrimonio culturale e ambientale della regione.



Ma l'opinione che mette d'accordo gli italiani è che la Campania è una regione bellissima: ne è convinto l'81,6%. Eppure, circa la metà ritiene che sia un posto pericoloso, sebbene il 47,8% credea che sia ingiustamente descritta male dai media. Circa il 60% degli italiani ha visitato la Campania almeno una volta nella vita. Di questi, solo il 4,4% l'ha trovata peggiore di come gliel'avevano raccontata, mentre il 44,2% la considera migliore di come viene descritta. Tra coloro che non l'hanno mai visitata, il 68,4% se ne sente attratto e gli piacerebbe visitare la regione.

CENSIS: NEL LAZIO LE FAMIGLIE SPENDONO DI TASCA PROPRIA PER LA SANITÀ PIÙ CHE NEL RESTO D’ITALIA

Le reti familiari informali tengono, ma preoccupa il futuro dei figli. E il 23% ha rinunciato al dentista perché troppo costoso

L'integrazione familiare dell'offerta sanitaria pubblica. Le famiglie del Lazio spendono di tasca propria per le prestazioni sanitarie più di quanto avviene nel resto d'Italia. Nel Lazio l'88,7% delle famiglie ha sostenuto spese nell'ultimo anno per acquistare farmaci a prezzo intero o per pagare i ticket in farmacia (il 78,2% nella media italiana), l'83,5% ha sostenuto spese out of pocket per prestazioni ambulatoriali come visite mediche specialistiche o accertamenti diagnostici (il 60,3% a livello nazionale), il 43,6% per visite e prestazioni odontoiatriche private (contro una media del 38,6%). Data la scarsa copertura da parte del sistema sanitario pubblico, negli ultimi due anni il 31% delle famiglie del Lazio ha effettuato solo le cure odontoiatriche indispensabili, preferendo strutture pubbliche o puntando al massimo risparmio in caso di accesso alle strutture private, anche rinunciando alla qualità. E il 23% è stato costretto a rinunciare o rimandare il ricorso al dentista, sebbene fosse necessario, perché troppo costoso. È quanto emerge da una ricerca sul welfare nel Lazio realizzata nell'ambito del progetto «Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali» di Censis e Unipol, con la collaborazione del Consiglio regionale Unipol Lazio.

I tagli alla sanità pubblica. Nel Lazio la sanità pubblica regionale è soggetta a processi di razionalizzazione dell'offerta ospedaliera, con la riduzione dei posti letto per acuti. E il Lazio è una delle Regioni con piano di rientro, dovuto al deficit accumulato nelle precedenti gestioni, per cui gli amministratori regionali si sono trovati a dover operare in questi anni una riduzione complessiva dei costi, che potrebbe aver avuto un impatto anche sulla qualità e la capillarità dei servizi erogati. Dal 2007 al 2011, sia le strutture ospedaliere pubbliche che quelle private accreditate si sono ridotte nella regione del 7% circa, mentre nel resto d'Italia sono aumentate. I posti letto sono diminuiti del 19,7% nelle strutture pubbliche e del 28,4% in quelle private accreditate, più che nelle altre aree del Paese (nella media nazionale la variazione è pari a -6,6%). Anche il personale medico e infermieristico si è ridotto nel Lazio rispettivamente del 5,7% e del 5% contro una sostanziale stabilità registrata a livello nazionale. La spesa sanitaria pubblica per abitante nel Lazio è diminuita del 4%, con una riduzione particolarmente sensibile tra il 2009 e il 2010 (-2%), a fronte di un andamento pressoché invariato nelle altre aree del Paese.

La rete del welfare familiare. Il 40% delle famiglie italiane è impegnato in una vera e propria rete di supporto informale, fornendo aiuto ai familiari in difficoltà. Questa tendenza appare ancora più spiccata nel Lazio (55%). Nella regione la tipologia di supporto scambiata più frequentemente consiste nell'aiuto a persone sole o malate (riguarda il 22,9% delle famiglie), il prestito infruttifero di denaro o di altri beni (il 18,1% nel Lazio contro l'8,2% a livello nazionale) e l'assistenza agli anziani (il 17,6% contro il 9,8% medio). Le voci di spesa più diffuse nel Lazio sono orientate all'assistenza ad anziani e bambini e al mantenimento dei Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, con costi che gravano sulle famiglie a fronte di una copertura pubblica carente.

I consumi al tempo della crisi. La congiuntura economica sfavorevole influenza le scelte e i comportamenti delle famiglie. La strategia prevalente per fronteggiare le difficoltà è la razionalizzazione, con la riduzione di sprechi ed eccessi, adottata dall'82,5% delle famiglie del Lazio. Molte sono le famiglie orientate alla ricerca di opportunità di risparmio e alla riduzione dei consumi in vari ambiti, da quello alimentare (il 64,5% nel Lazio e il 72,8% in Italia), alla convivialità del ristorante (il 53,2% nel Lazio e il 58,7% in Italia), fino agli spostamenti e ai mezzi di trasporto (il 48,6% nel Lazio e il 59,6% in Italia).

Le preoccupazioni maggiori: il futuro dei figli. La paura più diffusa nel Lazio è il rischio di ammalarsi (per il 37,7% delle famiglie). Ma il timore più avvertito dalle famiglie della regione rispetto al resto del Paese è il futuro dei figli (per il 32,3% contro il 26,6% registrato a livello nazionale), poi la non autosufficienza (27%), la situazione economica (23,4%) e il lavoro (22,4%).

Con quali strumenti affrontare i bisogni socio-assistenziali di domani? Il 44,7% delle famiglie nel Lazio si aspetta da parte del soggetto pubblico una copertura sufficiente (si tratta di chi non ha alternative alla copertura pubblica per ragioni economiche), il 46,1% integrerà i servizi pubblici con quelli privati pagando di tasca propria, il 9,2% (contro il 9,8% a livello nazionale) considera il ricorso a strumenti assicurativi e finanziari privati. Di questi ultimi, il 7,1% (il 5,7% nella media Italia) propende per un modello di welfare mix, integrando la copertura pubblica con le prestazioni finanziate tramite mutua o assicurazione, e il 2,1% (il 4,1% a livello nazionale) pensa di affidarasi completamente al privato grazie a strumenti assicurativi. Emerge così una consapevolezza diffusa che la copertura pubblica necessiterà di integrazioni private. Ma la cultura dell'autoregolazione e dell'out of pocket rimane ancora largamente dominante, con un mercato delle prestazioni assistenziali fortemente disomogeneo.

La fotografia restituita dalla ricerca presentata quest'oggi ci conduce a prendere sempre più consapevolezza del fatto che gli attuali assetti di welfare non sono più in grado di rispondere ai nuovi bisogni socio-assistenziali della famiglie italiane, nonché ai cambiamenti strutturali dell'economia, ai trend demografici e al nuovo mercato del lavoro”, ha detto Pierluigi Stefanini, Presidente di Unipol. “Il progetto "Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali", che quest'anno giunge alla seconda annualità, si pone l'obiettivo di riflettere in maniera permanente e di concerto con tutti i soggetti impegnati nel settore sulle modalità attraverso le quali rendere il sistema del welfare più efficiente, dunque strumento di sviluppo economico, occupazionale e di inclusione sociale”, ha concluso Stefanini.


Preoccupa quanto emerge da questa ricerca. Preoccupa e allarma perchè vi si legge un progressivo sgretolamento nel corso degli anni del sistema di welfare anche nel nostro territorio, falcidiato da una recessione economica senza precedenti”, ha detto Claudio Di Berardino, Segretario Generale della Cgil Roma e Lazio e Presidente del Consiglio regionale Unipol Lazio. “E' necessario un nuovo modello di welfare, a partire dal rilancio del ruolo e delle scelte strategiche del pubblico, capace di includere e dare risposte ai disagi vissuti quotidianamente dalle famiglie”, ha concluso Di Berardino.

mercoledì 25 settembre 2013

IMMAGINI SHOCK -SPARI SU ATTIVISTI GREENPEACE DISARMATI!



Le autorità russe hanno diffuso nuove immagini, apparentemente filmate dalla piattaforma petrolifera, in cui si vedono gli uomini della sicurezza russa confrontarsi con due climber durante la protesta di giovedì scorso. Si vede chiaramente una donna, l’attivista finlandese Sini Saarela, urlare “scendo, scendo” mentre agenti armati continuano a tirare la corda con cui lei è assicurata alla struttura. Il video mostra anche i colpi sparati in acqua dalle forze dell’ordine russe, nonostante un attivista sul gommone alzi le mani per mostrare che l’azione è pacifica.

Fonte: http://www.greenpeace.org/italy/it

LA FESTA DEL BRUTTO TEMPO CONCLUDERÀ IL VOLO DAL FRIULI ALL'OLIMPO

Dopo 42 giorni, nove paesi sorvolati, 1600 chilometri, forse di più,. le ali dei deltaplani di Suan Selenati e Manuel Vezzi hanno toccato l'Olimpo, il monte degli dei.

Alle loro spalle il primo decollo dal rifugio Tamai sul monte Zoncolan, in Friuli, i cieli d'Italia, Slovenia, Croazia, Bosnia, Montenegro, Albania, Macedonia, Bulgaria e Grecia, con atterraggi e nuovi decolli dalle superbe montagne dei Balcani, ed un mese e mezzo di fatiche, perché il tempo è stato inclemente, pioggia, vento forte, condizioni inammissibili per il volo libero, quello senza motore, con zero emissioni e la tutta la libertà delcielo.

Il progetto prevedeva di dirigersi alla meta volando il più possibile, atterrando in posti sconosciuti, tra gente che talvolta non ha mai visto un deltaplano. In difetto, procedere a piedi alla ricerca di nuovi decolli mentre un mezzo al seguito trasferiva i deltaplani insieme a provviste ed a tutto l'occorrente ai due piloti.

I primi giorni tra Slovenia e Croazia sembrano promettere bene. Poi il tempo muta in peggio ed i chilometri a piedi, anche 38 in un giorno, aumentano oltre ogni previsione a discapito di quelli in volo. Le vesciche hanno il sopravvento e Manuel e Suan entrano in Bosnia cavalcando un paio di biciclette che lasciano inalterato l'impegno atletico dell'impresa, concepita per il riconoscimento del volo in deltaplano e parapendio quale
sport olimpico.

Le ferite della guerra sono ancora ben visibili nel paese martoriato ed i due campioni di deltaplano, ciclisti improvvisati, si muovono con difficoltà tra avanzi di campi minati senza certezza di trovare buoni punti di decollo, tanto meno buone condizioni atmosferiche.

E' forse il momento più difficile. Dopo due notti trascorse all'addiaccio a quota 1900 metri in
una postazione di cannoni abbandonata, trovano la forza di decollare da una cresta a strapiombo su fitti boschi. Sotto nessun atterraggio utile per un deltaplano, mentre il vento rende difficile salire in quota e dirigersi verso sud alla ricerca di posti migliori.

Ce la fanno e decidono di deviare dal percorso prestabilito, evitare la Serbia per dirigersi verso il sole ed il mare, lasciandosi alle spalle le montagne della Bosnia per l'Albania, poi il Montenegro, la Macedonia e nuove avventure ed infine l'ingresso in Grecia, il monte Olimpo che appare all'orizzonte, il sorvolo della casa degli dei e l'ultimo atterraggio in
riva al mare.

Gli amici dell'associazione Volo Libero Carnia festeggeranno i protagonisti dell'impresa al campo volo Cercivento (Udine) i prossimi 5 e 6 ottobre in occasione della "Festa del Brutto Tempo". Ogni riferimento alle condizioni meteo incontrate durante il sorvolo dei Balcani è puramente casuale:
l'appuntamento friulano esiste da una dozzina d'anni!

Fonte: http://www.fivl.it

mercoledì 11 settembre 2013

SE LA SICUREZZA ALIMENTARE DIVENTA UNA PRIORITÀ PER IL PAESE

Il 71% delle famiglie italiane è preoccupato della scarsa sicurezza dei prodotti alimentari, il 70% dichiara di leggere le etichette, il 40% si informa perché sente spesso parlare di alimenti contraffatti e poco sicuri. Per l'85% sono molto importanti le garanzie igienico-sanitarie, il 50% presta molta importanza ai marchi agroalimentari di qualità (Dop, Igp e Stg). Il sistema dei controlli: Accredia ha accreditato oltre 1.000 laboratori, che nel 2012 hanno svolto circa 10 milioni di analisi, di cui oltre 2,3 milioni su prodotti alimentari, e 49 organismi di certificazione che controllano circa 130mila aziende nel settore biologico e dei prodotti di qualità

Gli episodi sempre più frequenti di alterazioni, falsificazioni e contraffazioni di prodotti alimentari mettono in allerta quasi 18 milioni di famiglie italiane, pari al 71% del totale, mentre il 70% dichiara di leggere frequentemente le etichette e di prestare attenzione ai marchi di qualità dei prodotti alimentari che sta per acquistare. Questi, in sintesi, i principali dati che emergono da una indagine realizzata da Censis e Accredia - l'Ente Unico Nazionale di Accreditamento - sul tema della sicurezza e della certificazione dei prodotti alimentari, su un campione di 1.300 consumatori intervistati sull'intero territorio nazionale, di varie fasce d'età e tipologie familiari.

A tutela della sicurezza dei consumatori, vengono effettuate mediamente ogni anno più di 2,3 milioni di analisi sugli alimenti dai laboratori accreditati da Accredia, così come vengono svolte oltre 600mila ispezioni e analizzati più di 200mila campioni di prodotti dagli organismi del controllo ufficiale coordinati dal Ministero della Salute, mentre gli organismi coordinati dal Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali eseguono più di 30mila controlli sulla qualità dei prodotti alimentari.

Le notizie che si sono susseguite dall'inizio dell'anno, come la carne di cavallo contenuta impropriamente in prodotti confezionati di una nota marca o le indagini sul commercio di falsi prodotti biologici, indicano che il problema delle adulterazioni e delle frodi alimentari è tutt'altro che secondario e molto sentito dalle famiglie. Infatti, il 40% si informa perché sente parlare sempre più spesso di prodotti alimentari contraffatti e poco sicuri, e il 24% fa la spesa con la consapevolezza di voler acquistare prodotti più sicuri. Nella scelta dei principali prodotti della spesa alimentare, per l'85% degli intervistati sono molto importanti le garanzie igienico-sanitarie, ovvero sapere che gli alimenti sono stati lavorati a norma e in condizioni igieniche adeguate, e quasi il 50% del campione presta molta importanza alle denominazioni di origine come i marchi Dop, Igp e Stg.

Il sistema dei controlli, tuttavia, funziona e su di esso occorrerà continuare a investire. Infatti, oltre a una efficace attività di vigilanza sul mercato da parte delle autorità pubbliche competenti, sul territorio opera anche una fitta rete di laboratori di prova e di organismi di certificazione controllati da Accredia. L'ente di accreditamento, attraverso i suoi 400 ispettori, ad oggi ha valutato positivamente la competenza di più di 1.000 laboratori, distribuiti su tutto il territorio nazionale, e 49 organismi di certificazione, i quali garantiscono che vengano commercializzati prodotti sicuri e di qualità. Nel corso del 2012, i laboratori accreditati hanno effettuato circa 10 milioni di analisi in ambiti diversi, delle quali più di 2,3 milioni su prodotti alimentari. Gli organismi di certificazione, invece, hanno controllato oltre 80mila aziende di prodotti a marchio Dop, Igp e Stg, e 50mila operatori del biologico. Si tratta di un'azione di controllo per la tutela del consumatore che fa capire come nel Paese le frodi, per quanto in crescita, difficilmente hanno la possibilità di toccare l'anello finale del mercato, ovvero le famiglie.

“I risultati di questa indagine confermano quanto sia diffusa nell'opinione pubblica la preoccupazione di portare in tavola cibi non sicuri - ha detto Federico Grazioli, Presidente di Accredia -, tuttavia ritengo che grazie al sistema nazionale di controllo in cui si inserisce anche Accredia, con milioni di prove sugli alimenti svolte dai laboratori accreditati e migliaia di aziende controllate dagli organismi di certificazione, le famiglie italiane possono sentirsi sufficientemente garantite. L'attività di accreditamento - ha continuato Grazioli - va incontro alle crescenti aspettative di sicurezza da parte dei consumatori e la stessa normativa europea ne ribadisce l'importanza. Le recenti proposte della Commissione europea in materia, infatti, rafforzano il ruolo dell'accreditamento a garanzia della competenza dei laboratori di prova e degli organismi di certificazione nel settore alimentare, sempre in collaborazione con le autorità responsabili della vigilanza del mercato, con l'obiettivo comune di assicurare la qualità dei prodotti e di tutelare la salute dei consumatori”.

Fonte: www.censis.it