mercoledì 31 luglio 2013

LEGAMBIENTE PRESENTA “SALVIAMO LE COSTE ITALIANE”, IL DOSSIER DEDICATO ALLA TUTELA DEI PAESAGGI COSTIERI DELLA PENISOLA

Oltre il 55%  delle aree costiere trasformate per sempre dal cemento. Record negativo di Lazio e Abruzzo che hanno perso il 63% di litorale Dal 1985 ad oggi, malgrado i vincoli della Legge Galasso, cancellati 160 chilometri di coste.

Le coste italiane sono sotto costante minaccia. Se un tempo erano una crocevia di storie, di incontri tra culture diverse, da troppo tempo sono invece diventate preda e bottino della speculazione edilizia che ne sta cambiando irreversibilmente i caratteri. Su 1.800 km di coste analizzate in 8 Regioni italiane, tra Adriatico e Tirreno, oltre il 55% sono state trasformate dall’urbanizzazione. Senza contare che dal 1985 ad oggi, malgrado i vincoli della Legge Galasso, sono stati divorati dal cemento ben 160 chilometri di coste. È quanto emerge dal dossier di Legambiente “Salviamo le coste italiane”, che analizza Regione per Regione il consumo delle aree costiere attraverso un lavoro di analisi e confronto delle foto satellitari. Scatti che hanno permesso di riconoscere le aree dove è stato cancellato in modo irreversibile il rapporto tra mare, paesaggi naturali e agricoli.

E i dati che emergono sono estremamente preoccupanti: tra le 8 regioni analizzate (Abruzzo, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Molisem, Sicilia e Veneto), il record negativo va all'Abruzzo e al Lazio con il 63% di coste trasformate, si salvano solo un terzo dei paesaggi mentre tutto il resto è ormai occupato da palazzi, ville, alberghi, porti. Male anche l'Emilia-Romagna (58,1%), la Sicilia (57,7%), le Marche (54,4%), la Campania (50,3%), il Molise (48,6%) e il Veneto (36%) dove l'urbanizzazione ha avuto come freno il delta del Po e il sistema lagunare. Nel complesso la costa Tirrenica mostra i dati più allarmanti rispetto a quella adriatica con quasi 120 km tra il 1988 ed 2011di costa con paesaggi naturali e agricoli cancellati nelle varie Regioni analizzate, con un aumento del 10,3% di consumo delle aree costiere.

 “La fotografia scattata da Legambiente evidenza un quadro preoccupante, una deriva pericolosa che non trova, al momento, ostacoli efficaci né nella legislazione né nelle volontà politiche degli amministratori locali. - dichiara il presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza -  I risultati che emergono dal dossier evidenziano non solo come continui la pressione delle speculazioni in tanti luoghi di straordinaria bellezza, ma che esiste un grave problema di tutela che riguarda vincoli, piani e sistemi di controllo. La preoccupazione aumenta se si pensa poi alla crescente esposizione al rischio idrogeologico che questa situazione fa emergere e se si considera che l'esplosione dell'occupazione delle coste con il cemento in molte parti d'Italia avviene in assoluto rispetto della legalità. L'abusivismo peggiora una situazione già gravemente compromessa. L'obiettivo deve essere salvare la natura residua, liberare l'accesso alle spiagge ed avviare un grande piano di riqualificazione dell'esistente, per cancellare quella litania di case e costruzioni che rovinano la bellezza delle nostre coste. È  dunque fondamentale che si apra una nuova fase di attenzione nei confronti dei paesaggi costieri, un patrimonio unico, una risorsa preziosa, che non può rischiare di essere divorata anno dopo anno dal cemento ma, al contrario, che l'Italia deve tutelare e valorizzare.”

Anche per questo Legambiente ha messo a punto un ddl sulla bellezza, depositato in Parlamento e che deve essere rapidamente discusso e approvato per risanare questi scempi. Nell'interesse dei cittadini e dell'ambiente, del turismo e di un settore come quello edilizio che può trovare nuove opportunità di lavoro proprio puntando sulla riqualificazione. 

 “L’iniziativa di Legambiente - dichiara il Sottosegretario ai Beni culturali e turismo Ilaria Borletti Buitoni - è meritevole nel merito e nel metodo, e trova il mio incondizionato sostegno. Lo è nel metodo, perché si tratta di una denuncia documentata e puntuale del degrado che sta aggredendo da troppo tempo una parte costitutiva dell’identità italiana come il meraviglioso paesaggio delle nostre coste, in primo luogo per colpa di un selvaggio abusivismo edilizio; e lo è nel merito, perché passando dalla protesta alla proposta, con la presentazione di un ddl ne fa una questione nazionale che chiama in causa la responsabilità e la capacità della politica di tutelare questo patrimonio. Si tratta di uno stimolo ad agire immediatamente  - conclude il Sottosegretario Borletti - che intendo prendere molto seriamente”.

I DATI - Abruzzo e Lazio detengono il record negativo con oltre il 63% di coste trasformate. In particolare in Abruzzo sono ben 91 i km di costa irreversibilmente modificati rispetto ad un totale di 143 km. Tra le infrastrutture, nate o ampliatesi negli anni scorsi, spiccano i porti di Pescara, Giulianova, Ortona e Vasto. Ma in questa regione l'aspetto più impressionante è che il paesaggio costiero "ancora" libero sia protetto solo parzialmente, solo il 9% dell'intera costa abruzzese risulta essere infatti area protetta. Situazione preoccupante anche nel Lazio, dove su un totale di 329 km, 208 km risultano essere trasformati ad usi urbani e infrastrutturali. Senza contare che l'urbanizzazione realizzata successivamente all'entrata in vigore della Legge Galasso ha portato alla cancellazione di ben 41 km i costa, cioè il 20% dell'intera urbanizzazione esistente. I tratti di costa in cui i valori di consumo di suolo sono più alti, sono quelli che vanno da Salto Corvino a Terracina, da Anzio a Torvaianica.

Passando alle altre regioni, in Emilia-Romagna il 58,1% delle coste sono state trasformare e 140km totali di costa ben 82 km sono stati urbanizzati sui 141 totali. In particolare da Cesena a Cattolica, tra il 1988 ed il 2011, si è registrato un aumento di costruzioni anche alle spalle della linea costiera.  Dati negativi riguardano anche la Sicilia, le Marche e la Campania, dove sono stati mangiati rispettivamente il 57,7%, il 54,4% e il 50,3% di coste totali. In particolare in Sicilia emblematico è il caso del tratto tra Fiume Grande e Capo, nei pressi di Cefalù, in precedenza caratterizzato da aree verdi. Anche in Molise i dati sono preoccupanti, con ben il 48,6% di coste trasformate. Nonostante la costa molisana sia di modesta lunghezza (35 km), nel corso degli ultimi 25 anni risulta essere tra le più aggredite dalla cementificazione registrando tra il 1988 ed il 2011 un aumento di consumo di suolo costiero del 28,6%. Infine c'è il Veneto con il 36% di coste mangiate dal cemento, un dato molto più basso rispetto alle altre Regioni prese in esame grazie al peso rilevante che ha avuto la morfologia costiera con la laguna veneta e il delta del Po' hanno nel limitare l'espansione del cemento.

 “Non è più rinviabile un intervento di tutela delle aree costiere ancora libere dal cemento. - conclude Edoardo Zanchini, vice-presidente di Legambiente - Altrimenti si continuerà a vedere scomparire anno dopo anno dune e litorali sotto il peso di villaggi turistici, seconde case, palazzi, alberghi sfruttando l'inefficacia dei vincoli della Legge Galasso e dei controlli, la vaghezza delle indicazioni dei piani paesistici regionali. Occorre che i Ministeri dei Beni culturali e dell'Ambiente stabiliscano un vincolo di inedificabilità assoluta per tutte le aree costiere ancora libere dall'edificato per almeno 1 chilometro dal mare. In parallelo spetta alle Regioni e al Ministero dei Beni culturali la responsabilità di concludere finalmente la revisione dei piani paesaggistici regionali, per adeguarli alle indicazioni della Convenzione Europea del paesaggio e del Codice dei beni culturali e del paesaggio, per introdurre indicazioni di tutela efficaci e obiettivi di riqualificazione del patrimonio edilizio e dell'offerta turistica”.

Sul sito di Legambiente htpp:// www.legambiente.it è possibile scaricare il dossier "Salviamo le coste italiane" e le analisi del consumo delle aree costiere nelle 8 regioni analizzate al seguente link: http://www.legambiente.it/contenuti/dossier/salviamo-le-coste-italiane

Oltre a scoprire "l'Atlante fotografico dei paesaggi costieri italiani", uno spazio interattivo, dove si possono monitorare i cambiamenti che stanno avvenendo lungo le coste italiane e i 639 Comuni che si affacciano sul mare. E al tempo stesso informarsi sulle spiagge più belle e i luoghi più suggestivi della Penisola. Il link dell'atlante è: http://www.legambiente.it/contenuti/articoli/atlante-fotografico-dei-paesaggi-costieri-italiani 

giovedì 25 luglio 2013

IL DISASTRO A POCHI PASSI DALLE NOSTRE COSTE

Cari avaaziani, 

Dopo aver devastato ecosistemi in tutto il mondo, le multinazionali del petrolio stanno prendendo di mira l’Italia. Ma c’è un modo per impedire che distruggano anche l’Adriatico e il Mediterraneo. 

Medoilgas, un’enorme multinazionale, ha dichiarato di voler iniziare a trivellare presto a pochi passi dalla costa rifiutandosi persino di fare una valutazione di impatto ambientale. E se la faranno franca potremmo ritrovarci in poco tempo con oltre 70 piattaforme a occupare l’intero Adriatico e mari in tutta Italia: una una perdita di petrolio devastante sarebbe solo una questione di tempo. Ma c’è una soluzione: rafforzare subito la legge. 

Abbiamo pochi giorni. Senatori di tutti i partiti sono pronti a sostenere una modifica urgente ma il problema è che stanno per andare tutti in vacanza. Firma la petizione per convincerli a proteggere l’Italia dalle multinazionali del petrolio prima che sia troppo tardi, e poi condividi con tutti: se raggiungeremo le 100mila firme, attireremo l’attenzione dei media con un'azione nel centro di Roma: 

https://secure.avaaz.org/it/italy_no_offshore_h/?bqYkWab&v=27433 

La cosa incredibile è che un divieto totale a queste pericolosissime trivellazioni a poca distanza dalla costa esisteva, ma Monti lo ha abolito l'anno scorso. Ora, le aziende petrolifere possono trivellare vicino alla costa senza neppure l’obbligo dei normali controlli necessari a proteggere l'ambiente. Medoilgas è solo la prima e la più aggressiva tra le multinazionali a sfruttare questo condono. Ma c’è una proposta che sta raccogliendo il sostegno dei parlamentari proprio in questi giorni, che chiuderebbe la porta a pericolose trivellazioni in mare richiedendo severi controlli ambientali prima di qualsiasi nuova operazione di questo tipo. 

Tutta questa corsa incontrollata al petrolio nei nostri mari è senza senso. I suoi sostenitori dicono che più trivellazioni siano necessarie a rilanciare l’economia, ma se avvenisse una perdita di petrolio a causa di comportamenti senza scrupoli, la nostra costa potrebbe esserne devastata irreparabilmente, assieme alla nostra economia basata sul turismo e a migliaia di posti di lavoro in luoghi bellissimi. E perfino se andassimo avanti con le trivellazioni, gli esperti stimano che tutto il petrolio estratto sarebbe appena sufficiente per darci energia per un paio di mesi. Semplicemente correre il rischio non ha senso. 

Ma le multinazionali del petrolio gestiscono quantità di denaro enormi che possono usare per influenzare i senatori e far fare loro la cosa sbagliata. E' questo il motivo per cui ora dobbiamo agire. I senatori sono dalla nostra parte, e se ci facciamo sentire con forza e chiaramente, potremo proteggere le nostre preziose aree naturali dalle disastrose melme nere che incombono su di noi: 

https://secure.avaaz.org/it/italy_no_offshore_h/?bqYkWab&v=27433 

La comunità di Avaaz ha sempre spinto le grandi aziende ad agire eticamente, e spesso abbiamo vinto, come quando abbiamo costretto H&M a firmare uno storico accordo per la sicurezza dei lavoratori pochi giorni dopo aver lanciato la nostra campagna! E’ arrivato il momento di proteggere i mari italiani dall'azione distruttiva delle multinazionali del petrolio.

venerdì 12 luglio 2013

I VAMPIRI DELL'AZZARDO DI STATO

In 20 anni è salita di 7 volte la spesa per le scommesse, ma si sono dimezzate le vincite vere.


Il codice penale vieta il cosiddetto "gioco" d'azzardo. Ma, di deroga in deroga, leggina dopo leggina, politici e lobby hanno portato gli italiani a spendere in media 1.410 euro a testa tra videopoker, grattini, puntate online e altre scommesse. Media che nel 2001 era di "appena" 336 euro.

Quello dell'azzardo è uno dei pochissimi consumi cresciuti in Italia, iperstimolato dall'illusoria sensazione di vincere, con gratificazioni civetta "a piccole dosi", ovunque e in ogni situazione, a tutte le ore. Lo spaccio di azzardo nel Belpaese è così il più florido del mondo. Ma sempre più avaro.
Praticamente in 20 anni sono sprofondate le vincite degne di questo nome e si è impennata la spesa per consumo di azzardo.

"Le vincite vere sono quelle in cui prendi più di quanto hai speso, e i premi apprezzabili sono convenzionalmente fissati dai 500 euro in su, tanto che la tassazione aggiuntiva del 6% scatta sui premi superiori a questo importo. Nel 2012 i premi significativi sono stati la metà di quelli vinti nel 1994, quando però "giocava" un settimo di quello che si scommette oggi."

A fornire i dati è il sociologo Maurizio Fiasco, aggiornatissimo studioso del fenomeno e consulente della Consulta Nazionale Antiusura.
"Il meccanismo ora si basa su una enorme e crescente partecipazione al consumo di azzardo: 88 miliardi e 571 milioni di euro (al netto del nero) giocati nel 2012 -nuovo record, quasi 8,7 miliardi in più rispetto al 2011- e sulle microrestituzioni."
Vale a dire che moltissimi puntano importi contenuti, ricevono magari qualche zuccherino e si sentono incentivati a rigiocare. "C'è un esercito di gente che perde piccole somme tutti i giorni -dice Fiasco- e di solito ci si ricorda di quando si vince, senza tenere una contabilità, come facevano quelli che puntavano alle corse dei cavalli, e non si ha la reale percezione delle perdite. Se mi tagli un braccio, me ne accorgo; ma se mi prendi un flacone di sangue al giorno, non mi accorgo che mi stai succhiando la vita. Siamo passati da un sistema di "gioco" a frequenza di puntata contenuta, ma in cui si prospettavano grandi vincite, tipo la Lotteria Italia, il Totocalcio, il terno al Lotto, i Gratta e Vinci prima maniera e altre lotterie, ad una diffusione pervasiva delle occasioni di "gioco", ma a bassa remuneratività e forte induzione alla dipendenza. Per cui il tempo dedicato all'azzardo si dilata all'inverosimile: si scommette molto di più, ma si vince sempre di meno". Anche se la lobby dell'azzardo dice il contrario, affermando che il pay out è consistente. "Carte e dati alla mano, le vincite sopra i 500 euro nel 2012 sono state di appena 920 milioni di euro, esattamente la metà del 1994, quando però si vinceva il doppio, cioè l'equivalente attualizzato di 1 miliardo e 85 milioni di euro a fronte di circa 15 miliardi e 205 milioni di euro scommessi, sempre attualizzati coi coefficienti di rivalutazione Istat."

E anche sul fronte del "guadagno" per lo Stato biscazziere l'impoverimento galoppa. "E' una partita senza trasparenza, ma secondo i  miei calcoli -annuncia Fiasco, snocciolando i dati più aggiornati in circolazione- nell'intero 2012 le entrate da tasse sull'azzardo si sono ulteriormente ridotte: il fisco ha incassato un misero 9,1%, 612 milioni di euro in meno rispetto al 2011, anno in cui però si erano giocati 8 miliardi e 674 milioni in meno". Soli 10 anni fa, lo Stato ci prendeva intorno al 30%, sui circa 25 miliardi di scommesse e "giochi" vari. Hanno legalizzato tutto questo azzardo perché, dicevano, produrrà introiti fiscali allo Stato. Una bufala. La stessa che più di qualcuno vorrebbe attuare legalizzando droghe e prostituzione. C'è da scommetterci... è il caso di dirlo!

I crescenti contentini ai "giocatori" servono solo per incentivare all'azzardo. "La stragrande maggioranza -precisa l'esperto- rimette i soldi ripresi coi cosiddetti premi nel "gioco" e i soldi non escono dal meccanismo". Enormi flussi di denaro così anziché finire al supermercato per fare la spesa, nei negozi e nel circuito dell'economia, riprendono la strada della macchinetta mangiasoldi e delle scommesse.
Un vampiresco business, che produce immiserimento di massa delle famiglie, depressione dei consumi di beni e servizi, con danni rilevantissimi ai settori direttamente produttivi, e incremento della crisi fiscale dello Stato".
Insomma, un enorme danno economico, finanziario e sociale. Invece che sostenere lo sviluppo di persone, famiglie e imprese sane, la casta ne ha favorito il degrado, l'alienazione, l'impoverimento. Parlamentari, premier, ministri, politici, manager, hanno reso lo Stato un avvoltoio. Hanno trasformato la nostra penisola in una gigantesca piattaforma delle scommesse, un enorme casinò sul Mediterraneo. Risultato? "Il reddito disponibile delle famiglie italiane" -afferma Fiasco- risulta aver subito un "taglio secco" di almeno 17 miliardi di euro alla fine del 2012". Cioè oltre 4 volte le entrate annuali dall'IMU. L'emorragia potrebbe essere anche più grave. Però non si può sapere: l'amministrazione dei Monopoli di Stato ha messo il bavaglio alla dea bendata. Dallo scorso ottobre non pubblica più i numeri sulla spesa nell'azzardo. Cosa c'è da nascondere?
di Francesco Buda

NON MORIREMO PER L'EURO

Gli impegni europei presi dal governo Monti e confermati da Letta stanno per dare i loro " frutti". A settembre verremo massacrati con una finanziaria immonda e portatrice di fame. La sistematica distruzione del nostro disgraziato popolo non è ancora stata totalmente compiuta, biosgna fare di più, le belve di Bruxelles chiedono più " sangue". Questa è la drammatica realtà, chi fa finta di non vederla è complice: una scelta di campo è inevitabile: o con i banchieri o contro i banchieri. Claudio Marconi


Dietro gli inni di "vittoria" lanciati da Letta per la fine della procedura di infrazione Ue, si avvicina il precipizio della manovra finanziaria d’autunno. Dopo l’ultima riunione del Consiglio Europeo, il Presidente del Consiglio _Enrico_ Letta ha cantato vittoria e lanciato messaggi di grande ottimismo sul futuro dell’economia e delle finanze pubbliche italiane. Purtroppo, si tratta soltanto di una pura operazione propagandistica tesa a guadagnare qualche settimana di relativa tranquillità prima della bufera. Alla vigilia delle ferie estive il clima politico è dominato dall'incertezza. La maggioranza delle “larghe intese” sembra turbata dalle vicissitudini giudiziarie di Berlusconi. In realtà, le questioni vere sono ben altre. La mina che sta per esplodere sotto le poltrone del Governo è la manovra finanziaria del prossimo autunno, che allo stato attuale si annuncia imponente e difficilmente realizzabile senza un massacro sociale senza precedenti. Si sta facendo di tutto per nascondere il problema ma basta fare un po’ di conti, avendo in mente il quadro complessivo della situazione macroeconomica, per capire la situazione. Il deterioramento tendenziale del bilancio pubblico, che dovrà essere corretto a settembre con la prossima legge di stabilità, deriva da due fattori, il primo legato all'andamento macroeconomico e il secondo ai vincoli programmatici sulla cui base il Governo Letta si è costituito. Analizziamo con ordine cosa significano questi due vincoli.1) Il rispetto degli impegni assunti con l’Unione Europea, sanciti dalla legge di stabilità 2013 e ripetutamente confermati dall'attuale ministro dell’Economia Saccomanni, prevede un indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche pari al 2,9% nel 2013 e all’1,8% nel 2014.

La declamata flessibilità del bilancio pubblico derivante dall'uscita dell’Italia dalla procedura europea per deficit eccessivo non modifica in nulla questi impegni già assunti. Il problema è che queste cifre derivano da previsioni macroeconomiche che si sono rivelate fallaci perché distorte in senso ottimistico. Esse infatti si basano su una stima dell’andamento del PIL pari ad una flessione dell’1,3% nel 2013 e ad una crescita dell’1,3% nel 2014. La realtà che si sta prospettando è ben diversa. Le ultime stime del Fondo Monetario Internazionale, formulate in modo benevolente nei confronti dell’attuale Governo, prevedono nel 2013 un calo del PIL dell’1,9% e per il 2014 un incremento di appena lo 0,7%. La prossima legge di stabilità non potrà discostarsi troppo da queste previsioni. In termini di correzione tendenziale del bilancio pubblico ciò comporta la necessità di reperire nuove risorse per _5_ miliardi di euro nel 2013 e di _6_ miliardi di euro nel 2014. Quindi, soltanto a causa dell’aggravamento della crisi economica, la copertura necessaria per raggiungere gli obiettivi di bilancio ammonta a _11_ miliardi di euro.

2) L’accordo programmatico che ha consentito la nascita del Governo Letta prevede due misure di carattere fiscale: l’abolizione dell’IMU sulla prima casa e l’annullamento dell’aumento delle aliquote IVA che doveva scattare dallo scorso 1° luglio. Con due decreti-legge il governo si è finora limitato a posticipare la riscossione di queste tasse, con coperture transitorie. Entro la fine di settembre occorrerà assumere una decisione definitiva su entrambe. Dalle relazioni tecniche, che hanno accompagnato i decreti-legge, si evince che l’abolizione dell’IMU necessita di una copertura di 4,08 milardi di euro l’anno e quella dell’IVA di 2,12 miliardi per sei mesi. Il che vuol dire che prima della fine del 2013 occorre reperire 6,2 miliardi di euro a cui vanno sommati gli 8,22 miliardi per il 2014, per un totale di 14,42 miliardi di euro.

I conti sono presto fatti. Soltanto per il rispetto dei vincoli europei e degli impegni programmatici fondamentali, la prossima legge di stabilità deve prevedere una copertura pari ad oltre _25_ miliardi di euro rispetto all’andamento tendenziale dei conti pubblici. A questo bisogna aggiungere come minimo il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga per il 2014 e risorse aggiuntive per il problema degli esodati. Non è difficile prevedere che l’entità della prossima manovra finanziaria si aggirerà intorno ai _30_ miliardi di euro, pari a circa il 2,3% del PIL. Una manovra imponente, la cui quantificazione si basa sull’ipotesi di una situazione di relativa tranquillità sui mercati finanziari, con uno spread tra i titoli di Stato italiani e tedeschi attestato intorno alle attuali cifre di 270 punti. Se invece, come il recente downgrading del rating italiano da parte di Standard & Poor lascia presagire, le cose dovessero peggiorare su questo fronte, la prossima manovra finanziaria arriverebbe a sfiorare addirittura i _35_ miliardi di euro, pericolosamente vicina alla stangata storica del Governo Amato del 1992, subito dopo la svalutazione della lira. 

In autunno tutti i nodi politici verranno al pettine. Lo scivolamento verso uno scenario greco, fatto di una spirale perversa di tagli alla spesa pubblica/inasprimento fiscale e caduta del PIL, diventerà una tendenza irreversibile anche per l’Italia. Siamo sull’orlo del precipizio. A sinistra ci sarà qualcuno che dirà che non bisogna tagliare la spesa per la sanità, la scuola, l’università, gli enti locali e il resto dello stato sociale ma bisogna combattere l’evasione fiscale, tassare i ricchi, rinunciare alle grandi opere e ai cacciabombardieri. Rivendicazioni giuste e sacrosante. Ma non bastano più. Neanche in questo modo si possono recuperare 35-40 miliardi di euro in pochi mesi, come la mia esperienza diretta in materia di formazione del bilancio pubblico, svolta anche come relatore della legge di bilancio alla Camera dei Deputati, mi dice.

Senza rimettere in discussione i vincoli europei e le modalità di finanziamento del deficit pubblico, oggi costituite solo da emissione di titoli di debito per il mercato privato, non esiste via d’uscita. Le scorciatoie propagandistiche non funzionano più, di fronte al degrado della situazione sociale, alla sofferenza sempre più acuta delle persone in carne ed ossa. 

Tutto ciò pone, alla sinistra in primo luogo, la questione dell’appartenenza all’area dell’euro, così come essa è oggi attualmente configurata. Si troverà qualcuno che avrà il coraggio di dire che il bilancio pubblico deve essere costruito sulla base delle esigenze del popolo italiano, dei lavoratori ed anche della gran parte delle imprese italiane, e non sulla base dei diktat dei mercati finanziari internazionali? E se questo vuol dire addio all’euro, ebbene così sia. Sappiate tutti che non moriremo per l’euro.


Scritto da: Andrea Ricci – Fonte: contropiano.org

martedì 9 luglio 2013

CGIA: LE FAMIGLIE SONO INDEBITATE PER OLTRE 500 MILIARDI

Dall'inizio della crisi l’indebitamento è aumentato del 36,5%, anche se nell'ultimo anno è in calo. Bortolussi: “L’insicurezza legata alla crisi economica, al timore di una impennata dei tassi di interesse e, in particolar modo, alla paura di perdere il posto di lavoro ha indotto moltissime persone a concentrare le proprie entrate e una parte consistente dei risparmi al pagamento dei debiti“.
  
Secondo un’analisi realizzata dall'Ufficio studi della CGIAdall'inizio della crisi al 31/12/2012 l’indebitamento delle famiglie italiane è cresciuto di 134 miliardi, pari ad un aumento percentuale del 36,5: in termini assoluti ha toccato quota 501,58 miliardi di euro, anche se va evidenziato che la punta massima registrata in questi ultimi anni è stata raggiunta alla fine del 2011, con 506,2 miliardi di euro. Dalla CGIA sottolineano che tra il 2007 ed il 2012 l’inflazione è aumentata dell’11,2%.

L’indebitamento medio delle famiglie italiane è di 19.387 euro, mentre le province più esposte con il sistema bancario sono quelle lombarde: al primo posto troviamo Lodi, con un dato medio per famiglia pari a 27.831 euro, seguono Monza-Brianza, con 27.628 euro, Milano, con 27.407 euro e Varese, con 25.968 euro. Niente a che vedere con gli importi che caratterizzano le realtà provinciali meno esposte con il sistema bancario: Vibo Valentia, con 9.094 euro, Enna, con 8.551 euro e l’Ogliastra, con 8.408 euro.

Per indebitamento medio delle famiglie consumatrici italiane si è inteso quello originato dall'accensione di mutui per l’acquisto di una abitazione, dai prestiti per l’acquisto di auto/moto e in generale di beni mobili, dal credito al consumo, dai finanziamenti per la ristrutturazione di beni immobili, etc.

Come mai le famiglie italiane nell'ultimo anno hanno ridotto lo stock di debito?

Ho l’impressione – sottolinea Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA – che nell’ultimo anno molte famiglie abbiano deciso di saldare i propri creditori a scapito dei risparmi e dei consumi. L’insicurezza legata alla crisi economica, al timore di una impennata dei tassi di interesse e, in particolar modo, alla paura di perdere il posto di lavoro ha indotto moltissime persone a concentrare le proprie entrate e una parte consistente dei risparmi al pagamento dei debiti“.

Questo comportamento, legato anche agli aumenti delle tasse e del numero dei senza lavoro avvenuti negli ultimi anni, ha concorso a contrarre il reddito disponibile delle famiglie che, nel 2012, ha provocato un vero e proprio tracollo dei consumi: -4,3%. Niente a che vedere con quanto era successo negli anni precedenti: +0,1% nel 2011; +1,5% nel 2010 e -1,5% toccato nel 2009.

Più in generale, come vanno interpretati i risultati emersi a livello territoriale?

Premesso che le province più indebitate sono anche quelle che presentano i livelli di reddito più elevati – prosegue Bortolussi – è evidente che tra queste realtà in difficoltà vi sono anche molti nuclei appartenenti alle fasce sociali più deboli. Tuttavia, le forti esposizioni bancarie di questi territori, soprattutto a fronte di significativi investimenti avvenuti negli anni scorsi nel settore immobiliare, ci devono preoccupare relativamente“.

 Per la CGIA, tuttavia, si sta facendo strada un fenomeno molto pericoloso:

La maggiore incidenza del debito sul reddito – conclude Bortolussi – la riscontriamo nelle famiglie economicamente più deboli: è chiaro che con il progressivo aumento della disoccupazione e la conseguente riduzione del reddito disponibile questa situazione è destinata a peggiorare. Non dimentichiamo, inoltre, che in Italia esiste un ampio mercato del prestito informale che non transita per i canali ufficiali. Vista la forte contrazione degli impieghi bancari avvenuta in questi ultimi anni, non è a escludere che questo fenomeno sia in espansione, con il pericolo che la piaga dell’usura si diffonda a macchia d’olio“. 

sabato 6 luglio 2013

ACROBAZIA IN PARAPENDIO IN FRIULI E 1031 CHILOMETRI IN VOLO LUNGO LE ALPI

Dall'8 al 14 luglio a Gemona del Friuli (Udine) si svolgerà Acromax, la coppa del mondo di acrobazia in parapendio, sotto l'egida della Federazione Aeronautica Internazionale, della Federazione Italiana Volo Libero e dell'Aero Club d'Italia.

All'appuntamento italiano della massima competizione di volo acrobatico che si svolge in più tappe mondiali parteciperanno piloti provenienti da una dozzina di nazioni.

Teatro della manifestazione il Lago di Cavazzo, o Lago dei Tre Comuni, cioè Cavazzo Carnico, Trasaghis e Bordano, lungo 6500 metri, il più esteso tra quelli naturali del Friuli. La riva dello specchio lacustre di quest'ultima località, sarà il cuore della manifestazione ed ospiterà una zattera galleggiante utilizzata come atterraggio finale dei piloti che decolleranno dal monte San Simeone a 1180 metri d'altezza. Durante il volo i concorrenti eseguiranno figure acrobatiche in "solo", cioè individuale, e "syncro", vale a dire in coppia.

La gara è suddivisa in due parti: i primi tre giorni varranno come Campionato Italiano di acrobazia e serviranno anche come prove libere per i partecipanti alla coppa del mondo che occuperà gli ultimi tre. Testimonial dell'evento e del progetto "Gemona Città dello Sport e del Benstare" la campionessa europea di parapendio, la friulana Nicole Fedele.

Sono 32 i piloti di parapendio, provenienti da 21 nazioni, che stanno per decollare per l'edizione 2013 della Red Bull X-Alps, 1031 chilometri lungo l'arco alpino da percorrere rigorosamente volando con questi mezzi privi di motore oppure a piedi.

La sfida parte il 7 luglio da Salisburgo in Austria per concludersi a Montecarlo nel più breve tempo possibile. Obbligatorio aggirare 10 punti geografici prestabiliti al cospetto di panorami mozzafiato come la vetta dello Zugspitze (2962 m), la montagna più alta della Germania, oltrepassare l'Oberland Bernese in Svizzera, salire fino al Cervino (4478 m), superare il Monte Bianco (4810 m), prima di dirigersi a sud lungo le Alpi Marittime, verso la sospirata meta finale. Ogni pilota è seguito da un team a terra composto da due persone.

A rappresentare l'Italia Aaron Durogati, ventiseienne di Merano che lo scorso gennaio ha vinto la Coppa del Mondo di parapendio, e Andy Frötscher, alto atesino di 43 anni, che ha preso parte a tutte le edizioni dell'X-Alps. Nel 2011 vinse lo svizzero Christian Maurer in 11 giorni, 4 ore e 22 minuti quando i chilometri erano ... solo 800 circa.

giovedì 4 luglio 2013

“L’€UROPA E’ IL PROBLEMA NON LA SOLUZIONE “

L’autore di quanto segue, che traduco, è Lars Seier Christensen, co-fondatore e Amministratore Delegato, danese, della SaxoBank. Tragicamente interessante sentire certe sue affermazioni, tenuto conto della sua posizione; ci conferma ulteriormente l'arroganza e gli altri scopi della famigerata UE.

Mi interesso di politica sin da quando son bambino, per questo mi ricordo del referendum danese per la Comunità Europea, anche se avevo solo 9 anni. Quasi 2 su 3 danesi votarono per l’entrata della Danimarca nella Comunità Economica Europea (EEC).

La lenta distruzione del progetto di sicurezza europea

La CEE fu percepita come qualcosa di positivo a casa nostra e nella piu’ parte della Danimarca borghese. E rimasi positivo su questo per molti anni successivi.

Ma nonostante questa partenza positiva, devo confessare che, nel tempo, questo supporto ed ottimismo sono evaporati. L’ enorme burocrazia centralizzata, l’arroganza europea e la mancanza di rispetto per la indipendenza, la storia e la cultura degli stati nazionali hanno lentamente distrutto la fiducia in questo progetto.

Guardando indietro, devo ammettere che mi ci è voluto troppo tempo per riconoscere la vera natura del progetto europeo; ma devo anche dire che anche altri l’hanno riconosciuta molto dopo ed alcuni dei nostri politici in carriera ancora non l’ hanno capita, ovviamente. Ma i Danesi, i cittadini, hanno fiutato l’inganno. La grande domanda è se la Ue sia più il problema che la soluzione alla presente crisi.


CONFESSIONI DI UN SICARIO DELL'ECONOMIA

Questa è la storia di John Perkins, il capo economista di una società di consulenze, ingegneria e costruzioni di Boston.

Fin qui nulla di strano.


Quello che interessa è che Perkins ha lavorato come “sicario dell’economia”, una élite di professionisti il cui compito è di orientare la modernizzazione dei paesi in via di sviluppo verso un continuo processo d’indebitamento e di asservimento agli interessi delle multinazionali e dei governi più potenti del mondo.

Sono professionisti, dallo stipendio fantasmagorico, in grado di sottrarre migliaia di miliardi di dollari a paesi di tutto il mondo.

Riversano, o per meglio dire, rubano, il denaro della Banca Mondiale, dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (U.S.A.I.D.) e di altre importanti organizzazioni, per così dire umanitarie, per farli finire nelle casse delle corporation e nelle tasche di un pugno di ricche famiglie che detengono il controllo delle risorse naturali del pianeta.

Il controllo di paesi strategici è sempre avvenuto da centinaia di anni, prima con gli imperi coloniali, ora invece spostando elettronicamente enormi quantità di denaro (creato dal nulla dalle banche) da un luogo ad un altro e facendo sprofondare nei debiti miliardi di persone.
I metodi usati dai sicari sono: falso in bilancio, elezioni truccate, tangenti, estorsioni, sesso, per arrivare all’omicidio!

Il compito di Perkins era quello di incoraggiare i leader mondiali a divenire parte di una vasta rete che favorisse gli interessi commerciali dei soli Stati Uniti d’America. Alla fine questi leader rimanevano intrappolati in una ragnatela, in una trama di debiti che ne garantiva la fedeltà assoluta in tutti gli ambiti.

I sicari dell’economia sono pedine importanti che partecipano alla costruzione e mantenimento dell’Impero, chiamato corporatocrazia.

Utilizzando gli strumenti della finanza internazionale, sono riusciti in passato e ci riescono tuttora, a sottomettere paesi in via di sviluppo, quelli ovviamente con risorse naturali nel sottosuolo come petrolio, oro, diamanti, gas e minerali vari (coltan, ecc.) o quelli in posizioni geostrategiche (Panama p.e.).

Quando un sicario assolve al meglio il suo compito, i prestiti elargiti come aiuti o come fondi necessari alla costruzione di infrastrutture importanti (centrali elettriche, autostrade, ponti, ospedali, aeroporti o poli industriali, ecc.) escono dalla Banca Mondiale e/o dall’U.S.A.I.D., ed entrano nelle casse delle lobbies che hanno studiato e progettato tale criminosa strategia.

Ai paesi destinatari delle infrastrutture, cioè ai paesi bisognosi, non solo non arriva nulla, ma anzi, i prestiti sono così ingenti che il debitore si trova costretto alla morosità dopo poco tempo, e quando ciò accade, viene preteso il risarcimento immediato creando ad arte, le seguenti condizioni: controllo dei voti ai paesi membri delle Nazioni Unite, installazioni di basi militari e l’accesso alle multinazionali alle preziosissime risorse naturali. Si esige la restituzione dei debiti anche sotto forma di concessioni petrolifere.

In pratica tutti i paesi che i sicari dell’economia hanno portato sotto l’ombrello dell’Impero globale, hanno subìto un destino simile. Tutti ad eccezione di Iraq e Venezuela.

Questo spiega perché il debito dei paesi del Terzo mondo è arrivato a oltre 2500 miliardi di dollari, mentre i soli interessi economici (nel 2004 erano oltre 375 miliardi) sono superiori all’intera spesa per la sanità e l’istruzione e venti volte gli aiuti che i paesi in via di sviluppo ricevono annualmente dall’estero!

Cosa succede all’agenda mondialista, quando un sicario fallisce il suo compito?

Entra in gioco una razza ancor più sinistra e pericolosa: gli “sciacalli”.
Gli sciacalli sono uomini, mercenari, agenti dell’intelligence che rovesciano il governo di turno, fomentano rivolte, colpi di stato e golpe militari. Spesso mascherano i loro sporchi intervento con strani incidenti (aereo, auto), malori o malattie, uccidendo i capi di stato che non si piegano ai dettami dell’establishment economico-finanziaria.

Se anche lo sciacallo dovesse fallire, allora entrano in gioco i generali con l’esercito, e il risultato è la guerra. Esattamente quello che negli ultimi anni è accaduto in Afghanistan, Iraq sotto Saddam Hussein e Libia con Gheddafi.

In Iran e Venezuela hanno tentato il rovesciamento, ma per fortuna senza risultati.

L’inizio…

Come può un uomo normalissimo come John Perkins, con una semplice laurea in economia, diventare un sicario dell’economia?

Certamente nulla avviene per caso... E infatti tutto ebbe inizio quando sposò Ann, una giovane donna, il cui padre era un brillante ingegnere che lavorava per il Ministero della Marina, e suo zio un alto dirigente della National Security Agency (N.S.A.), l’Agenzia per la sicurezza nazionale statunitense.

Dopo il matrimonio, Perkins fu chiamato per un colloquio alla N.S.A. il cui scopo, scoprì più tardi, era individuare, attraverso test, i suoi punti deboli.
Alcune settimane dopo gli fu offerto un lavoro con il quale cominciò a far pratica nell’arte dello spionaggio. Il passaggio successivo fu l’assunzione alla Main Inc. di Boston, una società di consulenza internazionale, con circa duemila dipendenti sparsi nel mondo.

A questo punto della storia Perkins incontra, quello che sarà il suo mentore e che avrà un ruolo centrale in tutta la storia. Viene avvicinato da Claudine, una donna che approfittò dei punti deboli della sua personalità usando un misto tra seduzione fisica, manipolazione verbale e mentale: metodi studiati appositamente per lui.

Fu proprio lei a spiegargli in cosa sarebbe consistito il suo vero lavoro: per primo doveva giustificare gli enormi prestiti internazionali che avrebbero poi riportato i soldi alla Main Inc. o ad altre potentissime lobbies statunitensi come Bechtel, Halliburton, Stone & Webster, Brown & Root, attraverso grossi progetti di ingegneria e di edilizia; secondo, avrebbe dovuto mandare in rovina i paesi che ricevevano i prestiti affinché restassero per sempre in obbligo, schiavi dei creditori. In pratica il “sicario dell’economia”

In qualità di economista avrebbe dovuto fare previsioni sugli effetti di investimenti multimiliardari in un determinato paese; in particolare doveva elaborare proiezioni sulla crescita economica nei successivi venti o venticinque anni e le valutazioni dell’impatto di tutta una serie di progetti messi poi in atto dalle aziende statunitensi.

Doveva creare altissimi profitti per gli appaltatori e fare felici un pugno di ricche e influenti famiglie dei paesi destinatari, assicurando al tempo stesso la dipendenza finanziaria e quindi la lealtà politica dei governi in tutto il mondo.

In pratica, veniva pagato profumatamente per rubare miliardi di dollari ai paesi in via di sviluppo.

La storia insegna che fin dai tempi più antichi, gli imperi sono stati costruiti e mantenuti attraverso la forza militare e la minaccia, ma con la fine dell’Unione Sovietica e lo spettro di un olocausto nucleare, la soluzione militare divenne troppo rischiosa, per cui vennero optate altre strategie, come quella economica.
Queste strategie, semplici, di grande funzionamento, non necessitavano di eserciti.

Un esempio per tutti, avvenne nel 1951 quando l’Iran si ribellò alla compagnia petrolifera britannica (oggi B.P., British Petroleum) che sfruttava le risorse naturali e il popolo.

Il primo ministro iraniano Mohammad Mossadeq, eletto democraticamente dal popolo, nazionalizzò l’intero patrimonio petrolifero iraniano, scatenando le ire furiose dell’Inghilterra, la quale chiese aiuto agli U.S.A.

Washington invece delle bombe sganciò uno “sciacallo”, l’agente della C.I.A., Kermit Roosevelt (nipote del presidente Theodore), il quale riuscì, a suon di soldi, tangenti e minacce a persuadere un gran numero di persone e organizzare rivolte e dimostrazioni violente in piazza (la medesima e recente strategia applicata in Libia e Siria). Il clima, creato ad arte, dava l’impressione che Mossadeq fosse incapace e soprattutto impopolare. Il primo ministro cadde nella trappola e passò il resto della sua vita agli arresti domiciliari. A quel punto prese il potere lo scià Mohammad Reza, alleato degli Stati Uniti e divenne il dittatore incontrastato per molto tempo, fino alla Rivoluzione.

Questo è uno degli innumerevoli colpi di stato finanziati e orchestrati dagli Stati Uniti ai danni di paesi sovrani; ricordiamo Ecuador, Indonesia, Cile, Panama, Colombia, El Salvador, Bolivia, e praticamente tutto il continente africano.

Come mai simili accadimenti storici non sono conosciuti dalla maggior parte delle persone?

Negli Stati Uniti, ma il discorso in Europa non cambia, la N.B.C. è della General Electric, la A.B.C. della Walt Disney, la C.B.S. di Viacom, la C.N.N. dell’A.O.L. Time Warner, ecc.

La maggior parte dei quotidiani, periodici e case editrici sono posseduti e manipolati da gigantesche corporation transnazionali. Tutti i media fanno parte del medesimo sistema corporativo che ha portato avanti la distruzione sistematica delle economie dei paesi in via di sviluppo, e quindi veicolano solo le notizie politicamente corrette.

Per concludere John Perkins, probabilmente per ripulirsi la coscienza e per un briciolo di onestà intellettuale si è confessato pubblicamente scrivendo il libro intitolato: “Confessioni di un sicario dell’economia”.

E’ bene ricordare che è la confessione di un uomo che ha permesso a sé stesso di diventare una pedina, un sicario, riuscendo grazie alla propria avidità a sfruttare e saccheggiare miliardi di dollari da paesi in difficoltà, creando centinaia di milioni di poveri.

Il libro comunque è molto interessante, soprattutto perché permette una maggiore comprensione e visione d’insieme, dei fatti storici e dell’andamento della società moderna, tutta focalizzata nella crescita economica.

Sono riusciti, grazie a decenni di propaganda, marketing e pubblicità più o meno occulta, a convincerci che acquistare costantemente è un dovere civico e aiuta l’economia; saccheggiare la terra è nel nostro stesso interesse.

La storia purtroppo, quando non viene compresa, è destinata a ripetersi e a concludersi in tragedia. Gli imperi, infatti non durano, sono tutti falliti miseramente.

L’attuale Impero, gestito e controllato dai banchieri internazionali, centrato nei mercati e derivati finanziari, oramai si sta sgretolando sotto i nostri occhi, lasciando posto ad un sistema dove al centro ci sarà l’uomo e non il dio-denaro!

“Riconoscere un problema è il primo passo per trovarne la soluzione e confessare un peccato è l’inizio della redenzione…”.

Concludo con le parole di John Perkins

Titolo: “Confessioni di un sicario dell’economia”, John Perkins, ed. Minimum fax, ISBN: 978-88-6559-069-0

di Marcello Pamio - 28 giugno 2013 - pubblicato da Effervescienza inserto della rivista "Biolcalenda"