giovedì 13 dicembre 2012

"Le mani della crudeltà". Rapporto di Amnesty International sulle Aree tribali del Pakistan

Presunti combattenti sorvegliati da un soldato, dicembre 2010
© REUTERS/K. Parvez

Milioni di persone vivono in uno stato permanente di assenza di legalità nelle Aree tribali del Pakistan nordoccidentale, regione in cui gli abusi commessi dall'esercito e dai talebani restano al di fuori della portata della giustizia
 
È questa la denuncia contenuta in un rapporto pubblicato il 13 dicembre da Amnesty International, intitolato "Le mani della crudeltà", che definisce le Aree tribali come una sorta di "deserto legale" che ha dato luogo a una crisi dei diritti umani.
 
Migliaia di uomini e ragazzi sono stati arrestati dalle forze armate. Molti hanno denunciato di essere stati torturati, altri non sono stati più visti dopo essere stati trasferiti in centri segreti di detenzione. Le assai rare indagini avviate su questi casi sono risultate inefficaci.
 
"Dopo un decennio di violenza, lotte e conflitti, anziché essere protette le comunità tribali continuano a subire attacchi, rapimenti e intimidazioni" - ha dichiarato Polly Truscott, vicedirettrice del Programma Asia e Pacifico di Amnesty International.
 
Le garanzie costituzionali e la supervisione dei tribunali sono escluse dalle Aree tribali, dove le forze armate utilizzano leggi sulla sicurezza dall'ampia portata e un durissimo sistema penale dell'era coloniale per compiere impunemente violazioni dei diritti umani.
 
"Consentendo all'esercito di compiere abusi senza alcun freno, le autorità pakistane gli hanno dato il via libera per eseguire torture e sparizioni forzate" - ha aggiunto Truscott.
 
I talebani e altri gruppi armati continuano a costituire una minaccia mortale per la società pakistana e a mostrare, nelle parole di Truscott, "un completo disprezzo per le vite civili". Nell'ultimo decennio, migliaia di persone sono state uccise in attacchi sia indiscriminati che diretti verso obiettivi civili specifici.
 
I talebani e altri gruppi armati si rendono anche responsabili di uccisioni brutali e illegali di soldati fatti prigionieri o di presunte spie, talvolta a seguito di procedimenti paragiudiziari che non rispettano neanche i requisiti minimi del diritto internazionale sui processi equi.
 
"Le comunità tribali vivono nella paura più abietta di subire rappresaglie mortali per il minimo sospetto di stare dalla parte dello stato o persino, come nel caso della giovane attivista Malala Yousafzai, solo per aver difeso il diritto all'istruzione" - ha aggiunto Truscott.
 
Il rapporto di Amnesty International si basa su numerose interviste a vittime di abusi dei diritti umani, testimoni, familiari, avvocati e rappresentanti delle autorità pakistane e dei gruppi armati nella regione.
Sebbene negli ultimi tre anni abbiano ripreso il controllo di buona parte delle Aree tribali, le forze armate hanno arrestato arbitrariamente migliaia di persone, tenendole per lungo tempo in carcere nella pressoché totale assenza di garanzie sul giusto processo.
 
Amnesty International ha anche documentato molti casi di decessi in stato di custodia.
 
"Quasi ogni settimana, corpi di persone arrestate dalle forze armate vengono restituiti alle famiglie o ritrovati in qualche luogo delle Aree tribali" - ha spiegato Truscott.
 
Niaz*, arrestato insieme al fratello Ayub*, ha raccontato il trattamento subito nell'aprile 2012: "Per i primi cinque giorni ci hanno picchiato sistematicamente sulla schiena con delle cinture di cuoio. Il dolore era indescrivibile. I soldati ci dicevano che ci avrebbero ucciso se non avessimo confessato di far parte dei talebani".
 
Dieci giorni dopo l'arresto, Niaz è stato rilasciato ma poche ore dopo ha appreso che suo fratello era morto. Un ufficiale dell'esercito gli ha detto che Ayub aveva avuto un infarto. Ad Amnesty International non risulta che le autorità pakistane abbiano svolto indagini sulle torture subite da Niaz e Ayub e sulla morte di quest'ultimo in custodia militare.
 
Il caso di Niaz è emblematico delle detenzioni arbitrarie e dei brutali trattamenti dei detenuti da parte delle forze armate e del completo fallimento delle autorità pachistane dal punto di vista delle indagini.
 
"Il fatto che si consenta a questo sistema di violazioni di proseguire senza niente che assomigli a indagini efficaci illustra l'assenza di salvaguardie per i diritti umani nelle Aree tribali" - ha sottolineato Truscott.
 
Il rapporto di Amnesty International descrive molti casi di sparizioni forzate di persone arrestate dalle forze armate e mai portate di fronte a un giudice né fatte incontrare con avvocati e familiari, i quali non hanno la minima idea di cosa sia  accaduto ai detenuti.
 
Le garanzie fondamentali in materia di protezione dei diritti umani previste dalla Costituzione del Pakistan non sono in vigore nelle Aree tribali, dove vige piuttosto il draconiano Regolamento sui crimini di frontiera, risalente all'era coloniale.
 
Nel 2011, inoltre, i Regolamenti di azione a sostegno del potere civile hanno dato all'esercito ulteriori poteri arbitrari d'arresto e imprigionamento.
 
Né le corti d'appello né il parlamento hanno giurisdizione sulle Aree tribali. Sebbene i tribunali abbiamo comunque preso in esame ricorsi contro la legittimità di alcune detenzioni, non vi è stato alcun procedimento nei confronti di militari sospettati di torture, sparizioni forzate e decessi in custodia.
 
"Il governo pakistano deve immediatamente riformare il sistema legale, profondamente  difettoso e causa del perpetuarsi del ciclo di violenza, in vigore nelle Aree tribali. I Regolamenti del 2011 devono essere annullati e la giurisdizione dei tribunali e del parlamento dev'essere estesa anche a questa regione" - ha concluso Truscott.
 
I modesti tentativi del governo pakistano di modificare il Regolamento sui crimini di frontiera non sono stati all'altezza delle norme e degli standard internazionali sui diritti umani e sono stati ulteriormente compromessi dall'entrata in vigore dei Regolamenti del 2011.
 
*I nomi sono stati modificati. 

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