mercoledì 27 giugno 2012

LIBERARCI DAL PESO DEL DEBITO PER RICONQUISTARE SOVRANITÀ


Fonte:www.italiaglobale.it

Non ci fa solo dipendere dai mercati finanziari internazionali, ma produce anche un rallentamento del Pil. Che storicamente è cresciuto in media del 3,9% annuo con un rapporto debito/Pil sotto il 90% ed è sceso dell’1,1% con un rapporto superiore al 90%.

A partire dagli anni 2000, l’Italia è cresciuta in termini demografici, con il 7% in più di residenti, persino gli occupati sono aumentati dell’8%, ma il Pil si è fermato a solo il 4,1% in più in termini reali. Continueremo a essere eterodiretti finché permarrà la zavorra del debito pubblico e la dipendenza dall’andamento dello spread. Perché il debito copiosamente accumulato nel ventennio passato non ci fa solo dipendere in misura eccessiva dai mercati finanziari internazionali, ma ci ha tolto anche slancio nella creazione di valore. Oltre alle fragilità derivanti dai costi del rifinanziamento, il debito eccessivo produce un rallentamento del tasso di crescita del Pil, perché determina alta tassazione e bassi investimenti pubblici, provocando il calo dei consumi privati, l’indebolimento della domanda aggregata interna, la riduzione dell’autonoma iniziativa dei cittadini e quindi un calo dell’imprenditorialità. L’ultimo ventennio è stato infatti caratterizzato da un crescente indebitamento e da una bassa dinamica del Pil. A partire dal 1861, il Pil italiano è cresciuto mediamente del 3,9% annuo quando il rapporto debito/Pil si manteneva al di sotto del 90%, mentre è sceso mediamente dell’1,1% nei periodi in cui il rapporto era superiore al 90%. Gli interessi pesavano 10 punti di Pil nel 1990, saliti a 12,6 punti nel 1993, per poi scendere progressivamente fino a 4,6 punti nel 2010, l’ultimo annuo di tregua prima della risalita dello spread.

La via più efficace per ridurre il debito non è coercitiva. Ogni ulteriore forma di tassazione o di imposta patrimoniale andrebbe esclusa, per gli effetti ulteriormente depressivi sull'economia e la società che ne deriverebbero. Per recuperare le risorse necessarie occorre utilizzare il patrimonio pubblico. Ma oggi la vendita delle partecipazioni sarebbe controproducente, visti gli attuali andamenti di borsa. E la dismissione del patrimonio immobiliare non sarebbe conveniente, con un mercato stagnante come in questa fase. Sarebbe più efficace un conferimento degli asset a fondi o altri strumenti di intermediazione che possano produrre risultati immediati attraverso la sottoscrizione di quote da parte dei cittadini.

Ma bisogna anche ricostruire la politica dalla rappresentanza, che persegua interventi di medio-lungo termine sui conti pubblici, a livello nazionale, e svolga un ruolo attivo nell'adeguamento degli strumenti di governo monetario, a livello europeo e globale. Oggi il qualunquismo, incattivito dalla crisi e dalle scarse prove di sé date da istituzioni e forze politiche, si esercita nella delegittimazione di ogni luogo di decisione istituzionale e di ogni forma di rappresentanza sospettata di continuità con il passato, spingendo il personale politico all'ansiosa rincorsa delle esasperazioni antipolitiche del momento. Ricomporre mosaici di domande sociali differenziate è difficile, soprattutto in fasi di crisi. Confrontarsi con orientamenti mutevoli è complicato, soprattutto quando non si possiedono paradigmi interpretativi consolidati e si è sottoposti a continue tensioni delegittimanti. Ma non c’è altra strada se non quella della ricostruzione della capacità di dare rappresentanza ai tanti soggetti e interessi che innervano il tessuto socio-economico del Paese attraverso il radicamento nei luoghi materiali (i territori) e virtuali (le reti sociali) dove essi si manifestano. 

«Le uscite possibili» è l’argomento di cui si è parlato oggi al Censis, a partire da un testo elaborato nell’ambito dell’annuale appuntamento di riflessione di giugno «Un mese di sociale», giunto alla ventiquattresima edizione, dedicato quest’anno al tema «La crisi della sovranità». Sono intervenuti il Presidente del Censis Giuseppe De Rita, il Direttore Generale Giuseppe Roma, Giuliano Amato, Giuliano Ferrara, Massimo Franco, Antonio Pedone e Mario Sarcinelli.

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