mercoledì 30 novembre 2011

HIV/AIDS E INFANZIA: PROGRESSI INCORAGGIANTI HANNO EVITATO 350.000 NUOVI CONTAGI

I progressi globali ottenuti sia sul fronte della prevenzione che della cura dell'HIV evidenziano come gli investimenti  per l’HIV/AIDS facciano la differenza nel lungo periodo

L’ultimo rapporto di OMS, UNICEF e UNAIDS "Risposta globale all'HIV/AIDS" indica che il maggior accesso alle cure per l'HIV ha  determinato una riduzione del 15% dei nuovi contagi negli ultimi dieci anni e un calo del 22% delle morti causate dall’AIDS negli ultimi cinque anni.  

"Il mondo ha impiegato dieci anni per arrivare a questo livello di attenzione sull’HIV/AIDS" afferma Gottfried Hirnschall, Direttore del Dipartimento per l’HIV dell’OMS. "Vi è adesso una possibilità molto reale di compiere progressi determinanti nel combattere l'epidemia. Ma questo sarà possibile solo sostenendo e accelerando questo livello di attenzione nel prossimo decennio".

Nel corso dell'ultimo anno i passi avanti della scienza e le innovazioni nei programmi di lotta all’HIV hanno dato grande speranza per il futuro. In tempi di austerità economica è fondamentale applicare rapidamente le conoscenze scientifiche, le novità tecnologiche e gli approcci innovativi per migliorare l’efficienze e l’efficacia dei programmi di lotto all’HIV nei paesi.

Il rapporto poi evidenzia ciò che sta funzionando:

• L’aumentato accesso ai servizi di prevenzione per l’HIV ha permesso al 61% delle donne in gravidanza dell’Africa orientale e meridionale di poter accedere ai test e ai servizi di consultorio – il 14% in più rispetto al 2005.

• Nel 2010 quasi la metà delle donne in gravidanza (48%) ha ricevuto farmaci adatti a prevenire la trasmissione madre-figlio dell'HIV (PMTCT).

• La terapia antiretrovirale (ART), che non solo migliora la salute e il benessere delle persone contagiate, ma blocca anche l’ulteriore trasmissione del virus dell’HIV, è ora disponibile per 6,65 milioni di persone nei paesi a basso e medio reddito, circa il 47% dei 14,2 milioni che hanno necessità di riceverlo.

Quando le persone sono in salute migliora anche la loro situazione finanziaria. Il rapporto, infatti, rivela che gli investimenti per le cure contro l'HIV potrebbero portare ad un guadagno totale di 34 miliardi di dollari entro il 2020 nell’incremento dell'attività economica e della produttività, cioè un guadagno superiore ai costi dei programmi antiretrovirali.

"Il 2011 è stato l’anno in cui la situazione è cambiata radicalmente. Grazie alle novità scientifiche, a leadership politiche senza precedenti e ai continui progressi nella lotta all'AIDS, i paesi hanno maggiori opportunità per sviluppare i propri piani di risposta all’epidemia", ha detto Paul De Lay, Vice Direttore generale dei programmi di UNAIDS.

"Investendo saggiamente, i paesi possono aumentare l'efficienza, ridurre i costi e migliorare i risultati. Tuttavia, i risultati realizzati finora sono messi in pericolo dal calo delle risorse per l'AIDS".

Il rapporto presenta anche quello che c’è ancora da fare:

• Nei paesi a basso e medio reddito più della metà delle persone che hanno bisogno della terapia antiretrovirale non possono ancora accedervi. Molti di loro non sanno nemmeno di aver contratto il virus dell'HIV.

• Nonostante il crescente numero di evidenze scientifiche e ricerche, i paesi devono ancora mettere a fuoco ciò che possono fare per avere un impatto reale sull’epidemia, alcuni non hanno ancora messo a punto un piano per proteggere coloro che sono più a rischio e in difficoltà.

In molti casi gruppi che comprendono: ragazze adolescenti, persone che fanno usa di droghe iniettabili, uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini, transgender, lavoratori nel campo del commercio sessuale, persone in prigione e migranti non hanno la possibilità di accedere ai servizi di prevenzione e cura dell’HIV.

In tutto il mondo, la stragrande maggioranza (64%) delle persone tra i 15-24 anni sieropositive sono donne. Il tasso è più alto in Africa sub-sahariana, dove le ragazze e le giovani donne costituiscono il 71% della popolazione giovanile affetta da HIV - essenzialmente perché le strategie di prevenzione non sono state efficaci nel rivolgersi a questo gruppo di persone.

I gruppi più a rischio sono continuamente emarginati. In Europa orientale e Asia centrale, più del 60% delle persone sieropositive sono persone che fanno uso di droghe iniettabili. Tuttavia solo il 22% di queste persone ricevono le terapie antiretrovirali.

Sebbene i servizi di prevenzione per la trasmissione madre-figlio del virus HIV abbiano evitato circa 350.000 nuovi contagi tra i bambini, circa 3,4 milioni di bambini sono sieropositivi e molti non ricevono le cure necessarie. Nei paesi a basso e medio reddito, solo un bambino su quattro ha ricevuto il trattamento per l’HIV, tra gli adulti 1 su 2.

"Mentre i trattamenti, le cure e gli aiuti per gli adulti sono aumentati, dobbiamo constatare che i progressi per i bambini sono più lenti" afferma Leila Pakkala, Direttore dell'Ufficio UNICEF di Ginevra.

"La copertura degli interventi per l’HIV per i bambini rimane bassa, in modo allarmante. Attraverso un’azione concertata e strategie basate sull’equità, dobbiamo far sì che vengano portati avanti interventi globali per i bambini, così come per gli adulti".


LA TECNOLOGIA SATELLITARE FORNISCE NUOVE STIME SULLE PERDITE DI SUPERFICIE FORESTALE

Tra il 1990 e il 2005 il pianeta ha perso
quasi dieci ettari di foreste al minuto.
La FAO utilizza il rilevamento a distanza per valutare i cambiamenti avvenuti.

Un nuovo rilevamento su dati satellitari appena pubblicato dalla FAO fornisce un quadro più accurato dei cambiamenti che hanno interessato il patrimonio forestale mondiale, mostrando un declino nell'uso della superficie forestale tra il 1990 e il 2005.

I risultati dell'indagine di rilevamento a distanza condotta a livello globale mostrano che la superficie forestale totale nel 2005 copriva 3,69 milioni di ettari, ovvero il 30% dell'estensione totale delle terre globali.     

I nuovi rilevamenti indicano che il tasso di deforestazione a livello globale è stato pari in media a 14,5 milioni di ettari l'anno tra il 1990 e il 2005, in linea con le stime precedenti. La deforestazione é avvenuta soprattutto ai tropici, verosimilmente a causa della conversione di foreste tropicali in terre agricole.

D'altro lato, l'indagine mostra che globalmente la perdita netta di foreste tra il 1990 e il 2005 è stata inferiore a quanto creduto in precedenza, poiché le aree forestali guadagnate sono state maggiori di quanto indicato dalle precedenti stime.

La perdita netta di foreste - quando le perdite di area boschiva sono parzialmente compensate da riforestazione o espansione naturale del manto forestale - è stata pari a 72,9 milioni di ettari, ovvero il 32% in meno della precedente stima di 107,4 milioni di ettari, secondo il nuovo rivelamento. In altre parole, la terra ha perso in media 4,9 milioni di ettari di foreste l'anno, ovvero quasi 10 ettari di foreste al minuto, nell'arco dei 15 anni.

I nuovi dati rivelano anche che la perdita netta di foreste è andata accelerando, aumentando dai 4,1 milioni di ettari l'anno tra il 1990 e il 2000 ai 6,4 millioni di ettari tra il 2000 e il 2005.

Le stime sono state realizzate sulla base del più vasto uso fatto fin'ora di dati satellitari ad alta risoluzione per fornire un quadro dell'estensione boschiva su tutto il globo. Esse differiscono dalle precedenti stime della FAO riportate nella Valutazione delle Risorse Forestali Globali 2010 (FRA 2010), basate sulla compilazione di studi condotti a livello nazionale usando una vasta gamma di fonti diverse.

"La deforestazione sta privando milioni di persone di beni e servizi derivanti dalle foreste che sono cruciali per la sicurezza alimentare, il benessere economico e la salute ambientale", ha dichiarato Eduardo Rojas-Briales, Vice-Direttore Generale della FAO per il Settore Forestale.

"Le nuove stime basate sui dati satellitari ci danno un quadro più completo e globale, nel tempo, della situazione delle foreste nel mondo. Insieme alla vasta gamma di informazioni fornite dai singoli rapporti nazionali, esse offrono agli organi decisionali ad ogni livello informazioni più accurate e sottolineano la necessità che i paesi e le organizzazioni si impegnino urgentemente per porre un freno alla perdita di questi preziosi ecosistemi forestali", ha aggiunto Rojas-Briales.

L'indagine di rilevamento a distanza è stata condotta su una sola fonte di dati in tre diversi momenti - 1990, 2000 e 2005 - usando gli stessi dati input e la stessa metodologia per tutti i paesi.

"Per quanto riguarda le modifiche dell'estensione della superficie forestale, i nuovi risultati arricchiscono soprattutto le nostre informazioni sull'Africa, dove i dati relativi a molti paesi erano vecchi o di scarsa qualitá. Qui il rilevamento satellitare mostra un tasso di perdita forestale inferiore a quello precedentemente stimato sulla base dei rapporti nazionali," afferma Adam Gerrand, Esperto forestale della FAO.

Perdite e guadagni a livello regionale

I dati mostrano anche ampie differenze regionali nelle perdite e nei guadagni di superficie boschiva. Tra il 1990 e il 2005 la perdita di foreste è stata maggiore ai tropici, dove si trova poco meno della metà della superficie forestale mondiale. Le perdite nette in questa regione sono state in media di 6., milioni di ettari l'anno tra il 1990 e il 2005. Il piu' alto tasso di conversione di superficie forestale ad altri usi non meglio specificati si è registrato per entrambi i periodi in America del Sud, seguita dall'Africa.

L'Asia è l'unica regione ad aver registrato guadagni netti di superficie forestale in entrambi i periodi. La deforestazione ha riguardato si tutte le regioni, Asia compresa, ma l'estesa attività di rimboschimento che è stata riportata in diversi paesi in Asia (principalmente in Cina) ha più che compensato le aree forestali andate perdute.

Modesti guadagni netti di area boschiva si sono registrati nelle regioni subtropicali, temperate e boreali nell'arco di tutto il quindicennio. Ulteriori successivi rilevamenti a distanza saranno in grado di rilevare i cambiamenti avvenuti a partire dal 2005, compreso ogni progresso che può esser stato fatto nella protezione delle foreste esistenti e nella creazione di nuove foreste dal 2005 in avanti.

Una visione globale

I nuovi dati forniscono input importanti per quei processi di monitoraggio nazionale ed internazionale che richiedono informazioni e statistiche sulle aree forestali e sui cambiamenti di destinazione d'uso delle terre. Tra di essi, la Convenzione sulla biodiversitá e la nuova Iniziativa per ridurre le emissioni provocate da deforestazione e degrado forestale nei paesi in via di sviluppo (REDD+), nell'ambito della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (UNFCCC), attualmente alla discussione della XVII Conferenza delle Nazioni Unite ospitata a Durban, in Sud Africa (28 novembre-9 dicembre 2011).

Per condurre tale studio, la FAO ha lavorato per quattro anni con i suoi partner tecnici del Centro comune di ricerca della Commissione Europea ed oltre 200 ricercatori da 102 paesi, per analizzare i dati provenienti dall'Ente Nazionale per le Attivitá Spaziali e Areonautiche (NASA) e dall'Istituto Geologico degli Stati Uniti (USGS).

La ricerca è stata finanziata con contributi della Commissione Europea, del Centro Heinz, dei governi di Australia, Finlandia e Francia e della FAO.


BERLINO TRA EUROBOND E UE

di Emanuela Pessina

BERLINO. Secondo alcune agenzie stampa, i capi di Governo dei 27 Paesi dell'Unione europea si incontreranno l'8 dicembre a Bruxelles per una cena informale di lavoro in cui si discuterà di alcune modifiche al trattato Ue. Una cena, spiegano alcune fonti, che vuole concedere ai leader europei più tempo per discutere di questioni oscure quali la stabilizzazione delle banche e la creazione di un muro di protezione che limiti la crisi del debito: problematiche tanto gravi da assomigliare sempre più a vere e proprie sfide, in un’atmosfera di assoluta e palese disarmonia fra i capi di Stato europei. Il Consiglio europeo, quello ufficiale, è previsto invece per il giorno dopo: ma che questo nuovo incontro fornisca una risoluzione definitiva alla crisi, in realtà, non se l’aspetta più nessuno.

La notizia arriva pochi giorni dopo i rumors che vedevano la Cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy impegnati nella stesura di un patto di stabilità da applicare solo ad alcuni Stati secondo il modello degli accordi di Schengen: uno stratagemma pensato per evitare le eventuali resistenze di certi Paesi. Secondo questo trattato “esclusivo”, in pratica, solo gli Stati che godono di un rating tripla-A potrebbero essere messi in condizione di emettere titoli di debito autonomamente.

Diffusa sabato dal quotidiano popolare tedesco Bild, e ripresa poi da tutta la stampa internazionale, l’indiscrezione non ha mancato di suscitare ovunque indignazione e incertezza. La prospettiva di dividere Eurolandia ha infatti messo in luce ancora una volta la debolezza della moneta unica, e cioè la mancanza di una coesione politica di base che permetta ai suoi leader di prendere decisioni economiche sicure senza ricorrere a continui compromessi. La moneta unica si scopre sempre più simile a un palazzo di vetro e acciaio costruito su un terreno ad alto rischio sismico, caratterizzato da forze interne che premono. Anche il trattato esclusivo, di per sé, non è che una soluzione di mezzo, perché prova a ravvicinare la politica economica della Germania a quella del resto della zona euro, forse l’attrito principale che mina la costruzione della moneta unica.

Perché il nodo cruciale della crisi dell’euro, in realtà, si è ridotto all’intransigenza di Angela Merkel (e del suo governo) nei confronti degli Eurobond, da molti considerati l’unica ricetta valida contro la crisi del debito sovrano. La posizione della Cancelliera è determinata: no agli Eurobond senza un controllo internazionale che possa garantire il rispetto delle regole da parte dei singoli Paesi. A spiegare la visione tedesca ci ha pensato il presidente della Bundesbank tedesca, Jens Weidmann, che ha ammesso di non essere contro gli Eurobond a priori: l’Europa si potrà assumere responsabilità comuni solo alla fine di un processo politico di integrazione degli Stati membri. 

Il processo indicato da Weidmann presuppone innanzitutto l’unificazione fiscale e un controllo comune sui bilanci dei singoli stati della zona euro. In particolare, secondo il presidente della banca federale tedesca, l’istituzione Europa dovrebbe avere il diritto di intervenire anche drasticamente nei singoli Paesi quando questi non rispettassero le regole. Anche se, ha ammesso Weidmann, dopo una rigida politica che crei una maggiore convergenza economica tra i membri dell'Eurozona, gli Eurobond potrebbero non essere più necessari. Difficile capire la visione della Germania sia un ulteriore compromesso per guadagnare tempo, quindi, o se venga proposta come soluzione concreta.

A non concedere nulla all’intransigenza dalla Germania, neppure il beneficio del dubbio, è la stampa internazionale. “Più che un’idea è un´ideologia, che nella cultura economica nazionale ha radici lontane, risalenti al periodo fra le due guerre”, ha commentato Barbara Spinelli su La Repubblica. “È la cosiddetta dottrina della «casa in ordine» (Haus in Ordnung), secondo la quale ogni Stato deve prima raddrizzare le storture e far pulizia nel proprio recinto, e solo dopo può contare sulla cooperazione e la solidarietà internazionali”. Per Anatole Kaletsky del Times di Londra “la Germania è nuovamente in guerra con l’Europa, almeno nel senso in cui la politica tedesca si è posta traguardi che sono tipici delle guerre, come la dislocazione dei confini internazionali e l’assoggettamento di altri popoli”.

Ai giornalisti e agli economisti internazionali viene spontaneo associare la rigidezza della Germania alla sua storia, ma forse non si considera che quello che la Cancelliera pretende è ancor’oggi alla base della società tedesca. Nella sua struttura sociale, la Germania punta tutto sul rispetto reciproco tra i singoli individui, comunemente disciplinato dalle regole del gioco: e il rispetto delle regole è, in questo senso, insito nella società e nelle abitudini umane. Forse, la Germania sta solo cercando di imporre un modello di funzionamento. Che tutta l'Europa ci debba riconoscere é altra cosa.


HIV: TROPPE DONNE SCOPRONO TARDI DI ESSERE SIEROPOSITIVE. “SONO PIÙ VULNERABILI DEGLI UOMINI DI FRONTE AL VIRUS”

Il sistema immunitario di queste pazienti è già compromesso. Nel 70% dei casi sono infettate da un partner stabile. Sono 4000 le nuove diagnosi ogni anno: un terzo riguarda la popolazione femminile

Quasi il 40% delle donne HIV positive scopre tardi di essere stato colpito dal virus, spesso quando l’AIDS è già in fase conclamata. È il fenomeno dei cosiddetti “late presenter” (persone che giungono tardivamente alla diagnosi), in crescita e particolarmente preoccupante. Inoltre le donne presentano condizioni biologiche che le rendono più esposte al virus: sono due volte più a rischio di contagio in un rapporto non protetto rispetto all’uomo. Da qui l’importanza della diagnosi precoce, anche rendendo più facile l’accesso al test. I “late presenter” da un lato traggono minori benefici dalle terapie antiretrovirali perché il loro sistema immunitario è già compromesso, dall’altro possono assumere comportamenti a rischio e infettare altre persone senza esserne consapevoli. Paradossalmente l’estrema tutela della privacy e i vincoli burocratici fissati dalla legge n.135 del 1990 (con troppi moduli di consenso informato da compilare) possono rendere “ostico” il test. Il tema “Donne e HIV” è al centro del convegno in programma oggi dalle 16 alle 19 al Senato (Sala Capitolare, Piazza della Minerva 38), alla vigilia della Giornata mondiale contro l’AIDS. “Il 70% delle donne – sottolinea la prof.ssa Antonella d’Arminio Monforte, Direttore della Clinica di Malattie Infettive del San Paolo di Milano - viene infettato da un partner stabile, mentre il 76% dei maschi contrae il virus durante un rapporto occasionale. È quindi l’uomo che normalmente ‘porta’ la malattia all’interno della coppia. Inoltre le donne sono più vulnerabili di fronte al virus: la loro mucosa genitale è più permeabile all’HIV rispetto a quella maschile e gli ormoni femminili, in certe fasi del ciclo, possono favorire l’infezione”. Dopo 30 anni dall’inizio dell’epidemia sono quasi 16 milioni nel mondo le donne affette da HIV, la maggior parte in età fertile. Per queste ultime il virus è diventato la principale causa di malattia e morte. In Europa è in costante aumento il numero di donne colpite: il 35% delle nuove diagnosi riguarda infatti la popolazione femminile. “Ogni anno – afferma la prof.ssa Cristina Mussini, Direttrice della Clinica delle Malattie Infettive del Policlinico di Modena - nel nostro Paese si registrano 4000 nuovi casi di infezione da HIV: 12 ogni giorno, uno ogni due ore. Almeno un terzo riguarda le donne. Ciononostante sono sottorappresentate negli studi clinici. Sono necessari più dati, specialmente di lungo termine, per valutare la risposta al trattamento antiretrovirale nelle pazienti con HIV e migliorare la gestione della malattia. I farmaci utilizzati in terapia sono spesso sperimentati in giovani maschi, pertanto è difficile capire a priori come possano interferire con l’organismo femminile. Vi sono inoltre peculiarità connesse allo stato di sieropositività femminile che vanno dal desiderio di maternità alla scelta del contraccettivo adatto. Ad esempio, poche sanno cosa significa avere un figlio essendo HIV positive e che le attuali terapie antiretrovirali possono proteggere il nascituro”. Le persone che scoprono di avere il virus hanno un’età media di 39 anni (i maschi) e di 35 (le femmine). “I dati del Sistema di Sorveglianza – spiega il prof. Stefano Vella, direttore del Dipartimento del Farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità - sottolineano l’urgenza di avviare campagne di sensibilizzazione per incoraggiare l’adozione di comportamenti sessuali sicuri, in particolare tra i giovani e la popolazione femminile, e di effettuare il test HIV di routine alle donne in gravidanza per ridurre il rischio di trasmissione dell’infezione sia attraverso i rapporti sessuali che da madre a bambino”.

“Lo stigma – continua la dott.ssa Rosaria Iardino, presidente onorario di NPS Italia Onlus (Network italiano delle persone sieropositive) - è un fatto culturale, strisciante, che non si manifesta più con comportamenti apertamente di pregiudizio, ma connota tutta la vita delle persone con HIV. Per questo motivo più che parlare di stigma al femminile bisogna considerare che il fatto di essere donna diventa un moltiplicatore culturale del pregiudizio. Il passaggio dell’infezione dal mondo omosessuale a quello eterosessuale è ampiamente dibattuto, invece la crescita del numero di casi nella popolazione femminile è semplicemente un dato statistico. In medicina esistono alcuni aspetti che evidenziano l’esistenza di uno stigma, non manifesto, non urlato, ma non per questo meno pericoloso, a partire dalla minore rappresentatività femminile negli studi clinici. La donna non può essere assimilata all’uomo, come una mera variabile, ma ha una specificità che la sperimentazione è chiamata a tenere in considerazione per promuovere una medicina che riconosca adeguatamente le pari opportunità”. Le stime indicano che in Italia sono attualmente presenti tra 143.000 e 165.000 persone HIV positive, di cui più di 22.000 in AIDS. Negli ultimi 15 anni si è verificata una profonda trasformazione nella gestione della malattia legata all’impatto delle terapie antiretrovirali, che si sono dimostrate più efficaci, più facili da assumere e in grado di controllare meglio il virus nel lungo periodo. “La battaglia contro l’AIDS, non ancora vinta, ha prodotto risultati straordinari in un periodo di tempo relativamente breve, che hanno trasformato la storia naturale della malattia rendendola da rapidamente progressiva e mortale a cronica – afferma il prof. Andrea Antinori, Direttore malattie infettive all’Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma -. Oggi l’aspettativa di vita di una persona HIV positiva, che riceva una diagnosi precoce, non abbia patologie associate e sia in giovane età, è comparabile a quella della popolazione sana. Ma non va sottovalutato il problema del ‘sommerso’, della sieropositività inconsapevole, rappresentato dai malati che continuano a infettare senza averne coscienza. Intervenire in maniera attiva per individuarli ha decisivi riflessi sociali”.

L’emergenza rappresentata dal ‘sommerso’ potrebbe essere superata se sottoporsi al test di sieropositività divenisse nel nostro Paese una pratica normale, facilitata il più possibile per raggiungere anche le categorie più fragili. “È un esame che non rileva la presenza del virus ma degli anticorpi che il sistema immunitario produce quando è entrato in contatto con il virus – spiega il prof. Adriano Lazzarin, Direttore della Divisione di Malattie Infettive del San Raffaele di Milano -. Il test si effettua con un normale prelievo di sangue. Bisogna considerare che, se si è avuto un comportamento sessuale a rischio, il test va eseguito. E, se risulta negativo, deve essere ripetuto dopo tre mesi. Inoltre, durante il cosiddetto ‘periodo finestra’, è possibile trasmettere l’infezione pur non risultando positivi all’esame”.

Anche se la popolazione femminile costituisce uno dei gruppi più vulnerabili nei confronti dell’HIV, non vengono stanziate risorse sufficienti per rispondere ai bisogni specifici di queste pazienti. “Per questo è stato attivato ‘SHE’ (Strong, HIV Positive, Empowered Women) – conclude la prof.ssa d’Arminio Monforte, membro del comitato di SHE -, il primo programma educazionale in Europa rivolto alle sfide sempre più grandi che le donne affette da HIV devono affrontare. L’iniziativa si basa sul supporto fornito dalle ‘pari’, cioè da donne nella stessa condizione clinica. Ricerche scientifiche mostrano che le informazioni provenienti dai gruppi di auto-aiuto risultano particolarmente credibili, affidabili e influenti”. Il progetto include l’Italia ed è realizzato con la collaborazione delle associazioni di pazienti.

ANIMALI: LUPI E VOLPI MORTI PER AVVELENAMENTO NEL PARCO DELLA MAJELLA

Sono in corso indagini da parte del Corpo forestale dello Stato. Le carcasse sequestrate sono state consegnate per gli accertamenti di rito all'Istituto Zooprofilattico di Grosseto.

La scorsa domenica due lupi e una volpe sono stati trovati morti all'interno del Parco Nazionale della Majella, in località "La Posta" del comune di Ateleta. La segnalazione di un escursionista è pervenuta alla Centrale Operativa del Corpo forestale dello Stato. Da allora una task force composta dal personale del Coordinamento Territoriale per l'Ambiente di Guardiagrele del CFS, dal personale tecnico dell'Ente Parco e della ASL competente per territorio, ha tempestivamente messo in atto uno specifico protocollo di repertazione previsto nei casi di mortalità illegale della fauna selvatica, in particolare quando si tratti di lupi.

Da una verifica preliminare delle carcasse e da una lettura critica del contesto del ritrovamento, l'ipotesi della causa di morte più accreditata è risultata quella dell'avvelenamento. Le indagini hanno previsto nei giorni immediatamente seguenti la segnalazione, un capillare rastrellamento del territorio e la sua contestuale bonifica, anche oltre i confini dell'area interessata, per recuperare eventuali altri animali, resti alimentari o esche.

Durante le operazioni è stata infatti rinvenuta un'altra carcassa di volpe.

Per le ricerche ci si è avvalsi anche di nuclei cinofili antiveleno del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga.

Le carcasse sequestrate dai Forestali sono state consegnate, per le analisi di rito, al Centro di Medicina Forense Veterinaria di Grosseto dell'Istituto Zooprofilattico e Sperimentale di Lazio e Toscana. Gli esiti degli accertamenti, vista l'urgenza del caso, perverranno presumibilmente entro una decina di giorni, in modo da orientare in maniera più mirata e funzionale le indagini dei Forestali sul caso.

L'episodio è di notevole gravità considerando anche il fatto che i lupi erano due esemplari maschi giovani e quindi dall'alto potenziale riproduttivo.




AIDS:ACTIONAID, METÀ DEI MALATI DI HIV NEL MONDO È ESCLUSA DALLE CURE

De Ponte: “L'Aiuto Pubblico allo Sviluppo italiano dedicato alla lotta all'HIV ha subito un taglio del 70%. Si aumentino i finanziamenti e si rilanci la credibilità internazionale del Paese”.

Nel mondo 15 milioni di persone necessitano l’assunzione di farmaci antiretrovirali ma, di questi, 8 milioni non ricevono alcuna terapia”. Questa la denuncia del rapporto “Ogni Promessa è Debito” lanciato oggi da ActionAid Italia in vista del 1° dicembre, Giornata Mondiale per la lotta all'AIDS.

Oggi l'aspettativa di vita di un paziente opportunamente trattato raggiunge quella di individui sani e il trattamento antiretrovirale, fondamentale per il controllo, la prevenzione e la riduzione della diffusione del virus, può ridurre del 96% la probabilità di trasmissione del virus”, spiega Marco De Ponte, Segretario Generale di ActionAid Italia. “Tra il 2001 e il 2009, grazie allo sviluppo della ricerca e all'aumento di dieci volte degli investimenti per la risposta alla pandemia (da 1,6 a 15,9 miliardi di dollari), si sono raggiunti traguardi importanti.”

A fine 2010, 6,6 milioni di persone nei paesi a basso e medio reddito hanno avuto accesso alle terapie (1,35 milioni di persone in più rispetto al 2009) e ciò ha determinato, dal 2005 ad oggi, la diminuzione delle morti causate dall'AIDS sono diminuite del 21%.

Nonostante questi importanti risultati, dal 2009 il governo italiano ha deciso di tagliare del 70% l'Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) del nostro Paese dedicato alla lotta all'HIV”, afferma De Ponte.

I tagli all'APS dedicato all'HIV vanno inquadrati nella riduzione, tra il 2008 e il 2009, del 44% dell'APS sanitario generale (circa 287 milioni di dollari). Ciò ha fatto si che il livello di tale Aiuto, invece di avvicinarsi alle percentuali raccomandate a livello internazionale (lo 0,1% del PIL dedicato all'APS sanitario), sia sceso nel 2010 a 338 milioni di dollari, un valore cinque volte inferiore a quanto il nostro Paese avrebbe dovuto destinare per contribuire a soddisfare i bisogni sanitari di base dei paesi a basso reddito.

Una delle cause di questa riduzione è il mancato pagamento del Fondo Globale per la lotta all'HIV/AIDS, Tubercolosi e Malaria che, fino al 2008, aveva veicolato la maggior parte del nostro APS sanitario”, spiega De Ponte. “Dopo la perdita del seggio unico al Fondo Globale, l’Italia recuperi credibilità elaborando un piano di rientro per i contributi non ancora versati (260 milioni di euro) e rinnovi l'impegno finanziario per il triennio 2011-2013.”

L’UNICREDIT HA LE MANI SPORCHE DI CARBONE

Copertina Climate Killer Banks
Un nuovo rapporto delle Ong rivela la portata del coinvolgimento della banca italiana nel business del combustibile fossile più inquinante.

L’Unicredit negli ultimi cinque anni ha erogato oltre cinque miliardi di euro di finanziamenti per il settore dell’estrazione del carbone, il combustibile fossile che ha un impatto maggiore in relazione ai cambiamenti climatici.

A rivelarlo un rapporto presentato oggi a Durban dalla CRBM e da altre Ong internazionali, coordinate dalla tedesca Urgewald, nell’ambito della diciassettesima Conferenza delle Parti della Convenzione sui Cambiamenti Climatici. Lo studio, dal titolo “Bankrolling Climate change”, ha preso in esame il portafoglio prestiti dei 100 principali istituti di credito del Pianeta. Dal 2005, ovvero da quando è entrato in vigore il protocollo di Kyoto, le banche hanno finanziato le 31 più importanti aziende estrattive e i 40 produttori di energia tramite carbone con una cifra di poco superiore ai 230 miliardi di euro.

Nella “speciale classifica” stilata dalle Ong, con i primi 20 istituti di credito definiti “killer del clima”, l’italiana Unicredit si piazza quindicesima. Nelle prime tre posizioni troviamo tutte banche statunitensi: JP Morgan (16,5 miliardi), Citibank (13,7 miliardi) e Bank of America (12,6 miliardi). Nella top 20 sono annoverati anche istituti di credito di Regno Unito, Germania, Francia, Svizzera, Cina e Giappone.

Val la pena rammentare che le centrali a carbone hanno dei costi di realizzazione molto elevati. Per uno in grado di produrre 600 megawatt servono almeno due miliardi di dollari, per cui l’accesso al credito da parte delle aziende del settore diventa un elemento fondamentale per continuare un business lucroso quanto inquinante. Non a caso tra il 2005 e il 2010 la portata dei ifnanziamenti è raddoppiata.

È poi singolare come tutte le banche ai primi posti della classifica in passato si siano affrettate a fare delle promesse molto ambiziose in termini di lotta ai cambiamenti climatici, paventando l’adozione di politiche societarie evidentemente disattese dalla pratica quotidiana. I Carbon Principles e i Climate Principles, iniziative di natura volontaria, hanno così mostrato i loro limiti, proprio perché mancando qualsiasi tipo di vincolo diventano una mera dichiarazione d’intenti senza alcun costrutto.

Nonostante Unicredit si impegni a ridurre le sue emissioni di CO2 del trenta per cento entro il 2020”, ha affermato Elena Gerebizza della CRBM, presente alla conferenza sul clima a Durban, “la banca continua indisturbata a finanziare il business del carbone, ed i peggiori progetti oggi sul mercato. Come ad esempio in Slovenia, dove la realizzazione dell’impianto TES6 vincolerà per i prossimi 40 anni ben l’80 per cento delle emissioni permesse al paese secondo gli accordi europei e sottraendo soldi ed opportunità per lo sviluppo del settore rinnovabile. Gli impegni a parole della Banca sono solo fumo negli occhi”.

Fonte: www.crbm.org 

AMNESTY INTERNATIONAL: GLI USA DEVONO PORRE FINE ALL'ERGASTOLO SENZA POSSIBILITÀ DI RILASCIO SULLA PAROLA PER I MINORENNI

Christi Cheramie © Archivio privato
In un nuovo rapporto pubblicato oggi, Amnesty International ha dichiarato che gli Usa devono vietare le condanne all'ergastolo senza possibilità di rilascio sulla parola per i minorenni.

L'organizzazione per i diritti umani ha anche sollecitato le autorità statunitensi a riesaminare i casi di oltre 2500 prigionieri che si trovano in tale condizione, anche per reati commessi all'età di 11 anni.  Negli Usa, chi ha meno di 18 anni non può votare, acquistare alcoolici e biglietti della lotteria o dare il consenso alla maggior parte delle cure mediche. Può però essere condannato a morire in prigione a causa delle sue azioni e questo deve cambiare" - ha dichiarato Natacha Mension, campaigner di Amnesty International sugli Usa.

Gli Usa sono l'unico paese al mondo a imporre condanne all'ergastolo senza possibilità di rilascio sulla parola. Questa pena può essere inflitta automaticamente nei confronti di imputati minorenni, senza dunque prendere in considerazione circostanze attenuanti, come un passato di traumi e di abusi, il livello di coinvolgimento nel reato, le condizioni di salute mentale o la propensione alla riabilitazione.

"Non intendiamo scusare i crimini commessi da questi minorenni né minimizzarne le conseguenze. La realtà pura e semplice è però che queste condanne ignorano la particolare predisposizione alla riabilitazione e al cambiamento che possono avere i criminali in giovane età" - ha precisato Mension.

Nel maggio 2010, la Corte suprema degli Usa ha stabilito che l'ergastolo senza possibilità di rilascio sulla parola è "una pena particolarmente severa nei confronti di un minorenne", dato che questi trascorrerà in media più anni in carcere e passerà la maggior parte della sua vita in prigione, rispetto a un criminale adulto. "Una persona di 16 anni e una persona di 75 anni, condannati all'ergastolo senza possibilità di rilascio sulla parola, ricevono la stessa punizione solo sulla carta".

Diciotto mesi dopo aver proibito questo genere di condanna per i reati non collegati a un omicidio commessi da persone di età inferiore a 18 anni, l'8 novembre di quest'anno la stessa Corte suprema ha accettato di esaminare la questione in relazione ai reati che includono un omicidio. La decisione è attesa non prima della metà del 2012.

La Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia, entrata in vigore oltre due decenni fa, proibisce espressamente l'imposizione della condanna all'ergastolo senza possibilità di rilascio per i reati, di qualsiasi gravità siano, commessi da persone di età inferiore a 18 anni. Tutti i paesi del mondo, a parte gli Usa e la Somalia, l'hanno ratificata.

"È arrivato, da molto tempo, il momento che gli Usa ratifichino la Convenzione, senza riserve o altre limitazioni, e applichino in pieno il divieto di imporre la condanna all'ergastolo senza possibilità di rilascio nei confronti dei minorenni, anche in relazione ai prigionieri già condannati" - ha affermato Mension.

Il rapporto, intitolato "Ecco il posto dove morirò", descrive le storie di tre prigionieri, Jacqueline Montanez, David Young e Christi Cheramie.

Proprio oggi Christi Cheramie, che sta scontando la condanna all'ergastolo senza possibilità di rilascio sulla parola, presenta richiesta di clemenza al Comitato per il rilascio sulla parola della Louisiana.

È stata condannata all'ergastolo senza possibilità di rilascio sulla parola nel 1994, quando aveva 16 anni, per omicidio di secondo grado nell'uccisione della prozia del fidanzato. Christi Cheriamie che ha attualmente 33 anni, sostiene che l'omicidio sia stato commesso dal fidanzato.

Al processo, celebrato in un tribunale per adulti, si dichiarò colpevole poco prima dell'inizio dell'udienza, temendo che altrimenti sarebbe stata condannata a morte. La sua ammissione di colpevolezza le ha impedito di ricorrere in appello contro l'accusa e la condanna.

Uno psichiatra, esaminando Christi Cheramie prima del processo, la definì "depressa, dipendente e insicura, timorosa di mettersi contro" il fidanzato. L'infanzia di Christi Cheramie è stata segnata da abusi sessuali. A 13 anni, venne ricoverata in un ospedale psichiatrico dopo aver tentato per due volte il suicidio.

Il suo caso venne assegnato a un tribunale per adulti prima che potesse svolgersi un'udienza di fronte a un giudice, durante la quale avrebbero potuto essere prese in considerazione circostanze attenuanti quali le sue condizioni di salute mentale o la propensione alla riabilitazione.

Nel 2001, Christi Cheramie ha tentato di ritrattare la sua ammissione di colpevolezza, sostenendo che quando l'aveva resa non conosceva la procedura né si era resa conto di cosa volesse dire dichiararsi colpevole di omicidio di secondo grado. Il suo appello è stato respinto.

Dopo aver trascorso la metà della sua vita in prigione, Christi Cheramie afferma di essere cambiata da molti punti di vista. Ha ottenuto un diploma equivalente di scuola superiore e una laurea in Scienze agrarie, materia su cui tiene corsi in prigione. Una guardia carceraria ha detto che "merita una seconda possibilità".

MOSTRA FOTOGRAFICA ENRICO BERLINGUER PROROGA FINO A L'8 GENNAIO 2012

Mostra fotografica:

"Enrico Berlinguer"

promossa

dall’Associazione Culturale “ La Farandola”

con i Patrocini di:

Roma Capitale Municipio VII - Provincia di Roma - Regione Lazio - Camera Dei Deputati-Senato della Repubblica

Si comunica che
La durata della mostra si protrarrà fino a domenica 8 gennaio 2012

Presso la sede dell'Associazione Culturale "La Farandola"

(Via P. R. Pirotta 95, Roma)

calendario dei giorni di chiusura:

lunedi 28 Novembre 2011

lunedi 05 - mart/merc16/17/ lunedi19 - sab/dom 24/25/ lunedi 26 - sabato 31 Dicembre 2011 domenica 01/ lunedi 02/ Gennaio 2012

Orari: Per le scuole 10.00 – 13.00  (su prenotazione)


per il pubblico 16.00 – 20.00

- INGRESSO LIBERO -

http://www.lafarandola.net/ Associazione Culturale "La Farandola"

(Via P. R. Pirotta 95, Roma - presso la Succursale Scuola Media G. Verga)

Per informazioni:

331.2822212/ 347.6674620

martedì 29 novembre 2011

MADE IN ITALY: ITALIA SORPASSA FRANCIA. PRIMA AGRICOLTURA UE

Gli agricoltori italiani fanno rendere la terre il triplo degli inglesi ed il doppio dei francesi.

L’Italia sorpassa la Francia in valore aggiunto agricolo prodotto nel 2011 e conquista il primato europeo, nonostante una superficie coltivata che è pari ad appena la metà di quella dei cugini d’oltralpe. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti sulla base del trend in aumento dell’11 per cento del valore aggiunto agricolo nel primo semestre dell’anno. Una stima presentata in occasione del primo Summit sulla riforma della Politica agricola comune (Pac), promosso a Roma dal presidente della Coldiretti Sergio Marini con il Commissario europeo per l'agricoltura e lo sviluppo rurale Dacian Cioloş, ilMinistro delle politiche agricole alimentari e forestali Mario Catania, il Presidente della Commissione agricoltura del Parlamento europeo Paolo De Castro eGiovanni La Via, relatore sul regolamento orizzontale della proposta di riforma della Pac.Grazie all’impegno per la qualità e la tipicità dei prodotti, gli agricoltori italiani - sottolinea la Coldiretti - sono riusciti, nonostante la crisi, a far rendere i terreni molto piu’ dei partner europei: il valore aggiunto per ettaro di terreno, ovvero la ricchezza netta prodotta per unità di superficie dall'agricoltura italiana è infatti oltre il triplo di quella inglese, doppia di quella francese, tedesca e spagnola. E il numero di occupati per ettaro di terreno in Italia è stato addirittura quasi il triplo di quelli in Francia, Spagna e Germania. Tenuto conto di questo risultato è fondamentale secondo il presidente della Coldiretti Sergio Marini che all'Italia, con la futura riforma della Pac, siano assicurate le risorse necessarie per evitare una eccessiva penalizzazione come, invece, risulterebbe dalle attuali proposte e ciò anche in considerazione del fatto che il nostro Paese già versa all’Unione piu’ di quanto riceve. I primati nel valore aggiunto e nell'occupazione per ettaro, nella qualità, tipicità, multifunzionalità e sicurezza alimentare conquistati legittimano dunque l’Italia - sostiene la Coldiretti - a svolgere un ruolo di leadership nel difficile negoziato europeo che dovrà decidere sul futuro modello di agricoltura in Europa.

La storica sfida tra Italia e Francia sulle tavole mondiali ha già visto quest’anno il Belpaese prevalere sui cugini con un aumento record del 24 per cento nelle bottiglie spedite all’estero di spumante italiano che - riferisce la Coldiretti - ha superato lo champagne e conquistato le tavole nel mondo dove la maggioranza dei brindisi delle feste di fine anno saranno Made in Italy. Storica nel 2011 anche la vittoria dell'Italia sulla Francia nel derby del formaggio con le esportazioni di formaggi Made in Italy che sono aumentate del 12 per cento in quantità nel paese più nazionalista del mondo togliendo spazio sugli scaffali d'Oltralpe a Camembert, Brie, Roquefort e alle altre specialità locali che, come ricordava Charles De Gaulle, sono i prodotti più rappresentativi del Paese. La sconfitta è resa ancora più amara - precisa la Coldiretti - dal crollo delle esportazioni di formaggi francesi in Italia con una riduzione media del 3 per cento, sulla base dei dati Istat relativi ai primi sette mesi del 2011.

Leadership nel numero di imprese che si dedicano al biologico e per i prodotti tipici, record di longevità grazie alla dieta mediterranea, top di presenze per il turismo enogastronomico, i sistemi di controllo più efficaci del mondo per garantire la salubrità dei prodotti, sono alcuni dei primati del Made in Italy agroalimentare. L'Italia vanta un paesaggio unico che - sostiene Coldiretti - è meta di un crescente flusso turistico nei 871 parchi e aree protette presenti in Italia che coprono ben il 10 per cento del territorio nazionale. Una tendenza confermata dalla crescita dell'agriturismo che può contare su 20.000 aziende agricole, un primato europeo. E il nostro paese è anche leader europeo per il turismo enogastronomico, con un movimento annuo di circa 5 milioni di appassionati.

Le produzioni italiane hanno poi il primato della sanità e della sicurezza alimentare, con un record del 99 per cento di campioni regolari di frutta, verdura, vino e olio, con residui chimici al di sotto dei limiti di legge. L'Italia - prosegue Coldiretti - è leader europeo nella produzione biologica, con oltre 50mila imprese, circa un terzo delle imprese biologiche europee. L'agricoltura italiana vanta inoltre la leadership nei prodotti tipici con 233 prodotti a denominazione o indicazione di origine protetta riconosciuti dall'Unione Europea. Ma il made in Italy a tavola è anche – rileva Coldiretti - l'emblema nel mondo della dieta mediterranea, modello nutrizionale ormai universalmente riconosciuto dall’Unesco perchè fondamentale ai fini del mantenimento di una buona salute e che si fonda su una alimentazione basata su prodotti locali, stagionali, freschi. In particolare - conclude la Coldiretti - su un elevato consumo di frutta, verdura, patate, fagioli, noci, semi, pane e cereali, sull'uso dell'olio d'oliva per cucinare e per condire, su moderate quantità di pesce, e su un consumo moderato di vino, di solito ai pasti.

lunedì 28 novembre 2011

NATALE: COLDIRETTI, SHOPPING MADE IN ITALY PER 3 ITALIANI SU 4 (73 %)

Acquisti patriottici da internet ai molti mercatini ad originalità garantita

Quasi tre italiani su quattro (73 per cento) per lo shopping del Natale 2011 intendono acquistare prodotti Made in Italy mostrando un livello di patriottismo molto piu’ elevato della media dei cittadini europei che solo nel 60 per cento dei casi hanno lo stesso obiettivo di sostegno al proprio Paese. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti sulla base dell'indagine “Xmas Survey 2011” di Deloitte, che evidenzia un riconoscimento per la qualità della produzione nazionale ma anche la volontà degli italiani di sostenere la ripresa economica in un momento di crisi. Si tratta - sottolinea la Coldiretti - di un comportamento coerente con le molteplici adesioni alla giusta campagna per l’acquisto da parte dei connazionali di titoli di stato italiani che dimostra l’elevata fiducia nelle potenzialità del Paese anche nella difficoltà.

Durante un mese di shopping natalizio - sottolinea la Coldiretti - la spesa stimata per gli italiani è di 625 euro a famiglia con un leggero calo del 2,3 per cento dovuto soprattutto ad una maggiore attenzione nella spesa con la ricerca delle offerte piu’ convenienti e l’acquisto di oggetti utili. Secondo l’indagine la metà degli italiani per le festività di fine anno utilizzerà sia internet che il negozio per cercare regali e comparare i prezzi anche se poi solo il 10 per cento acquisterà direttamente on line. Gli altri si recheranno direttamente nel punto vendita che vede particolarmente gettonati i tradizionali mercatini di Natale dove si stima che - sostiene la Coldiretti - quasi dieci milioni di italiani acquisteranno i regali per se stessi e gli altri, secondo una tendenza che unisce un momento di svago con la possibilità di fare acquisti anche curiosi ad "originalità garantita" per sfuggire alle solite offerte standardizzate.

La spinta verso spese utili peraltro - continua la Coldiretti - colpisce soprattutto i regali (-3 per cento) piuttosto che il cibo e le bevande per i quali il budget rimane sostanzialmente stabile (-1 per cento) con l'affermarsi però di uno stile di vita attento a ridurre gli sprechi che si esprime con la preparazione fai da te di ricette personali per serate speciali o con omaggi per gli amici che ricordano i sapori e i profumi della tradizione del territorio.

Una tendenza che si esprime anche con il boom degli acquisti direttamente dagli imprenditori agricoli in azienda o nei mercati e botteghe di Campagna Amica dove è garantita genuinità, convenienza e una maggiore originalità rispetto alle offerte natalizie standardizzate dei punti vendita tradizionali. In molti casi - conclude la Coldiretti - è possibile prepararsi o farsi preparare i tipici cesti natalizi con prodotti inimitabili caratteristici del territorio.

SBILANCIAMOCI!: “ECCO LA MANOVRA EQUA PER RILANCIARE LO SVILUPPO SOSTENIBILE”

Immagine pop-art del logo
di Sbilanciamoci!
“Le condizioni del paese sono gravissime. Dall’inizio della crisi oltre 800mila persone hanno perso il posto di lavoro. (…) Le manovre estive del 2011 sono state pesantissime e non sembrano avere la forza di invertire la rotta della crisi economico-finanziaria. L’effimera ‘Legge di Stabilità 2012’ ed un inconsistente ‘Decreto sviluppo’ sono provvedimenti inefficaci, sostanzialmente inutili”. Lo si legge nelle prime pagine del Rapporto 2012 (in .pdf) della campagna Sbilanciamoci! ha presentato nei giorni scorsi a Roma 

Di fronte a questo scenario, il XIII Rapporto della campagna presenta una vera e propria “contromanovra” da oltre 40 miliardi di euro, dedicata a difendere i redditi, il lavoro, le fasce più esposte alla crisi e a sostenere un modello di sviluppo sostenibile e alla riduzione del debito. Una via per affrontare la crisi in modo equo e per il rilancio di uno sviluppo sostenibile: si tratta infatti di 100 proposte concrete per politiche economiche e finanziarie nel segno dell’equità sociale, della sostenibilità ambientale di un’economia diversa fondata su un nuovo modello di sviluppo.

Il Rapporto sottolinea di quanto già affermato dalla campagna all’indomani delle ultime manovre presentate da Tremonti a luglio e agosto e cioè che i recenti provvedimenti del governo Berlusconi sono stati socialmente iniqui, “colpendo le classi a basso e medio reddito e senza toccare i privilegi e le ricchezze”, misure considerate “puramente di facciata per ciò che riguarda il rilancio dell’economia. Anzi sono state tolte risorse alle politiche sociali, rendendo il paese ancora più indifeso”.

Nel Rapporto, la campagna Sbilanciamoci! non si sofferma solamente sull’analisi critica dei contenuti della Legge di Stabilità e sul Bilancio dello Stato, ma su tutti i provvedimenti di correzione dei conti pubblici approvati nel corso del 2011 e che hanno effetti per quest’anno, ma anche per il 2012 e per il 2013.

Analisi quindi ma, e soprattutto, proposte di intervento, organiche e concrete, per fornire un valido sostegno all’economia, al lavoro e al welfare interventi che vanno nella direzione di una fuoriuscita dalla crisi nel segno della giustizia sociale e della redistribuzione della ricchezza. “Nella manovra economica del precedente Governo Berlusconi non si trova alcuna traccia di interventi per il rilancio di un piano di investimenti pubblici, nessun intervento a difesa del lavoro e dei redditi, nessuna misura per l’innovazione, la ricerca e lo sviluppo del capitale umano” – sottolinea Sbilanciamoci!. 

“Le risorse potrebbero esserci se si andassero a prendere i soldi dove ci sono e dove 30 anni di politiche neoliberiste li hanno portati sottraendoli al lavoro e all’economia: patrimoni, profitti, rendite, grandi ricchezze. Proprio quello che il governo in questi anni non ha fatto, beneficiando gli evasori con lo scudo fiscale e con l’allentamento di quelle misure di controllo (come la tracciabilità dei pagamenti e la cancellazione dell’elenco clienti–fornitori) che avevano permesso fino a tre anni fa una più efficace lotta all’evasione fiscale, contro la quale Sbilanciamoci! propone: il ripristino dell’elenco clienti-fornitori per le imprese, il divieto di pagamento in contanti oltre i 100 euro e la reintroduzione del reato di falso in bilancio. 

Dal governo Monti – ha spiegato il portavoce della campagna, Giulio Marcon, illustrando le proposte – ci aspettiamo interventi a protezione dei più esposti alla crisi, che corregga la legge delega in materia fiscale e assistenziale che dovrebbe essere approvata entro il 31 dicembre 2012, con tagli per i figli a carico, per gli asilo, per le badanti che sono una parte del welfare. Tagliare significa impoverire ulteriormente il Paese'”. Ma anche proposte di taglio efficaci, come quelli alle spese militari come, per esempio, dei caccia bombardieri F35 e la fine della missione in Afghanistan (con un risparmio di 616 milioni di euro) e la cancellazione della mini-naja voluta dall'ex ministro Ignazio La Russa.   

Ecco alcune delle proposte che Sbilanciamoci!:  

Lotta alla precarietà. Oggi, il 29% dei giovani sono disoccupati e tra chi lavora il 50% ha un rapporto di lavoro precario. Si propone un intervento per limitare la precarietà attraverso: a) la concessione di credito di imposta fino a 3000 euro l’anno per l’assunzione dopo due anni di rapporti di lavoro parasubordinati, b) la previsione di una indennità di disoccupazione del 60% per sei mesi per tutti i lavoratori subordinati che abbiamo almeno maturato un anno di versamenti di contributi. 

Riduzione dei programmi arma. Chiediamo al governo italiano di non firmare il contratto per la produzione dei 131 cacciabombardieri Joint Strike Fighter. Chiediamo di cancellare i finanziamenti previsti per il 2012 per la produzione dei 4 sommergibili FREMM, dei cacciabombardieri F35, delle due fregate “Orizzonte”. Risparmio previsto: 783 milioni di euro.     

Tassa patrimoniale. In questa crisi i ricchi non stanno pagando alcun prezzo. Anzi lo scudo fiscale e l’allentamento della lotta all’evasione fiscale li hanno ancora di più premiati. Il peso della crisi ricade interamente sulle fasce più povere della popolazione. Proponiamo perciò una tassa patrimoniale del 5 per 1000 sui patrimoni oltre i 500mila euro, con alcune correzioni di carattere progressivo (possibile grazie alla registrazione dei beni sulla dichiarazione dei redditi) sul prelievo. In questo modo potrebbero entrare nelle casse dell’erario una somma intorno ai 10miliardi e 500milioni di euro. 

Programma di piccole opere. Di fronte ai faraonici programmi di “grandi opere” che producono ingente spesa pubblica, scarsi benefici sociali e danni ambientali per il territorio (e business per poche imprese), si propone invece un programma di “piccole opere” per il Mezzogiorno che riguardi interventi integrati – sociali, ambientali, urbanistici, ambientali – che possono andare dalla sistemazione della rete idrica locale, al recupero urbanistico dei piccoli centri, al risanamento ambientale di coste e aree montane. Si propone a questo scopo di chiedere la piena attuazione del Piano delle opere medio-piccole deciso in CIPE il 6 novembre 2009 che prevede dal 2010 al 2013 che vengano spesi nel triennio 413 milioni di euro degli 825 milioni di euro stanziati dal Comitato, a cui si chiede di aggiungere uno stanziamento di 500 milioni, da finanziare stornando la cifra corrispondente dagli stanziamenti previsti per le infrastrutture strategiche. 

Fondo per la non autosufficienza. Oggi il livello delle politiche pubbliche per la non autosufficienza sono a livelli pressoché simbolici. Dal 2011 il Fondo per la non autosufficienza è praticamente azzerrato. Chiediamo perciò il ripristino dei 400 milioni di euro (stanziati nel 2010 e cancellati nel 2011) per le politiche a fa­vore delle politiche pubbliche per la non autosufficienza.  

Tassare i diritti televisivi per lo sport spettacolo. Come per la pubblicità, il business dello sport-spettacolo ha effetti distorsivi sul mercato e distoglie risorse dallo sport per tutti. Si propone pertanto di adottare il metodo francese di tassazione dei diritti televisivi per finanziare lo sport per tutti e la costruzione di impianti pubblici polivalenti. Con un’aliquota del 5% sul totale dei diritti versati si potrebbero raccogliere circa 40 milioni di euro. [GB]

L’ALLARME DI MOODY’S: “A RISCHIO I RATING DI TUTTA L’UNIONE EUROPEA | REDAZIONE IL FATTO QUOTIDIANO | IL FATTO QUOTIDIANO

Nel rapporto sull'area euro, l'agenzia di rating lancia l'ennesimo sos sulla tenuta di Eurolandia: "O misure immediate o disfacimento della moneta unica". Nel frattempo Fmi e Ue smentiscono un piano di aiuti all'Italia e lo spread tra Btp e Bund è sopra quota 470.

Continua

WWF: DEFORESTAZIONE ZERO ENTRO IL 2020, OBIETTIVO POSSIBILE PER SALVARE IL CLIMA.

Alla vigilia di Durban nuovo capitolo del rapporto WWF, dedicato a “foreste e clima”: il 20% delle emissioni di carbonio deriva da deforestazione e degrado forestale. Se agiamo ora possiamo raddoppiare le foreste salvate.

Ridurre la deforestazione fin quasi allo zero entro il 2020 è possibile, ma non vi devono essere incertezze. Un ritardo nel prendere le giuste decisioni anche di solo 10 anni per salvare le foreste, significherebbe raddoppiare la superficie delle foreste che andrebbero perse entro il 2030, con gravi ripercussioni sui cambiamenti climatici globali. Foreste e clima sono infatti strettamente connessi, e fermare la distruzione delle foreste significa contribuire a vincere la sfida dei cambiamenti climatici. 

Secondo il nuovo capitolo del Rapporto WWF Living Forests dedicato a “foreste e clima”, lanciato oggi a Durban alla vigilia dei negoziati sul clima e scaricabile online su www.panda.org/livingforests, il mondo si prepara a perdere 55,5 milioni di ettari di foreste entro il 2020, anche se si adotteranno misure urgenti per ridurre la deforestazione.

Secondo il rapporto, se il mondo continua a ritardare le misure necessarie, perderemo 124,7 milioni di ettari di foreste entro il 2030, una superficie maggiore di quelle di Italia, Germania e Spagna messe insieme.

Le foreste sono fondamentali per la vita, forniscono quei servizi essenziali per il benessere delle persone e per la conservazione della biodiversità, ma svolgono un ruolo chiave anche per il clima globale, essendo importanti serbatoi di gas serra. Ma i processi di deforestazione stanno compromettendo questa loro fondamentale funzione, liberando in atmosfera enormi quantità di gas serra. Nel solo Bacino del Congo per esempio, per la cui salvaguardia il WWF ha recentemente lanciato la campagna “Green Heart of Africa”, le foreste assorbono fino a 160 milioni di tonnellate di carbonio”, ma il ritmo di deforestazione è pari all’emissione di 130 milioni di tonnellate carbonio, di cui il 23% dovuto al degrado delle foreste a causa di taglio illegale o asportazione del legname per carbone.

Complessivamente, il 20% delle emissioni globali di carbonio deriva dalla deforestazione e dal degrado forestale - più del totale delle emissioni prodotte dal settore dei trasporti a livello globale.I dati pubblicati nel rapporto rilevano che la riduzione quasi a zero della deforestazione ridurrebbe anche le emissioni globali prodotte da questi processi: ritardare l’azione per arrestare la deforestazione fino al 2030 significherebbe sacrificare almeno altri 69 milioni di ettari di foreste in tutto il mondo e almeno 24 gigatonnellate di CO2 verrebbero sprigionate in atmosfera, senza considerare la perdita di biodiversità e di altre risorse dovute al degrado forestale o il rilascio del carbonio immagazzinato sotto terra.

Il rapporto rileva inoltre come le nuove piantagioni da molti usate come panacea, non sono la soluzione al problema delle deforestazione, perché non inizieranno ad assorbire il carbonio sufficiente a compensare le emissioni causate dalla deforestazione prima del 2040.

Le foreste del pianeta stanno scomparendo a un ritmo impressionante mentre noi continuiamo a discutere e a confrontarci su come poterle salvarle”, ha detto Massimiliano Rocco, responsabile Foreste del WWF Italia, “ La continua perdita di foreste ha e avrà nei prossimi anni conseguenze disastrose per il nostro clima globale, per la natura e per la sopravvivenza di miliardi di persone. Non vi sono scappatoie possibili, strade alternative, la semplice messa a dimora di nuovi alberi non può certo essere la soluzione al problema della deforestazione. Il messaggio è uno solo ed è molto chiaro: dobbiamo agire adesso al meglio per proteggere le foreste, sennò le perderemo per sempre con le conseguenze che sappiamo”.  

SALVARE LE FORESTE PER AIUTARE IL CLIMA: IL PROGETTO REDD+

Secondo il WWF, gli incontri sul clima delle Nazioni Unite che si terranno questa settimana a Durban, in Sud Africa, saranno anche un momento decisivo e unico per i governi mondiali per unire gli sforzi ed arrestare la deforestazione globale. Durante questi incontri verranno definiti i dettagli dello schema che i paesi industrializzati dovranno seguire per convincere i paesi in via di sviluppo a ridurre la deforestazione.

Per il WWF questo progetto, denominato REDD Plus (Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation, Ridurre le Emissioni Da Deforestazione e Degrado Forestale), è un’occasione unica per affrontare sia il cambiamento climatico che la deforestazione, e se notevoli progressi sono stati compiuti sui dettagli dello sviluppo di questo programma, ora i governi devono impegnarsi per raggiungere un obiettivo globale per combattere la deforestazione nei tempi giusti. Il Rapporto “Living Forests” ritiene che ridurre la deforestazione arrivando allo zero entro il 2020 non è possibile senza il REDD+.

Il WWF è consapevole della complessità dei negoziati sul clima. Ed è proprio per questo che non dobbiamo lasciare che l’opportunità che il REDD + ci presenta venga persa. Se riusciremo ad ottenere un impegno concreto, saremo in grado di salvaguardare il nostro clima e aiutare le persone a superare la povertà. C’è troppo in gioco e non possiamo permetterci di impantanarci in discorsi troppo tecnici sciupando quest’ennesima occasione”, ha detto Massimiliano Rocco, Responsabile Foreste del WWF Italia “. Oggi si può ancora agire per un domani migliore e non possiamo anteporre interessi di parte al futuro del pianeta e delle foreste di noi tutti

DEFORESTAZIONE ø ENTRO IL 2020: LE STRATEGIE .

Il WWF chiede a tutti i leader  mondiali di sostenere l’ambizioso obiettivo di ridurre la deforestazione arrivando allo zero entro il 2020. Il Rapporto “Living Forests” mostra che questo obiettivo è raggiungibile attraverso una migliore governance: piani di gestione sostenibili per il territorio, adeguate autorità di monitoraggio e controllo, miglioramento dei sistemi di proprietà della terra,, gestione trasparente e partecipativa, e mercati che richiedono prodotti provenienti da un’agricoltura e una gestione forestale sostenibili e certificate.

Tuttavia, il rapporto mostra che, per raggiungere questo obiettivo, i paesi devono adottare misure forti di salvaguardia per proteggere la biodiversità del pianeta e il benessere delle comunità locali e delle popolazioni indigene.

Data l’urgenza di fermare la deforestazione, il WWF chiede ai governi di fornire le risorse finanziarie necessarie per sostenere le azioni REDD+. I paesi industrializzati hanno un ruolo fondamentale da svolgere nel fornire finanziamenti adeguati, quantificabili e sostenibili per la per lo sviluppo del programma REDD +. Si stima che entro il 2020 sono necessari 30-50 miliardi di dollari per raggiungere l’obiettivo “zero emissioni” dovute alla deforestazione e al degrado forestale. Anche se le somme necessarie appaiono grandi, ritardando l’azione aumenteranno notevolmente i costi a lungo termine per far fronte ai cambiamenti climatici.

Anche se questo contributo pubblico è essenziale, secondo il WWF altre fonti di finanziamento innovative, come il sostegno al credito per i “bond forestali” (le obbligazioni legate alla salvaguardia delle foreste), potrebbero essere un modo per fare intervenire seriamente un settore finanziario privato che deve assumersi tutte le sue responsabilità investendo in quegli ambienti da cui da decenni traggono le risorse utili al loro sviluppo economico, questo l’obiettivo per fare in modo che i governi non siano soli nel tentativo di aumentare i fondi a favore della conservazione delle foreste.

Il Rapporto Living Forests utilizza l’omonimo modello, sviluppato per il WWF dall’Istituto Internazionale per le analisi dei sistemi applicati (IIASA), che prende in considerazione una serie di scenari diversi per i prossimi 50 anni, mostrando cosa può succedere alle foreste la cui conservazione è connessa ai cambiamenti nella dieta, biocarburanti, politica di conservazione, legna da ardere e domanda di legname. Il report si conclude affermando che il raggiungimento e lo sviluppo di “Zero deforestazione e degrado delle foreste entro il 2020” (ZNDD) è possibile se agiamo ora. Il rapporto rileva inoltre che se non agiamo ora per utilizzare REDD + con successo per fermare la deforestazione, l’opportunità di mantenere l’aumento della temperatura globale ben al di sotto dei 2 gradi C° sarà persa. Secondo il WWF, raggiungere un accordo sugli elementi chiave di REDD + è fondamentale per salvare le foreste e il clima, la conservazione della biodiversità, il benessere e il sostentamento delle popolazioni in tutto il mondo.

IL WWF A DURBAN. La Conferenza sul clima di Durban (COP17), che avrà luogo dal 28 novembre al 9 dicembre, rappresenta una grande opportunità per i Governi di fornire certezze riguardo al futuro regime climatico del pianeta. Il WWF partecipa ai negoziati con una delegazione internazionale. Sarà presente anche Mariagrazia Midulla, responsabile Policy Clima e Energia del WWF Italia, che terrà un filo diretto su twitter @wwfitalia. Aggiornamenti quotidiani da Durban sul sito dedicato www.wwf.it/COP17.

LE IMPRESE PER LE FORESTE, SUL CAMPO E SUL WEB

In occasione dell’Anno Internazionale delle Foreste, il WWF ha chiesto ad alcuni partner aziendali, il cui business è legato alla gestione delle risorse forestali, di rinnovare o assumere impegni tangibili a sostegno della tutela del patrimonio forestale. Sono parte di questo percorso di collaborazione con il WWF, il Gruppo cartario Sofidel, che si è dotato di una politica di approvvigionamento responsabile delle risorse forestali raggiungendo circa il 94% di cellulosa importata da fonti certificate; Arjowiggings, tra i primi produttori di carta riciclata e FSC di alta qualità in Europa. 

Il WWF è inoltre al fianco di APCOR e Assoimballaggi/Federlegno Arredo per la promozione della campagna internazionale “Io Sto con il Sughero”, che intende valorizzare e sostenere un patrimonio forestale di valore come le sugherete.

Il WWF, con il supporto di Vasto Legno, distributore internazionale di legname, sta promuovendo un dibattito sulla gestione sostenibile delle foreste, attraverso strumenti come la piattaforma web “Imprese per le Foreste” dedicata al tema della gestione forestale sostenibile - http://impreseperleforeste.wwf.it/  Obiettivo della piattaforma è accrescere le conoscenze e l’interesse di imprese e stakeholder su temi quali il mercato del legname, la gestione delle foreste e le normative e certificazioni di riferimento, nell’ottica di coniugare economia e conservazione. 

Sono inoltre promossi sia il sostegno ai principali progetti WWF di conservazione in aree forestali prioritarie a livello internazionale (es. Amazzonia, Congo, Sumatra) sia i programmi di orientamento di policy e pratiche ambientali in un’ottica di sostenibilità.

Fonte: www.wwf.it