giovedì 1 dicembre 2011

'Ndrangheta, Milano chiama Reggio risponde

In manette “i colletti bianchi” al servizio del clan Lampada/Valle.


Ilda Boccassini in conferenza stampa

Quando si parla di “capitale sociale” delle organizzazioni mafiose ormai si ha ben chiaro il concetto: abbiamo a che fare con soggetti che, grazie ai ruoli ricoperti all’interno delle istituzioni, costituiscono lo snodo fondamentale per il buon esito dei traffici della criminalità organizzata. È quindi significativo che, all’indomani delle 110 condanne in esito all’inchiesta “Infinito”, le DDA di Milano e di Reggio Calabria abbiano rimesso in moto la macchina della repressione, partendo proprio dall’incriminazione delle collusioni impensabili e per questo da sempre più inattaccabili.

Il clan Valle

Sotto la lente dei magistrati ancora una volta la cosca Valle-Lampada, colpita nell’estate del 2010, solo qualche giorno prima che partisse l’operazione “Crimine/Infinito”, un clan da sempre attento ai business dell’usura e dell’estorsione, esercitate con rigore e senza pietà, per ciò capace di ricavarsi un dominio incontrastato nella zona a sud ovest di Milano, tra il capoluogo regionale e Pavia, grazie anche a sapienti rapporti con la politica delle amministrazioni locali. Lo scettro del comando dal capofamiglia Francesco Valle nelle mani dei figli aveva garantito al clan di riprendersi dalle condanne per usura subite quasi due decenni fa. All’epoca i beni loro sequestrati furono tra i primi ad essere confiscati e utilizzati grazie alla legge 109/96. All’epoca si diceva e si scriveva che i Valle erano usurai e non mafiosi. A distanza di oltre due decenni i giudizi espressi allora si sono ovviamente dovuti mettere al passo delle ultime acquisizioni processuali. Il processo ai Valle è ancora in corso, anche se uno dei figli – Carmine – insieme ad altri è già stato condannato, al termine del rito abbreviato.

A luglio era stato arrestato anche il genero del patriarca dei Valle, quel Francesco Lampada che si era sposato con Maria Valle, ma soprattutto fratello di Giulio Lampada, uscito indenne dall’operazione “Infinito”, ma ieri finito in carcere dove ha raggiunto il fratello, colpito da analogo provvedimento. Di Giulio Lampada si sottolineano le capacità imprenditoriali, in grado di assicurare una sorta di monopolio nel settore dei videopoker e delle altre slot machine in tutta Milano. Da non sottovalutare poi gli agganci con la politica, come nel caso del comune di Pero, dove i Valle/Lampada avrebbero lucrato sul presunto interessamento di Davide Valia, all’epoca assessore in carica, per poter aprire una casa da gioco, una discoteca e altre attività. E anche le buone entrature in Vaticano che sono vale a Giulio Lampada l’onorificenza di “Cavaliere dell’Ordine di San Silvestro Papa”.

In carcere è finito da ieri anche Leonardo Valle, un altro dei rampolli della famiglia, che qualche anno fa una manina improvvida aveva provveduto ad inserire in una lista a sostegno del centrosinistra nell’ambito delle elezioni comunali, poi vinte dal centrosinistra. Rapporti indiretti con la politica, ma anche capacità di giocarsi in proprio. Del resto, nella conferenza stampa, Ilda Boccassini è tornata sull’argomento per segnalare che oggi, a differenza di quanto accadeva in passato, non fanno preferenze di ordine politico, ma puntano a condizionare i cavalli vincenti, qualsiasi sia lo schieramento. Secondo il procuratore aggiunto di Milano la ‘ndrangheta è «trasversale, appoggia chiunque nelle campagne elettorali politiche».

Arresti eccellenti

Dieci sono state le ordinanze di custodia cautelare disposte dal Gip Giuseppe Gennari su richiesta del procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dei pm Paolo Storari e Alessandra Dolci ed eseguite tra la Lombardia e la Calabria. Solo per Maria Valle sono stati previsti gli arresti domiciliari. Tra i nomi degli arrestati ieri quello che sicuramente fa più rumore è quello di Vincenzo Giglio, giudice del Tribunale di Reggio Calabria e presidente di Corte d’Assise. Su di lui non solo ombre, ma piuttosto accuse che pesano come macigni: corruzione, favoreggiamento personale con l’aggravante prevista dall’articolo 7 del d.l. 152/1991 di aver agevolato le attività di una cosca, appunto quella dei Lampada/Valle. Un magistrato stimato, anche per il suo ruolo di docente di diritto penale alla scuola di specializzazione di Reggio Calabria, ma soprattutto impegnato all’interno di Magistratura Democratica e coinvolto in molte iniziative antimafia: dopo il danno, la beffa, verrebbe da dire, ma così vanno le cose. E l’agevolazione nei confronti dei Valle/Lampada il giudice Giglio l’avrebbe esercitata proprio nel suo ruolo di presidente della sezione “misure di prevenzione” del Tribunale di Reggio Calabria. Un paradosso ma non troppo se si pensa al ruolo cruciale che in questi anni le misure patrimoniali hanno giocato nel contrasto alle mafie.

Il prezzo della corruzione, nel caso le accuse reggano al vaglio processuale, sarebbe stata la promozione della moglie, Alessandra Sarlo, alla direzione della ASL di Vibo Valentia, in qualità di commissario straordinario. A giocare un ruolo in questa nomina sarebbe stato un altro degli arrestati, il consigliere regionale della Calabria Franco Morelli del PdL, presidente della commissione bilancio della regione, ora accusato di corruzione ma anche di concorso esterno in associazione mafiosa. Un arresto che forse boccia per sempre la carriera politica di Morelli, in predicato di diventare assessore della giunta Scopelliti sull’onda dei 14.000 voti presi ma poi frenato nella rincorsa dai rumors su possibili inchieste a suo carico, nonostante la sua candidatura potesse contare sull’appoggio politico di Gianni Alemanno, attuale sindaco di Roma.

Niente carcere ma solo perquisizione per un altro giudice, Giancarlo Giusti del tribunale di Palmi (RC); anche per lui si ipotizza la corruzione, documentata anche da alcuni soggiorni a Milano pagati dalla cosca e nel corso dei quali avrebbe usufruito anche dei servigi di alcune escort di alto bordo. Non si fermano qui i nomi eccellenti. L’altro nome è quello di Vincenzo Minasi, legale del foro di Palmi e con studi a Milano e Como. Oltre ad essere il difensore di Maria Valle, Minasi è anche il legale di Massimo Sabatino nel processo per l’omicidio della collaboratrice di giustizia Lea Garofalo. Per lui una doppia tegola: l’ordinanza di custodia cautelare voluta dalla DDA milanese, nella quale si ipotizzano i reati di concorso esterno in associazione mafiosa, rivelazione di segreto d’ufficio e intestazione fittizia di beni. E poi la notifica del provvedimento di fermo disposto dalla DDA di Reggio Calabria, nell’ambito dell’inchiesta “Cosa Mia”, per associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni; secondo l’accusa Minasi sarebbe uno dei “consigliori” più ascoltati dalla cosca Gallico di Palmi.

Completa l’elenco degli arresti eccellenti Vincenzo Giglio, omonimo e cugino del magistrato, di professione medico, che avrebbe sponsorizzato la candidatura di Leonardo Valle, oggi in manette per associazione mafiosa e Luigi Mongelli, maresciallo della Guardia di Finanza, accusato di corruzione. Manette anche per Raffaele Fermigno, Domenico Nasso, Alfonso Rinaldi e Gesuele Misale. Per tutti accuse di associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni. Al centro quindi del blitz di ieri l’aggressione ai patrimoni mafiosi e i soggetti che consentono a cosche come quelle dei Valle/Lampada di sfuggire ai provvedimenti di sequestro, che precedono la confisca e la destinazione a fini sociali o istituzionali.

Un cambio di passo da parte delle DDA di Milano e di Reggio Calabria che si annuncia foriero di nuovi sviluppi investigativi.

di Lorenzo Frigerio

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