martedì 8 novembre 2011

LE PAURE DEI MALATI DI TUMORE: PIÙ TAGLI AI BILANCI PUBBLICI, MENO CURE INNOVATIVE PER TUTTI

Rispetto a dieci anni fa, rientrano prima nella vita quotidiana dopo chirurgia o chemioterapia. Contano sul supporto della famiglia, ma ritengono insufficienti i servizi sociali e territoriali, le tutele economiche e sul lavoro. Se oggi la sanità è giudicata buona (con differenze tra i territori), per il futuro temono che la stretta sui conti pubblici impedirà la disponibilità delle cure più innovative, quelle che guariscono riducendo gli effetti collaterali.

Oggi il tumore si combatte meglio sul piano medico e sanitario. Il reinserimento sociale dei pazienti è più rapido, ma sono ancora molti gli ostacoli che incontrano nel mondo del lavoro e negli altri ambiti della vita quotidiana.

Oggi sono più di 274mila le persone che, a causa di un tumore, nel corso della loro vita sono state licenziate, costrette alle dimissioni o a cessare la propria attività autonoma. Di queste, sono quasi 85mila quelle a cui è accaduto negli ultimi cinque anni. Circa l’80% dei malati di tumore ha subito cambiamenti in questo ambito, dalla perdita dell’impiego alla riduzione del reddito. È quanto emerge dalla grande indagine nazionale sui pazienti oncologici realizzata dal Censis con il sostegno di Roche, alla quale hanno partecipato più di 1.000 pazienti e oltre 700 caregiver, con un ruolo decisivo di Favo e di altre associazioni del volontariato oncologico, alla cui capacità di mobilitazione si deve il successo della ricerca.

Terapie più efficaci, uno straordinario spirito di adattamento dei pazienti, il decisivo supporto familiare: sono questi i pilastri su cui si basa il sistema italiano di lotta al tumore.

Il tempo che intercorre tra l’intervento chirurgico o i trattamenti medici e il rientro nella normale vita quotidiana è sceso dai 17 mesi in media di dieci anni fa ai 4 mesi di oggi. La riduzione di 13 mesi in dieci anni (fatte salve le ricadute per un eventuale peggioramento della patologia, che riguardano il 25% dei pazienti) riflette il balzo in avanti delle terapie antitumore, oggi molto più efficaci che nel passato.

Sensazione di fragilità e tendenza alla facile commozione (lamentate dal 57,9% del campione), apatia, debolezza, perdita di forze (54,7%), dolori, disturbi fisici (52,9%), perdita del desiderio sessuale (47,6%), ansia (46,7%), problemi relativi all’aspetto fisico (42,2%): sono questi i principali disturbi psico-fisici con cui i pazienti si adattano a convivere, ai quali però non consentono di impedire il rientro nella vita sociale.

Il welfare per i malati oncologici è oggi familiare oppure non è. L’82,5% dei pazienti può contare su una persona di riferimento. E nella gran parte dei casi sono le famiglie (in particolare le mogli o conviventi: 62,3%) a offrire le cure necessarie con un impegno quotidiano, anche notturno. Il 68,3% dei caregiver convive con il paziente e il 6,7% dei pazienti è completamente non autosufficiente. È alta anche la quota di anziani che assistono altri anziani: quasi un terzo dei caregiver ha più di 65 anni.

Se oggi la sanità funziona piuttosto bene, pur con significative differenze territoriali, per il futuro si teme che i tagli dei budget pubblici renderanno non disponibili tempestivamente le terapie più innovative che, oltre a guarire di più e meglio, dovrebbero soprattutto ridurre gli effetti collaterali, rendendo più facile il rientro nella vita di tutti i giorni.

Sono buoni e migliorati negli ultimi due anni i servizi sanitari con cui i pazienti entrano in contatto, secondo il 77% del campione. Ma è negativo il giudizio sui servizi sociali (il 45% li ritiene buoni o ottimi, il resto li valuta insufficienti o addirittura non riesce nemmeno a entrarci in contatto), sui servizi territoriali (l’assistenza domiciliare è giudicata insufficiente dal 42% degli intervistati) e sulle varie forme di tutela, inclusi i supporti economici (quasi il 50% le definisce insufficienti).

Sanità buona, ma con molte differenze territoriali. Quasi il 66% degli intervistati è convinto che vi siano disparità nelle opportunità di cura per i pazienti oncologici.

Poco meno del 13% del campione giudica insufficiente la disponibilità attuale delle terapie innovative (il dato sale al 16% nel Mezzogiorno). E sul futuro aleggia la paura che i tagli ai bilanci pubblici renderanno ancora più difficile l’accesso alle cure più efficaci e con meno effetti collaterali: per il 40% a causa della lunghezza delle liste di attesa per controlli ed esami, per il 33,5% a causa delle attese quando ci si reca in terapia, per il 29,5% a causa delle difficoltà di bilancio della sanità, che limiteranno la disponibilità di terapie oncologiche più mirate e con minori effetti collaterali. Il 25,7% teme che ci saranno ulteriori differenze nelle cure tra i diversi territori del Paese, in particolare in quelle più innovative (ad esempio, i farmaci biologici).

Tra le priorità che i pazienti indicano per il futuro, prima di tutto c’è la necessità di avere terapie innovative sempre più personalizzate e con minori effetti collaterali: è l’opinione del 74% dei pazienti. Poi una maggiore attenzione agli impatti psicologici della patologia (32%). La priorità nella lotta al tumore consiste dunque nel passare dal prolungamento quantitativo della vita successiva alla diagnosi e ai trattamenti medici, al miglioramento qualitativo della vita quotidiana. La lotta al tumore deve essere sempre più una lotta della comunità, che deve supportare lo sforzo di pazienti e famiglie ben oltre la fase dell’emergenza sanitaria (dai servizi sociali e sul territorio alle tutele sul lavoro) e non spezzare la lunga corsa verso terapie più efficaci e con minori effetti collaterali (non basta guarire a ogni costo, bisogna ridurre l’impatto delle cure attraverso l’innovazione medica e tecnologica).

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