giovedì 10 novembre 2011

COMMEMORAZIONE IN BEIT HANOUN DI NATHAN STUCKEY. PER NON DIMENTICARE

E’martedì, il terzo giorno dell’ Eid, l’Eid del Sacrificio. Noi, il Beit Hanoun Local Initiative e l’International Solidarity Movement, ci siamo riuniti vicino i resti bombardati del Beit Hanoun Agricultural College come facciamo ogni martedì in preparazione alla nostra marcia nella zona interdetta all’accesso.

Tuttavia questo martedì è stato differente, non ci siamo riuniti sulla strada che porta a quella zona, ma dietro gli edifici bombardati del College.

Come nella maggior parte della Palestina, la storia è densamente presente, ogni posto ha una storia, oggi, noi dovremmo imparare la storia di questa piccola zona.

Oggi sono 5 anni dall’anniversario del massacro di Beit Hanoun. Davanti a noi, giacciono i sepolcri delle vittime.

L’8 novembre del 2006, alle 6:00 del mattino l’esercito israeliano inizia un bombardamento su Beit Hanoun. Le granate sono lanciate sulle case delle famiglie A’athamnah e Kafarnah. Non solo una granata, il bombardamento è continuato per 15 minuti. Una serie dopo un’altra si abbatteva sulle loro case. Diciannove persone furono uccise, nove bambini, quattro donne e sei uomini. Il più piccolo un bambino di un paio di mesi, la vittima più anziana una donna di 73 anni. Altre 40 persone rimasero ferite. Erano civili, l’esercito israeliano nemmeno si è preoccupato di assicurare che fossero armati; stavano dormendo nei loro letti.

I sepolcri sono proprio accanto alla strada, proprio dietro l’Agrocultural College. Sono grandi; ognuno di essi contiene molti corpi, grandi lastre grigie di cemento con nomi e preghiere iscritti su di essi. Abu Issa, del Beit Hanoun Local Initiative parla; prega per i morti e ci chiede di ricordare il passato.

Questo massacro rappresenta appena il passato; è quasi il presente, anche se dimenticato in tante parti del mondo. Le sue parole terminano, come devono, sul presente, “noi non abbiamo chiesto l’occupazione, abbiamo sempre vissuto qui, lei è venuta da noi, ma non possiamo accettarlo, dobbiamo continuare a lottare fino a quando l’occupazione finirà.” Poniamo una corona di fiori vicino alla prima tomba. 

Camminiamo lentamente vicino la fila dei sepolcri; Abu Issa ci legge i nomi dei morti. Raggiungiamo la tomba di Maisa, sei anni. Non è mia figlia, è la mia studentessa di inglese. Il suo nome è Maisa Samouni. Ventinove membri della sua estesa famiglia furono uccisi nello stesso modo dall’esercito israeliano, ammassati in una casa dai soldati, e poi la casa fu bombardata dalle Forse di Difesa Israeliane.

Mi chiedo come Maisa sarebbe oggi, sarebbe così piccola e gentile e bellissima come la mia Maisa?

Come terminammo la fila dei sepolcri tornammo a quelli che erano stati distrutti, distrutti dai bulldozers Israeliani in invasioni successive di Gaza. 

Ci allontaniamo dai sepolcri e ci voltiamo verso il confine. Alle torri di cemento che lo fiancheggiano, è pieno di cecchini e pistole comandate da computer che uccidono quando vogliono. Abu Issa inizia a parlarci dell’area che vediamo davanti a noi. Era qui che gli uomini di Beit Hanoun furono imprigionati durante la prima settimana di novembre del 2006. Le forze israeliane invasero Beit Hanoun; tutti i maschi di età compresa fra i 16 e 60 anni furono raggruppati e portati qui. Per sei giorni dormirono all’aperto, al freddo, mentre l’esercito israeliano li prendeva per interrogarli. 53 persone furono uccise ed altre 200 ferite durante l’invasione. Il giorno dopo le forze israeliane si ritirarono; spararono granate che avrebbero ucciso altre 19 persone, incluso Maisa.  

Dopo la commemorazione, ci siamo accalcati sul furgoncino e siamo andati ad est di Beit Hanoun a visitare la famiglia Jareema. La famiglia Jareema è una famiglia beduina che vive proprio vicino la zona interdetta all’accesso. Non hanno sempre vissuto lì, hanno iniziato ad abitarci nel 1948, ma furono espulsi dai sionisti durante la Nakba, loro ed altri 750,000 palestinesi. Si stabilirono in Gaza. Vivevano proprio vicino il confine, le loro case erano a 50 metri dal confine. Poi, gli israeliani decisero di imporre la buffer zone a Gaza, la famiglia ricevette la notizia che dovevano spostarsi. Non ci fu un appello. I bulldozer israeliani vennero e distrussero le loro case. Distrussero i recinti degli animali. Distrussero le piantagioni di alberi che prosperavano nella zona vietata. 

Ora, la famiglia vive in un agglomerato di tende e baracche a circa 500 metri dal confine. Come guardate verso il confine vedete una torre grigia particolarmente grande, è da questa torre che gli israeliani sparano loro.

Loro non sanno dove andare, così continuano a vivere qui, sopravvivendo come meglio possono sulla terra che Israele non ha preso. Portiamo loro dei dolci per celebrare l’Eid, loro ci servono tè e pane appena fatto.

Ci chiedono di rimanere per il pranzo, ma dobbiamo andare, c’è un matrimonio in Beit Hanoun. La vita continua. Prego che i bambini di questa nuova coppia crescano in un mondo giusto, in una Palestina libera. Questo è quello per cui lottiamo.

di Nathan Stuckey

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