lunedì 23 maggio 2011

POVERA ITALIA, UNO SU 4 È A RISCHIO INDIGENZA. E PAGANO LE DONNE...

Rapporto annuale Istat sulla situazione del Paese: nel 2010 il 15,7% delle famiglie ha presentato 3 o piu' sintomi di deprivazione (oltre 9 milioni di persone).

"La leggera ripresa del reddito disponibile delle famiglie osservata nel 2010 (+1%) non e' riuscita a compensare ne' la riduzione del 2009 (-3,1%), ne' la contemporanea variazione dei prezzi, determinando una contrazione del potere d'acquisto delle famiglie dello 0,5%. Di conseguenza, la stazionarieta' degli indicatori di deprivazione materiale e la leggera ripresa dei consumi si associano a una diminuzione della propensione al risparmio, che si attesta, per le sole famiglie consumatrici, al 9,1%, il valore piu' basso dal 1990". Cosi' L'Istat fotografa la condizione socio.economica delle famiglie, all'interno del Rapporto annuale 2010 sulla situazione del Paese. 

POVERTA' - Secondo l'Istat, in Italia circa un quarto della popolazione (24,7%) sperimenta il rischio di poverta' o esclusione, un valore superiore alla media Ue (23,1%). "E' possibile distinguere alcuni sottogruppi che si differenziano per tipo e gravita' della condizione osservata: il rischio di poverta' e' il sintomo piu' diffuso e, nella maggior parte dei casi (12,5% della popolazione, corrispondente a 7,5 milioni di individui), non si associa a nessuno degli altri due". E' contenuta in termini relativi la diffusione del solo sintomo di grave deprivazione (2,9 per cento; 1,7 milioni di persone) o del solo sintomo di intensita' lavorativa molto bassa (3%; 1,8 milioni). Solo l'1% della popolazione residente (circa 611 mila individui) vive in una famiglia contemporaneamente a rischio di poverta', deprivata e a intensita' di lavoro molto bassa. 

Sempre secondo l'Istat, nel 2010 il 15,7% delle famiglie ha presentato tre o piu' sintomi di deprivazione: si tratta di oltre nove milioni di persone. "I profili familiari e territoriali che caratterizzano le famiglie deprivate sono del tutto simili a quelli rilevati negli anni precedenti - si afferma -: famiglie numerose, con tre o piu' figli, abitazione in affitto, residenza nel Mezzogiorno". Gli indicatori di deprivazione hanno mantenuto una sostanziale stabilita' rispetto all'anno precedente, sia perche' a essere colpite sono state soprattutto le famiglie che gia' nel 2009 erano considerate deprivate, sia perche' la perdita del lavoro ha interessato maggiormente i giovani che vivono ancora con i genitori.

La condizione di deprivazione materiale, anche grave, e' pero' aumentata tra le famiglie in cui la perdita di occupazione ha riguardato la persona di riferimento o il partner, interessando piu' spesso individui cha avevano un lavoro stabile e qualificato che ap-portava un contributo economico rilevante alle risorse familiari. Inoltre, e' cresciuta la quota di famiglie costrette a contrarre debiti o a fare ricorso alle proprie risorse patrimoniali (16,2% contro 15,1% nel 2009).

Secondo il Rapporto annuale sulla situazione del Paese dell'Istat, anche quest'anno, come nel precedente, "due ammortizzatori sociali hanno fatto si' che la deprivazione delle famiglie non aumentasse: la cassa integrazione, che ha protetto gli adulti capifamiglia (che continuano a essere la maggioranza dei cassaintegrati), e la famiglia stessa, che ha protetto i figli che hanno perso il lavoro". In questo contesto le donne continuano a essere un pilastro fondamentale del sistema italiano di welfare, facendosi spesso carico di compiti altrove svolti dalle strutture pubbliche, con effetti non trascurabili sull'ammontare di lavoro che grava su di esse, soprattutto se sono occupate, sul tasso di partecipazione femminile e, in generale, sul funzionamento della societa': "infatti - ricorda l'Istat -, le donne erogano due terzi degli oltre tre miliardi di ore destinate in un anno dalla rete informale all'aiuto di componenti di altre famiglie".

Al di la' delle difficolta' verificatesi nel periodo della recessione, l'Istat evidenzia che la rete di aiuto informale mostra segnali di sofferenza di natura strutturale: negli ultimi 25 anni, a fronte di un aumento della quota di popolazione che presta aiuto ad altre famiglie (dal 20,8% del 1983 al 26,8% del 2009), si assiste a una diminuzione delle famiglie aiutate (dal 23,3 al 16,9%), in particolare di quelle composte da anziani (dal 28,9 al 16,7%). In tale periodo e' aumentata l'eta' media di chi presta aiuto (ora pari a 50 anni), mentre si e' ridotto il numero medio di ore che viene dedicato a questa attivita', anche se il sostegno offerto diventa piu' articolato, con un crescente numero di tipi di aiuto fornito da ciascun "care giver". 

PAGANO LE DONNE - Nel 2010, "a fronte della stabilita' dell'occupazione femminile, e' peggiorata la qualita' del lavoro delle donne". Lo rileva l'Istat nel rapporto annuale, segnalando che, a pagare di piu' la crisi sono i giovani e le donne. Tra le donne infatti cala "l'occupazione qualificata" mentre "aumentata quella a bassa specializzazione". Resta notevole nel 2010 la disparita' salariale: per le dipendenti e' in media di 1.077 euro al mese contro i 1.377 dei colleghi maschi, circa il 20% in meno. Il divario si dimezza considerando i soli impieghi a tempo pieno (1.257 e 1.411).

Lo sviluppo dell'occupazione femminile part time nel 2010 e' stato poi caratterizzato dalla involontarieta', mentre e' andato ampliandosi il divario di genere nel sottoutilizzo del capitale umano: il 40% delle laureate ha un lavoro che richiede una qualifica piu' bassa rispetto al titolo posseduto.

La crisi ha ampliato i divari tra l'Italia e l'Unione europea nella partecipazione delle donne al mercato del lavoro. "Piu' di un quinto delle donne con meno di 65 anni occupate, o che sono state tali- si legge nella sintesi del rapporto- dichiara di aver interrotto l'attivita' lavorativa a seguito del matrimonio, di una gravidanza o per altri motivi familiari, contro appena il 2,9% degli uomini. Per le donne che hanno avuto figli la quota sale al 30%; nella meta' dei casi la causa dell'interruzione e' proprio la nascita di un figlio".

Nella meta' dei casi interrompere il percorso lavorativo inon e' il risultato di una libera scelta: "Sono circa 800 mila (quasi il 9%) le donne che sono state licenziate o messe in condizione di lasciare il lavoro perche' in gravidanza e solo 4 su 10 hanno poi ripreso il percorso. A sperimentare le interruzioni forzate sono soprattutto le giovani (il 13,1% tra le madri nate dopo il 1973) e le donne residenti nel Mezzogiorno".

Non solo. La fotografia dell'Istat sulle donne continua impietosa. "In un Paese in cui le politiche di conciliazione lavoro-famiglia non hanno ancora realizzato la flessibilita' organizzativa caratteristica di altri paesi europei, alle difficolta' che le donne incontrano nel mercato del lavoro si associa lo squilibrio nella distribuzione dei carichi di lavoro complessivi. La divisione dei ruoli nella coppia e l'organizzazione dei tempi delle persone, infatti, risentono di una forte asimmetria di genere che interessa tutte le aree territoriali e tutte le classi sociali".

Per una donna insomma avere un lavoro e dei figli continua a tradursi in un "sovraccarico di lavoro di cura. Per far fronte alla difficolta' di conciliare il lavoro e la famiglia (circa i tre quarti del lavoro familiare delle coppie e' appannaggio della donna) le lavoratrici- si legge ancora riducono il tempo dedicato al lavoro familiare, operandone una redistribuzione interna, diminuendo l'impegno nei servizi domestici e dedicando piu' tempo ai figli. Al crescere dell'eta' le differenze di genere nei carichi di lavoro familiare si acuiscono ulteriormente".

Anche in eta' anziana, "quando si potrebbero creare i presupposti per una maggiore condivisione del lavoro familiare per effetto dell'uscita dal mercato del lavoro di entrambi i partner, le differenze di genere restano forti". In altri termini, "concluso l'impegno per il lavoro retribuito, gli uomini vanno in pensione, dedicandosi quasi a tempo pieno ai propri interessi, le donne continuano a occuparsi del partner, della casa e degli altri membri della famiglia".

Fonte: Agenzia Dire www.dire.it  

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