domenica 22 maggio 2011

L’IMPIANTO NUCLEARE DI SESSA AURUNCA: 23 ANNI PER CHIUDERLO E MEZZO MILIARDO DI EURO

Dentro al sito che sorge sul Garigliano, in provincia di Caserta, gestito dalla Sogin. L'assenza di un deposito nazionale ha fatto slittare tempi e aumentare i costi.

Alla stazione quando chiedi per la centrale, la evocano con misura, distanza, quasi paura. Da queste parti lo chiamano mostro, l’impianto che ha smesso la sua attività nel 1978, dopo 33 anni è ancora lì ad agitare paure e timori della popolazione, nonostante le precauzioni di chi la gestisce. E’ chiusa, ma aumentano i costi di gestione, prelevati dalle tasche dei cittadini. Siamo a Sessa Aurunca, in provincia di Caserta, ai confini con il Lazio. Nei pressi del fiume Garigliano sorge la centrale nucleare entrata in funzione nel 1964 e spenta dopo 14 anni a seguito di un guasto.

Il fatto quotidiano entra nell’impianto, oggi in fase di dismissione, insieme alla commissione bonifiche ed ecomafie della regione Campania. Il presidente Antonio Amato è impegnato, fin dal suo insediamento, in un tour. Da mesi attraversa scheletri, monumenti allo spreco, discariche e impianti disseminati lungo una terra, una volta appellata come felix. Dell’intera commissione presente solo un consigliere. “Quella del nucleare – denuncia il presidente Amato – è una scelta assolutamente sbagliata, per le primarie questioni legate alla sicurezza ed alla salute, ma anche in termini di costi benefici, il calcolo appare del tutto privo di logica. Ancora oggi paghiamo sulla nostra bolletta i costi della dismissione delle passate centrali. Pensare di realizzare nuove centrali è una scelta del tutto scriteriata".

Il tema è di stretta attualità in vista del referendum del prossimo giugno che si propone di bocciare il ritorno all’atomo varato dal governo. L’accesso alla centrale nucleare di Sessa Aurunca è riservato, il sito è strategico e all’esterno è protetto dagli agenti di un istituto di vigilanza. La fase di decommissioning, il completo smantellamento dell’area, è affidata alla Sogin, la società per azioni, a capitale pubblico, che ha in carico la gestione, nel nostro paese, della fine degli impianti nucleari. Per chiuderli occorre una società, ma soprattutto capitali umani ed economici.   

Il decomissioning prevede l’allontanamento del combustibile nucleare, nel caso della centrale di Sessa in parte trasferito in Inghilterra e in parte al deposito ‘Avogadro‘ di Saluggia, la decontaminazione delle strutture e lo smantellamento dell’esistente. “Del sito resterà solo la cupola, l’enorme sfera centrale – spiegano i tecnici Sogin – perché è stata costruita dall’architetto Riccardo Morandi”. La completa bonifica del sito era prevista entro il 2016, ma la data è slittata. ” I ritardi nelle autorizzazioni e la mancanza di un sito di stoccaggio nazionale per le scorie – chiariscono gli esperti Sogin – ha ritardato la data di conclusione dei lavori". 

Più passa il tempo e più aumentano i costi di mantenimento. La data ora prevista per il completamento delle operazioni di dimissioni è il 2022, ben 23 anni dopo l’inizio dell’attività di decommissioning. Non si escludono ulteriori proroghe, se il governo nazionale non avrà individuato e realizzato il deposito nazionale delle scorie. La Sogin ha un progetto: sito di deposito nazionale più centro di ricerca, in una zona ancora da individuare, che raccoglierà 80mila metri cubi di rifiuti radioattivi dalle centrali dismesse di tutta la penisola. La stima per i rifiuti del Garigliano si aggira intorno ai 6-7 mila metri cubi che saranno allocati, in attesa del deposito nazionale, nella stessa centrale casertana in un sito provvisorio in costruzione chiamato D1( che si aggiunge ad un altro deposito in loco già esistente). I costi, sempre secondo la Sogin, per la completa dismissione si aggirano intorno ai 450 milioni di euro per la sola centrale di Sessa Aurunca.  

Un conto che al momento pagano gli italiani attraverso un contributo inserito nella bolletta elettrica, la cosiddetta componente A2. Per capirci la centrale non funziona da 33 anni, per smantellarla in termini previsionali ne occorrono 23, un quarto di secolo, ad un costo di mezzo miliardo di euro. Per smantellare tutte le centrali il costo è intorno ai 5 miliardi di euro(compresa la realizzazione del deposito nazionale), raddoppiato rispetto alle previsioni iniziali. Un impianto che produce reddito e ricchezza anche se fermo, ma per le ditte che si accaparrano gli appalti, sub-appalti con il giro dei fornitori. In terra di Gomorra il rischio è il lucro delle organizzazioni criminali, ‘ firmiamo protocolli di legalità e chiediamo certificati antimafia attenendoci con rigore al codice degli appalti’ assicurano gli esperti Sogin.  

Anche Legambiente assiste alla visita della centrale. Nel marzo scorso il ministro della salute Ferruccio Fazio rispondendo ad una interrogazione parlamentare aveva negato ogni tipo di danno sanitario o ambientale causato dalla centrale. “Il ministro – denuncia Giulia Casella del circolo Legambiente locale – ha risposto, ma bisogna rimarcare che non c’è uno studio epidemiologico nell’area( dovrebbe partire a breve, ndr) e manca, in provincia di Caserta, un registro dei tumori per capire l’impatto sulla salute che ha avuto l’impianto, visti i numerosi casi di neoplasie, malformazioni, registrati in passato nel periodo di vita della centrale”. Per il presidente della commissione regionale Antonio Amato il lavoro di bonifica sembra procedere positivamente, ma rileva un ulteriore criticità: “La mancanza di un protocollo di monitoraggio con Arpac e Asl per il quale intendiamo promuovere un’azione di sollecita a questi enti strumentali della regione".

di Nello Trocchia



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