lunedì 24 gennaio 2011

TIRANA, LA CORRUZIONE E IL SANGUE

di Carlo Musilli

I manifestanti superano il cordone di poliziotti, sfondano la cancellata ed entrano nel giardino. Di fronte a loro, il palazzo del governo. Le forze dell'ordine sono schierate in difesa del primo ministro, Sali Berisha. Sono armati di manganelli, idranti, gas lacrimogeni e pistole. Qualche pallottola viene sparata anche dai civili. Alla fine la polizia riprende il controllo della piazza e allontana i dimostranti. Uno di essi cade, ucciso dai colpi di un militare. Doveva essere l'ennesima protesta pacifica, ma stavolta i viali di Tirana si sono sporcati di sangue. Il bilancio è di tre morti e quasi 60 feriti.

Ad organizzare la manifestazione è stato Edi Rama, leader dell'opposizione socialista e sindaco della capitale albanese. Circa ventimila persone hanno aderito al suo appello per chiedere le dimissioni di Berisha e nuove elezioni. Il clima politico in Albania è diventato insostenibile dopo lo scandalo che ha travolto Ilir Meta, vicepremier e ministro dell'Economia. A tradirlo è stato un suo ex alleato, Dritan Prifti, fino a non molto tempo fa membro del Movimento socialista per l'integrazione, che ha dato al governo i voti necessari per conservare la maggioranza in Parlamento.

Il caso è scoppiato martedì scorso, quando la televisione privata Top Channel ha trasmesso un video, risalente al primo marzo, in cui Meta chiedeva a Prifti di annullare le concessioni per la gestione di una centrale idroelettrica, in modo da favorire un'altra azienda. In cambio, avrebbe intascato una tangente da 700 mila euro.

Il vicepremier si è difeso sostenendo che quell'azienda alla fine non ha ottenuto nulla e che il video è stato montato ad arte per incastrarlo. Ma quando la procura ha aperto un'indagine contro di lui, Meta ha rinunciato all'immunità parlamentare e si è dimesso.   Lo scandalo è stata la miccia che ha fatto esplodere gli scontri di piazza, ma si tratta solo delle ultime puntate di un telenovela iniziata molto prima. Da un anno e mezzo, infatti, i socialisti di Rama boicottano il parlamento in segno di protesta contro l'esecutivo del Partito Democratico. Per loro, Berisha è un presidente illegittimo, eletto alle politiche del giugno 2009 soltanto grazie a brogli e irregolarità di vario genere. E il governo non ha mai autorizzato il riconteggio delle schede.

In realtà, per comprendere le ostilità di oggi è necessario risalire ancora più indietro nel tempo. La storia di Sali Berisha ai vertici della politica albanese inizia nel 1992, quando diventa il primo Capo di Stato non comunista del dopoguerra. Si dimette nel 1997, colpito dall'accusa di essere coinvolto nella maxi truffa delle finanziarie a piramide (un classico "schema Ponzi", come quello usato dieci anni dopo negli Usa da Bernard Madoff). L'anno seguente, i militanti del suo partito tentano il colpo di stato assaltando la sede del nuovo governo socialista, ma falliscono. Berisha torna in scena nel 2005, stavolta come primo ministro. Attualmente è al secondo mandato consecutivo.

Nonostante le difficoltà incontrate lungo il cammino, Berisha ha dimostrato in questi giorni di non aver ancora perso il piglio del leader carismatico. Con una mossa rozza nello stile quanto efficace nella demagogia, ha pensato bene di paragonare le azioni dei suoi oppositori agli scontri che da settimane flagellano il nord Africa. Assecondando anche una certa propensione all'insulto, si è rivolto ai suoi elettori con un monito: "I figli bastardi dei Ben Ali dell'Albania hanno concepito scenari tunisini per voi, cittadini dell'Albania", specificando poi che "non saranno tollerate altro violenze".   

Dal canto loro, i socialisti hanno voluto sottolineare che le proteste di questi giorni non hanno solamente un movente politico. Non è solo la corruzione del governo a far agitare le masse, ma soprattutto la sua incapacità a risollevare le sorti economiche del paese. Secondo i dati forniti dal partito, solo nell'ultimo anno sarebbero 100 mila le famiglie scese sotto la soglia di povertà, il che significherebbe almeno 400 mila persone. Nel frattempo le tasse aumentano e le imprese chiudono.

Un quadro desolante, che giustifica la decisione dell'Unione Europea di respingere la richiesta d'ammissione albanese. Il responso è arrivato a fine 2010, allegato ad una lista di 12 azioni da mettere in campo per continuare a sperare: prima fra tutte, la lotta alla corruzione. Dopo i recenti fatti di sangue, lo sguardo di Bruxelles si è fatto ancora più severo. Catherine Ashton, alto rappresentante per la politica estera, e Stefan Fuele, commissario all'allargamento dell'Ue, hanno fatto sapere che "se l'Albania vuole procedere nel suo cammino verso l'Europa, si deve impegnare in un dialogo costruttivo per risolvere la sua crisi e mobilitare tutte le energie del paese verso questo fine". Intanto, le manifestazioni continuano, non solo da parte dei socialisti: mercoledì scenderanno in piazza i sostenitori di Berisha.

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