venerdì 21 gennaio 2011

FATEMI UN FISCHIO

Cos’è rimasto da dire? Cosa è rimasto da schifare? Oh sì, è morto un soldato ma non se lo sono filato. Il giorno prima in realtà erano morti tre uomini sul lavoro, e pure un quarto, ma era già in lista da novembre quando restò ustionato sul 95% del corpo. Insomma forse era già morto allora, e quindi sarebbe stato inutile piangerlo due volte.

Non è rimasto nulla da dire, soltanto tutto da ribadire. Poi magari congratularci con noi stessi, che siamo molto bravi a sopportare. Così bravi che a volte mi chiedo se non riusciremmo pure a tollerare di più. Non passa giorno in cui non si venga a conoscenza di un pezzo di muffa putrescente di questo paese ormai morto, una truffa, una concussione, un cocainomane puttaniere che si vanta d’esser come il tizio del consiglio – vittima della giustizia – uno scandalo allegro o triste. E tutto scorre.

Oh no, è vero. C’è stata ieri la rivolta dei fischietti, davanti al Quirinale. Oggi mi hanno anche accusato di non aver partecipato, e io di rilancio ho rivolto l’accusa contraria: “Ma non ti vergogni nemmeno un po’ d’esserci andato?” Allora si continua ad accusarmi: “Ecco! Voi comunisti parolai, scrivete ma non fate nulla.”

Fischiettare contro Napolitano, guidati dal creatore d’eventi più insignificante che c’è, sarebbe quel qualcosa da fare, mentre il paese muore? Prova ne sia che gli unici a rendersi conto dell’iniziativa, sono state le quaglie del Colle, a cui hanno disturbato il sonno infreddolito. Che poi ho chiesto anche notizie dell’altra stupenda iniziativa, quella dello sciopero della fame a staffetta, per richiedere le dimissioni del tizio, ma mi dicono che tutti i partecipanti stanno bene e non hanno perso un etto.

Un’opposizione dimissionaria in parlamento, avrebbe senso, con una dichiarazione unica: “Questo è un casino e noi non ci vogliamo stare.” Giusto per vedere l’effetto che farebbe mandare tutto a carte quarantotto, o a gambe all’aria, ma anche a puttane che in definitiva è la metafora più idonea a rappresentare questo stato di cose.

Ma noi siamo oltre. Siamo civili e ligi alla democrazia e alle leggi dello stato eversivo davvero. Noi non siamo un paese normale, noi siamo un sobborgo di una capitale dell’Africa Centrale. I ragazzini non vanno più a scuola e nemmeno lavorano, si organizzano in bande, non sniffano colla ma cocaina, e la sera tornano a dormire ancora da mamma e papà. Le mamme vendono le proprie figlie al vecchio porco, ma non essendo palermitane del quartiere Zen, non vengono arrestate dalla polizia. Noi siamo civili e civilizzati, con la maglietta viola e il fischietto, tutti a fare casino davanti al Quirinale, ben vestiti e pettinati – non si sa mai, finissi su youtube, che a noi la tv ci fa schifo, e però possiamo raccontare tutta e integralmente l’intervista della zoccoletta, la sua ultima e più remunerativa marchetta. Ma per fortuna l’opposizione si oppone.

Già, poi c’è la Lega che ancora parla di federalismo, come fosse una cosa seria, e non ha timore quel che resta di bossi, di presentarsi in tv a dire che “c’è l’accordo con silvio.” Questo in linguaggio neopolitichese significa che la lega è solo la peggior troia con cui ha a che fare il tizio debosciato. Quella troia che i soldi per finanziarsi li ha voluti in anticipo, ed ora è pronta al ricatto. Intanto in uno stato democratico che si rispetti, la lega è libera di creare liste di proscrizione, di “incendiare i libri”, di seminare ancora l’ignoranza che un giorno darà ancora più frutti, concimata dalla merda che scorre a fiotti sulle nostre vite. Anche su quelle che ci ostiniamo a spendere come se servisse davvero ancora investire nel domani.

Fatemi un fischio, quando sarà.

di Rita Pani

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