martedì 30 novembre 2010

TG1 - Resta intrappolato per un'ora nel cestello della lavatrice

TG1 - Resta intrappolato per un'ora nel cestello della lavatrice

ADICO: AIAZZONE NON CONSEGNA I MOBILI PAGATI

Sono centinaia i consumatori che ad oggi si sono rivolti all’ADICO che denunciano di non aver ricevuto in tutto o in parte la merce ordinata da Amazzone e magari già interamente pagata o che dopo aver lasciato un acconto in negozio, si ritrovano a pagare un finanziamento senza aver ancora i mobili a casa – denuncia l’ADICO nella nota.

Secondo l'ADICO anche i contratti che vengono sottoscritti con il mobilificio presentano molteplici clausole vessatorie a danno dei consumatori – fanno presente gli esperti legali dell’ADICO – per esempio, all'articolo 5 "Aiazzone stabilisce che la data espressa sul contratto è indicativa e non si assume la responsabilità in caso di richiesta danni. Sono inoltre previste penali a danno del consumatore in caso di difficoltà nella consegna della merce e/o richiesta di rinvio della data di consegna della merce. Non sono invece previste penali se il ritardo è per causa del venditore".

Inoltre, all'articolo 7, "per ogni giorno di ritardo nella consegna, si prevede una penale pari al 3% del valore della merce, naturalmente a danno del consumatore. La stessa cosa non vale se le cause del ritardo sono imputabili al venditore. Notevole e palese squilibrio tra le parti", sostiene – il presidente dell’ADICO, CArlo Garofolini – che aggiunge: "All'articolo 17 si dice che il foro competente previsto dal contratto è il Tribunale di Tivoli e non quello del consumatore. Segnaliamo che, con l’entrata in vigore del Codice del consumo (dlgs 206/2005), occorre distinguere tra il foro esclusivo del consumatore (art. 1469 bis, comma 3, n. 19 c.c., ora riprodotto nell’art. 33, comma 2 del citato dlgs), che prevede una competenza territoriale esclusiva, ma derogabile con clausola che sia stata oggetto di trattativa individuale e la competenza inderogabile del foro del luogo di residenza del consumatore, prevista dall’articolo 63 del Codice del consumo solo per le controversie riguardanti i contratti negoziati fuori dai locali commerciali".

Nel frattempo – spiegano i legali dell’ADICO – consigliamo agli acquirenti coinvolti di mettere in mora la società per la consegna della merce acquistata.
 
Fonte: ADICO

ACQUA. FEDERCONSUMATORI: TROPPE DIFFERENZE E DIVARI TRA CITTA' E CITTA' EMERGONO DALLA 1 INDAGINE NAZIONALE SULLE CARTE DEL SERVIZIO IDRICO.


È stata presentata oggi, all’interno del convegno tenutosi a Roma, la Prima Indagine Nazionale sulle carte del servizio idrico, realizzata dal C.R.E.E.F. – Centro Ricerche Economiche, Educazione e Formazione della Federconsumatori.

L’indagine ha monitorato le Carte del servizio idrico in 52 città relativamente ai principali aspetti del rapporto tra i gestori ed i consumatori.

Per quanto riguarda lo standard sul tempo massimo di esecuzione di allacciamento si registrano notevoli differenze: si va dai 6 giorni previsti a Cremona, ai 90 di Brindisi, Bari, Lecce, Taranto e Foggia, con un tempo medio rilevato tra le città analizzate di 30 giorni. Differenze emergono anche dall’analisi dei tempi di attivazione della fornitura (da 1 ad Arezzo a 15 giorni a Gorizia, Lecco, Potenza e Matera), ed anche relativamente alla gestione del rapporto contrattuale (rettifica delle fatture, verifica del livello di pressione, risposta alle richieste, risposta ai reclami) con tempi che variano da 2 giorni (a Padova) a 180 (a Bari, Brindisi, Lecce, Foggia e Taranto).

Troppe differenze e divari sono emersi tra città e città. Disparità che devono essere livellate attraverso l’adozione di standard qualitativi e la definizione di una Carta del Servizio tipo a livello nazionale, ponendo fine, così, a queste gravi differenze. Un compito che dovrebbe spettare ad un’autorità di vigilanza appositamente costituita, ma che, in attesa di tale operazione, richiediamo venga attuato al più presto dal Comitato di Vigilanza delle Risorse Idriche, ovviamente attraverso il confronto e l’accordo con le Associazioni dei Consumatori.

L’indagine completa è disponibile sul sito Federconsumatori

Fonte: Federconsumatori

FAO: OLTRE 3 MILIONI DI PERSONE CHIEDONO AI GOVERNI UN’AZIONE DECISA CONTRO LA FAME

La petizione “1billionhungry” viene presentata oggi ai governi mondiali

La campagna entra in una
seconda fase e dará risonanza
alle iniziative contro
 la fame che funzionano
Le firme di oltre 3 milioni di persone che chiedono un'azione immediata per porre fine al problema della fame nel mondo sono state presentate oggi ai governi durante una cerimonia presso la FAO a Roma.

La petizione - e la campagna che la sostiene - chiede ai leader mondiali di fare dell'eliminazione della fame la loro priorità. Secondo le ultime stime della FAO il numero di persone che soffrono di fame cronica nel mondo è pari a 925 milioni. L'anno scorso, la crisi economica mondiale e l'aumento dei prezzi alimentari, per la prima volta, nella storia avevano spinto tale cifra oltre la soglia del miliardo.

"Milioni di persone da ogni parte del mondo chiedono un cambiamento, ed esortano i leader politici a prendere azioni decise ed affrontare fame ed insicurezza alimentare nelle loro cause di fondo," afferma il Direttore Generale della FAO Jacque Diouf. "Mi auguro davvero che le loro richieste vengano ascoltate. Sconfiggere la fame è un traguardo realistico per i nostri tempi, a patto che vengano adottate soluzioni politiche, economiche, finanziarie e tecniche lungimiranti e durature". 

Una valanga di adesioni

L'obiettivo iniziale dell'Organizzazione era di raccogliere un milione di firme, ma il successo della campagna ha confermato con quanta forza può reagire la gente, una volta che è messa a conoscenza delle dimensioni della fame.

Sostenuta da celebrità internazionali, atleti, attori, cantanti, intellettuali e stelle del calcio europeo, la campagna ha raggiunto milioni di persone in tutto il mondo tramite migliaia di eventi live e si ulteriormente diffusa via internet.

Gli ambasciatori di buona volontà della FAO e molte altre personalità hanno aderito alla campagna e firmato la petizione. Tra questi, gli attori Susan Sarandon, Gong Li e Raoul Bova; gli atleti Carl Lewis e Roberto Baggio; i cantanti Celine Dion, Gilberto Gil, Dionne Warwick e Anggun e gli scrittori Isabel Allende e Andrea Camilleri.

La campagna "1billionhungry" si è diffusa rapidamente via internet grazie ai social network dove le persone hanno condiviso materiale informativo sul tema della fame, ed ha chiesto ai propri amici di firmare la petizione su 1billionhungry.org, dando voce a propri appelli personali. Solo su Facebook la campagna ha raccolto 70,000 sostenitori, ed ha avuto un seguito enorme anche su Twitter, Tuenti, Flickr e YouTube. Le firme sono state raccolte anche durante numerose manifestazioni, incontri, cerimonie, workshops ed altri eventi.

Uniti contro la fame  

Il sostegno alla campagna "1billionhungry" è arrivato anche da un crescente numero di leader politici in tutto il mondo. Capi di Stato come il Presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, il Presidente argentino Cristina Fernández de Kirchner, il Presidente dell'Honduras Porfirio Lobo, il Primo Ministro del Nepal Madhav Kumar, il Presidente del Ruanda Paul Kagame, il Presidente del Guatemala Álvaro Colóm Caballeros ed il Presidente della Repubblica Dominicana, Leonel Fernández, hanno tutti firmato la petizione, e la lista si allunga di giorno in giorno.

La campagna gode anche del sostegno delle altre agenzie delle Nazioni Unite, e di molte compagnie di comunicazione che hanno messo a disposizione, gratuitamente, spazi pubblicitari, anche su radio e tv. Anche molte ONG, associazioni di agricoltori, università ed amministrazioni comunali hanno partecipato all'iniziativa. 

La campagna entra in una seconda fase  

"Il successo della Campagna 1billionhungry dà ancora più urgenza e significato al nostro lavoro. Ci da degli alleati che non pensavamo di avere. E questo movimento continuerà nella nuova fase della campagna", ha detto Diouf.

La prossima fase intende mantenere il problema della fame al centro dell'attenzione mondiale, offrire alla gente modi diversi per dare il proprio contributo e dare risonanza alle iniziative contro la fame che funzionano.

Su 1billionhungry.org sono disponibili i dati per paese.

Fonte:FAO

NO GRONDA! IDEE PER SPENDERE 5 MILIARDI IN MODO SENSATO

Giulietto Chiesa racconta l'importanza di una battaglia contro una "grande opera", una bretella autostradale da 5 miliardi che insegue sopra Genova un miraggio di speculazioni e crescite impossibili. I "No Gronda" offrono un elenco di cose utili che si potrebbero realizzare con quella somma, ignorate dalla miopia bipartisan di affaristi e sindacalisti.

"Una battaglia esemplare per la vita e contro un'opera inutile, costosissima, che risponde solo agli interessi dall'establishment"

Un video tratto da MegaChannelZero



da MegaChannelZero.


Fonte: http://www.megachip.info/
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‘NDRANGHETA A DESIO: DUE PASSI NELL'INFINITO

Le dimissioni di 17 consiglieri anticipano il probabile scioglimento 


Comune di Desio

Ad un passo dalla storia e a due passi dall’Infinito: si potrebbe riassumere in poche battute la tempesta che negli ultimi mesi ha investito l’amministrazione comunale di Desio (MB), fino all’epilogo alquanto prevedibile, viste le premesse. Sul finire della scorsa settimana, infatti, diciassette consiglieri comunali hanno rassegnato le proprie dimissioni provocando, di fatto, la caduta dell’amministrazione comunale in carica, retta dal sindaco Giampiero Mariani del PdL. La vera notizia è che, insieme alle firme degli undici consiglieri dell’opposizione (Pd, Italia dei Valori, Desio Viva, Movimento 5 Stelle), sono state protocollate anche quelle dei sei consiglieri della Lega Nord, usciti dalla stessa maggioranza qualche mese fa, dopo le rivelazioni contenute nei documenti dell’operazione antimafia “Infinito” di luglio.

Desio, provincia di Reggio Calabria 

Desio è un ricco centro urbano con 40mila abitanti, nel mezzo della florida e apparentemente tranquilla Brianza, da un paio d’anni costituitasi in provincia autonoma, pur essendo alle porte di Milano. Desio è uno di quei luoghi che la vulgata comune non accosterebbe assolutamente alle mafie. Eppure anche qui, si è dovuto fare i conti con un convitato di pietra, la ‘ndrangheta.

A Desio finì in soggiorno obbligato il boss di Melito Porto Salvo (RC), Natale Iamonte, classe 1927, uno degli uomini forti della ‘ndrangheta che mise le mani sulla Lombardia nei decenni precedenti. La sua fedina penale spazia dall’omicidio all’associazione mafiosa, passando per il traffico di stupefacenti. Arrestato nuovamente nel 1993 a Milano, ora è al regime del 41 bis. Negli anni in cui Iamonte era a Desio, si posero le basi dell’attuale potere.

Nel settembre 2008, gli uomini della polizia provinciale, con l’operazione “Star Wars”, portarono alla luce un’enorme discarica abusiva, situata tra Desio, Seregno e Briosco: 65mila metri quadrati dove vennero rinvenuti 178mila metri cubi di rifiuti tossici.

Oggi, il raggiungimento del livello di guardia della criminalità organizzata a Desio si evince dalla lettura dell’ordinanza di applicazione della misura coercitiva, alla base dell’operazione “Infinito”, parte rilevante di quella denominata “Il crimine” che ha visto operare insieme DDA di Milano e di Reggio Calabria: «La ‘ndrangheta desiana costituisce uno dei primi tentativi di esportazione dello schema originale calabrese in territorio del Nord Italia. Infatti, le indagini sin dall’origine hanno fatto emergere ed oggi hanno definitivamente confermato che a Desio e sempre esistito un Locale di ‘ndrangheta, retto da un capo-locale e composto da altri personaggi, ricoprenti il ruolo di Capo-Società, di contabile, con numerosi gregari ed affiliati. Le attività criminali hanno spaziato e tuttora interessano vari settori quali le estorsioni, l’usura, gli stupefacenti e le armi».

“Potenzialità criminale” e “forza di intimidazione” sono utili quindi anche nei rapporti con la pubblica amministrazione e per la creazione di una rete di omertà diffusa sul territorio, che agevola le attività di usura e di estorsione, oltre che l’ingresso in alcuni comparti dell’economia legale.

Nelle carte dei magistrati si trovano anche le intercettazioni che rivelano le relazioni pericolose con uomini delle cosche, intrattenute da alcuni politici locali: finiscono agli atti, infatti, i nomi del presidente del consiglio comunale Nicola Mazzacuva e di due consiglieri, Natale Marrone e Rosario Perri, già assessore provinciale e in passato responsabile dell’ufficio tecnico comunale. Tutti allo stato ufficialmente non indagati, tutti uomini del PdL, che in questi mesi di fibrillazione interna ha cercato di fare quadrato attorno al sindaco Giampiero Mariani, però con scarso esito.

A due passi dall’Infinito

Di Marrone, coordinatore del circolo locale di AN ed eletto in consiglio con 400 preferenze, si scopre, dalle intercettazioni, che avrebbe chiesto a Pio Candeloro, capo società del “locale” desiano, di intervenire con violenza nei confronti di Perri, all’epoca capo area tecnica del settore edilizia privata del comune. L’azione punitiva però non scatta e il rifiuto di Candeloro «è dovuto esclusivamente al fatto che il Perri Rosario è “appoggiato” da persone evidentemente di rispetto».

E sempre dalle intercettazioni emerge la volontà dello stesso Candeloro di contattare il Mazzacuva, prima della tornata elettorale, per stringere un accordo.

L’ordinanza del GIP non lascia spazio a dubbi: «Peraltro diverse ragioni hanno portato il Locale di Desio ed i suoi massimi rappresentanti a permeare i gangli della vita politica comunale (Moscato Annunziato e Moscato Natale hanno ricoperto cariche pubbliche) tanto da poter affermare tranquillamente che gli appartenenti alla cosca mafiosa possono contare oggi su esponenti di rilievo della vita pubblica per risolvere problemi ed ottenere vantaggi all’interno della Pubblica Amministrazione».

Da metà luglio, da quando cioè Desio era nel mirino delle DDA di Milano e Reggio Calabria per la presenza di un potente locale di ‘ndrangheta, il consiglio comunale era diventato luogo di perenne scontro, tanto da provocare in alcune sedute l’intervento della forza pubblica per sedare gli animi di consiglieri e cittadini. Il centrosinistra aveva chiesto la chiusura anticipata della legislatura, in ragione del coinvolgimento di alcuni consiglieri nell’iter investigativo e, in alternativa, lo scioglimento dell’amministrazione comunale per infiltrazioni mafiose. Tutto questo trambusto aveva comportato notevoli difficoltà nello svolgimento della normale vita amministrativa dell’ente, tanto da provocare anche il richiamo ufficiale del Prefetto Lombardi che, in caso di una mancata approvazione dell’aggiustamento degli equilibri di bilancio, faceva presagire l’adozione del provvedimento di scioglimento. La Lega nel frattempo, dopo aver chiesto il rimpasto di giunta, ritirava i suoi assessori e manteneva un appoggio esterno, fino all’altro giorno.   

Le dimissioni evitano lo scioglimento? 

I rappresentanti in consiglio comunale dell’opposizione e della Lega Nord hanno motivato l’atto di sfiducia culminante nelle proprie dimissioni così: «I sottoscritti consiglieri comunali, preso atto delle difficoltà nel proseguimento dell'attuale amministrazione, resa particolarmente difficile a seguito di coinvolgimenti nell'inchiesta “Infinito”, allo scopo di salvaguardare l'interesse dei cittadini e l'immagine della città, con senso di responsabilità rassegnano le proprie dimissioni dal loro incarico, al fine di determinare lo scioglimento del consiglio comunale».

Non si è fatta attendere la replica del sindaco Mariani, costretto al ritiro dalle dimissioni dei 17 consiglieri, affidata ad un comunicato stampa: «Il consiglio comunale di Desio non viene sciolto da organi governativi per sospette infiltrazioni malavitose ma per una scelta di natura politica di alcuni consiglieri che si assumeranno la responsabilità di aver infangato l’onorabilità degli amministratori e l’immagine della città».

Mariani nonostante l’appoggio del Pdl, Indipendenti per Desio-Udc e Lista Civica Desio 2000, è costretto a prendere atto dello scioglimento del consiglio comunale e del successivo commissariamento e tutto ciò lo preoccupa e non poco vista la situazione delicata, «in un momento in cui le istituzioni hanno il dovere di contrastare unite la ‘ndrangheta e di garantire la massima trasparenza nella confusione strumentalmente generata». L’ormai ex sindaco ci tiene, però, ad allontanare dall’operato della propria amministrazione l’ombra di possibili rapporti con la criminalità mafiosa: «L’attuale consiglio è stato eletto ad aprile e la nuova giunta opera da maggio. L’indagine ‘Infinito’ riguarda azioni e sospetti tutti antecedenti la nuova operatività amministrativa».

I commenti delle forze politiche all’accaduto registrano la preoccupazione complessiva, pur con i distinguo necessari di partito in partito. Giuseppe Civati, consigliere regionale del PD ha dichiarato: «A luglio avevamo chiesto l'intervento del ministro dell'Interno Roberto Maroni, ma qualche esponente leghista ci ha detto che esageravamo: oggi dovrà ricredersi. C'é bisogno di persone nelle amministrazioni capaci di fare muro contro le infiltrazioni della criminalità nelle pubbliche amministrazioni e nell'economia. Criminalità che si infila negli appalti e che lucra sulle aggressioni al territorio. Oggi è un bel giorno per Desio, la Brianza e il Nord». L’onorevole Elena Centemero, coordinatrice del Pdl per Monza e Brianza, ha tutt’altra opinione: «Nessuna infiltrazione mafiosa nella Giunta o nel Consiglio comunale di Desio, ma solo ragioni politiche interne alla Lega cittadina, hanno determinato la situazione attuale. Non siamo insensibili alla penetrazione della ‘ndrangheta nel territorio della Brianza, siamo però contro la cultura indiscriminata del sospetto». Giulio Cavalli, attore sotto scorta e consigliere regionale per l’IdV, invece rilancia: «L'ultimo alibi degli strenui difensori del marchio Lombardia d.o.c è caduto pochi minuti fa. Non sono stati necessari blitz del Ministro Maroni: il Comune di Desio (dove, secondo qualcuno, la mafia non esisteva) è caduto sotto i colpi delle dimissioni dei consiglieri di minoranza e di una parte, rinsavita, di quelli della maggioranza: quei 'legaioli' che, pur con l'ormai cronico ritardo, hanno rassegnato le dimissioni determinando la caduta dell'Amministrazione comunale».     

Ad un passo dalla storia  

Intanto da qualche giorno, sul sito internet del Comune di Desio, un laconico comunicato riporta, tra l’altro che «ritenuto che non possa essere assicurato il normale funzionamento degli organi e dei servizi e che sussistano motivi di grave ed urgente necessità per sospendere il Consiglio comunale, il Prefetto ha disposto la nomina della dott.ssa Maria Carmela Nuzzi quale Commissario per la provvisoria amministrazione dell’Ente, con i poteri del Sindaco, del Consiglio e della Giunta e specificato che il Consiglio comunale di Desio è sospeso».

Ad un passo dalla storia e a due passi dall’Infinito. La vicenda che vi abbiamo raccontato si sta trascinando da alcuni mesi, proprio mentre infuriano le polemiche sulla presunta (sic!) presenza delle mafie al Nord, rilanciate anche dalle polemiche tra lo scrittore Saviano e il ministro Maroni. Ci si sarebbe aspettato che proprio questa vicenda venisse passata ai raggi X, invece nulla, di Desio non si è detto o scritto quasi nulla, fino al giorno dello scioglimento. Un’amnesia imperdonabile per i grandi mezzi di comunicazione, in primis quelli lombardi che hanno preferito glissare.

In attesa di capire i contorni dei rapporti tra mafia e politica in questo angolo della Brianza operosa, vedremo se gli altri comuni interessati dalle recenti operazioni di magistratura e forze dell’ordine, potranno raggiungere il triste primato che sembra essere sfuggito per un soffio a Desio: quello di essere il primo comune sciolto per mafia in Lombardia.

di Lorenzo Frigerio

Fonte: Liberainformazione
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INDUSTRIA. ISTAT: PREZZI ALLA PRODUZIONE OTTOBRE - 0,1% + 3,8% MESE OTTOBRE 2009

Nel mese di ottobre 2010, l’indice totale dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali è diminuito dello 0,1 per cento rispetto al mese precedente ed è aumentato del 3,8 per cento rispetto ad ottobre 2009

Secondo i dati Istat, i prezzi alla produzione dei prodotti industriali, a ottobre, sono diminuiti dello 0,1 % rispetto al mese precedente e sono aumentati del 3,8 per cento rispetto ad ottobre 2009. Nel confronto tra la media degli ultimi tre mesi (periodo agosto-ottobre) e quella dei tre mesi precedenti l’indice è aumentato dello 0,3 %.

L'indice relativo ai prezzi dei prodotti venduti sul mercato interno ha registrato una diminuzione congiunturale dello 0,2% e un aumento tendenziale del 4%. Nella media degli ultimi tre mesi l'indice e' cresciuto dello 0,4% rispetto alla media dei tre mesi precedenti. Per i beni venduti sul mercato estero l'indice ha segnato un aumento dello 0,1% in termini congiunturali e del 3,5% in termini tendenziali. Nella media degli ultimi tre mesi l'indice e' cresciuto dello 0,3% rispetto ai tre mesi precedenti.

L'indice dei prezzi dell'insieme dei prodotti industriali (venduti sui mercati interno ed estero) ha registrato, rispetto a settembre, variazioni positive per i beni di consumo, i beni strumentali (entrambi +0,1%) e i beni intermedi (+0,4%) e una variazione negativa per l'energia (-1,5%). Su base annua l'indice e' aumentato dell'1,4% per i beni di consumo, dello 0,8% per i beni strumentali, del 5,4% per i beni intermedi e del 9,4% per l'energia. Nel confronto tendenziale relativo alla media gennaio-ottobre, si registra una variazione negativa per i beni di strumentali (-0,1%) e variazioni positive per i beni consumo (+0,4%), i beni intermedi (+3,1%) e l'energia (+10,3%).

L'indice dei prezzi dei prodotti industriali venduti sul mercato interno ha registrato, in termini congiunturali, variazioni positive per i beni di consumo (+0,1%) e per i beni intermedi (+0,4%), una variazione negativa per l'energia (-1,5%) e una variazione nulla per i beni strumentali. Su base annua, l'indice e' aumentato dell'1,3% per i beni di consumo, dello 0,5% per i beni strumentali, del 5,6% per i beni intermedi e dell'8,2% per l'energia.

L'aumento congiunturale dello 0,1% dell'indice dei prezzi dei prodotti industriali venduti sul mercato estero ha corrisposto a incrementi di analoga ampiezza per la zona euro e per la zona non euro. Il tasso di crescita tendenziale dell'indice complessivo e' pari al 3,5%, mentre gli incrementi di quelli per la zona euro e per la zona non euro sono entrambi pari al 3,6%. Gli indici dei raggruppamenti principali di industrie hanno registrato, in termini congiunturali, aumenti per i beni strumentali e per i beni intermedi (entrambi +0,2%) e una diminuzione per l'energia (-0,7%); per i beni di consumo la variazione risulta nulla.

Fonte: ISTAT


SEI DIPENDENTE UE? L’AUMENTO È GARANTITO STIPENDI FINO 18MILA EURO AL MESE

Mentre in tutta Europa si tagliano le spese, gli stipendi del personale Ue aumentano. Una sentenza della Corte di Giustizia europea difende l'aumento annuale del 3,7% dall'attacco degli Stati membri. Si tratta già di stipendi d'oro: da 2600 a 18mila euro al mese. Intanto l'Irlanda annuncia la manovra correttiva da 15 miliardi di euro per salvarsi dal fallimento.        

In tempo di crisi economica si taglia tutto, ma gli gli stipendi di chi lavora nelle istituzioni Ue aumentano. A deciderlo è niente di meno che la Corte di Giustizia Europea, interpellata dalla Commissione europea dopo il rifiuto degli Stati membri di accordare l’annuale aumento di paga dei dipendenti Ue. Si perché gli stipendi di chi lavora nelle istituzioni Ue aumentano “per legge” ogni anno in base alla variazione del potere d’acquisto negli 8 Paesi più ricchi d’Europa. Per quest’anno l’aumento era stato calcolato del 3.7%, prospettiva che aveva scatenato le proteste e la levata di scudi dei governi nazionali costretti a tagliare tutti i settori di spesa nazionale a causa della crisi economica.        

Nessun imbarazzo da parte della Commissione, che indispettita dalla proposta di alzarsi la busta paga di “solo l’1.85%” aveva interpellato la Corte di Giustizia europea. Proprio l’alta Corte qualche giorno fa si è pronunciata a favore di Bruxelles: gli Stati membri non hanno il diritto di mettere il becco negli stipendi dei dipendenti comunitari. Maliziosamente si potrebbe vedere in questa sentenza un leggero conflitto d’interesse, dal momento che si parla anche delle buste paghe dei giudici della Corte stessa. Infatti la Commissione difende gli interessi di circa 50mila dipendenti che lavorano anche al Parlamento europeo, alla Corte di Giustizia il nuovo servizio diplomatico Ue.       

Inutile dire che si tratta già di stipendi d’oro, visto che si va dai circa 2600 euro lordi per una segretaria ai circa 18mila euro lordi per un capo unità. Cifre che al netto non cambiano più di tanto, visto che i dipendenti Ue godono di un regime fiscale a dir poco agevolato dal momento che non pagano le tasse nazionali ma solo delle trattenute, circa il 25%, direttamente all’Ue. E poi bisogna aggiungere un 16 % d’indennità detta “di espatrio” per il fatto di vivere a Bruxelles, una delle più vive città d’Europa, Strasburgo o Lussemburgo. Senza contare le vantaggiose condizioni di lavoro, le ferie pagate (2 mesi tondi nel 2010 per i dipendenti del Parlamento europeo), rimborsi per visite e spese mediche e tanto altro.          

La bagarre tra Commissione e Consiglio Ue (che rappresenta gli interessi degli Stati membri) è scoppiata lo scorso dicembre, quando il Consiglio ha approvato un aumento del 1.85% invece che del 3.7% per la crisi economica che attanaglia le casse di tutta Europa. Subito il No della Commissione che si è giustificata ricordando che l’aumento previsto si basa su statistiche sul potere d’acquisto dell’anno precedente, quando la crisi non era ancora scoppiata. Sta di fatto che da allora gli stipendi Ue sono rimasti congelati in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia.

A quanto pare il Consiglio ha evocato una clausola nel Regolamento del personale Ue secondo la quale si può mettere mano agli accordi “in caso di serio ed improvviso deterioramento della situazione economica e sociale all’interno dell’Unione” (art 10 allegato XI). Ma un portavoce della Commissione, con non poca faccia tosta, ha risposto che la crisi economica “non è stata improvvisa”. Insomma, una bella scusa.

Adesso bisogna vedere quale impatto la sentenza della Corte avrà sui negoziati tra Commissione e Consiglio, soprattutto visto che l’accordo per il budget 2011 dell’Ue è tuttora al palo. Dopo la rivolta di Gran Bretagna e Olanda, seguite a ruota da Francia e Germania, è stato bocciato senza ricorso l’aumento del 5.9% dell’intero budget comunitario che andrebbe a finanziare non solo il funzionamento dell’Ue ma anche tutti i fondi comunitari destinati agli Stati membri.  

Alla soddisafazione di Michael Mann, portavoce del vice presidente della Commissione Maroš Šefčovič, per il verdetto della Corte, risponde Open Europe , think-tank europea: “Mentre tutti gli Stati stanno tagliando le proprie spese, i contribuenti europei non potrebbero che considerare fuori luogo un aumento degli stipendi Ue”. Proprio in questi giorni il governo di Dublino ha annunciato le misure della manovra correttiva quadriennale da 15 miliardi per salvare l’ Irlanda dal baratro del fallimento: stipendi ridotti per i nuovi assunti nella pubblica amministrazione e licenziamenti per i vecchi; revisione al ribasso delle pensioni pubbliche aumento dell’Iva; tagli al welfare. La Commissione ha comunque annunciato che nel 2012 verranno rivisti i parametri degli stipendi dei propri dipendenti.

di Alessio Pisanò

Mario Monicelli: Il mio cinema fra Mussolini, Sordi e Gorbacëv - micromega-online - micromega

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LA SPIRALE PERVERSA DELLE DELOCALIZZAZIONI

I commenti critici alle recenti dichiarazioni dell’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, in ordine alla scarsa redditività degli stabilimenti Fiat in Italia e alla conseguente necessità delle delocalizzazioni, si sono - per lo più - concentrati sulle capacità gestionali del management dell’azienda e sulla censurabilità di quelle dichiarazioni alla luce dei cospicui finanziamenti pubblici ricevuti in passato da Fiat.
di Guglielmo Forges Davanzati
Si tratta di rilievi condivisibili che, tuttavia, sembrano non tener conto di una considerazione che prescinde dal singolo caso e che può porsi nei seguenti termini: l’accelerazione dei processi di delocalizzazione industriale conferma che il capitalismo contemporaneo è sempre più caratterizzato dalla piena sovranità della grande impresa. Una piena sovranità che si manifesta anche mediante il potere che essa esercita sulle scelte di politica economica e, in particolare, di politica del lavoro[1].

Sono in molti a ritenere che gli assetti istituzionali e decisionali ereditati dal Novecento siano oggi inadeguati e che le norme giuridiche debbano adeguarsi alle ‘nuove’ esigenze di competizione delle imprese nell’economia globale. A ben vedere, si tratta di una opzione ideologica; d’altronde, non sempre ciò che è nuovo è necessariamente meglio di ciò che lo ha preceduto[2].

Schematicamente, le scelte di delocalizzazione vengono ricondotte a due ordini di fattori.

1) Si ritiene che le delocalizzazioni dipendano dall’eccessiva regolamentazione dei mercati, dall’elevato onere burocratico, dall’elevata imposizione fiscale e, più in generale, dalla peggiore ‘qualità delle istituzioni’ del Paese dal quale le imprese migrano. Si tratta di una tesi che non sembra trovare adeguati riscontri empirici. Può essere sufficiente, in questa sede, richiamare l’ultimo rapporto della Banca Mondiale che certifica che, con riferimento ai governi italiani, in una scala compresa fra lo 0 e il 100%, la qualità delle istituzioni italiane (in primis, la continuità governativa) si è ridotta dall’80% del 1996 al 55% del 2009, essendo di gran lunga superiore la qualità delle istituzioni tedesche. Ma, a fronte della migliore qualità delle istituzioni tedesche, le delocalizzazioni sono state più massicce in Germania che in Italia.

2) E’ opinione diffusa che le imprese decidano di delocalizzare se i salari sono più alti nel Paese nel quale operano e più bassi nel Paese nel quale potrebbero migrare[3]. Evidentemente occorre che sussistano le condizioni che rendano possibile la delocalizzazione sul piano tecnico, ovvero che sia possibile investire altrove con costi ragionevolmente bassi. Si consideri, a riguardo, che l’Italia è, fra i Paesi OCSE, quello che ha dato maggiore accelerazione alle politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro (e nel quale i salari medi sono fra i più bassi in ambito europeo) e, contestualmente, che ha sperimentato un’intensificazione dei processi di delocalizzazione in uscita molto significativa, con ben scarsi flussi in entrata.

Quest’ultima interpretazione razionalizza parte del fenomeno. Altri fattori concorrono a determinarlo e, fra questi, è opportuno considerarne almeno due.

a) La quantità e qualità delle delocalizzazioni è significativamente influenzata dall’erogazione di finanziamenti per l’attrazione di investimenti nel Paese ospitante. Il caso della Serbia, in tal senso, è emblematico[4]. Con il Decreto 70/2008 della repubblica serba è stato stanziato un fondo specificamente destinato a questo fine, con la clausola che – per l’erogazione di finanziamenti – occorre tener conto in primis della quotazione in borsa dell’impresa e della sua capacità di trasferire “alte tecnologie” (art.13). Questo dispositivo costituisce una spinta rilevante, per le grandi imprese, a lasciare nei Paesi d’origine le filiere di produzione a bassa intensità tecnologica e, conseguentemente, ad occupare prevalentemente lavoratori con basse competenze o sottoccupati. Ovvero, di norma, lavoratori ai quali viene somministrato un contratto di lavoro a tempo determinato.

b) Le delocalizzazioni possono essere favorite dalla precarietà del rapporto di lavoro non solo nel Paese di destinazione ma anche in quello di partenza. Infatti, la diffusione di rapporti di lavoro precario costituisce una condizione permissiva per la mobilità dei capitali, almeno nel senso che consente all’impresa di non rinnovare i contratti di lavoro nel Paese dal quale intende migrare[5]. Ciò accade a ragione del fatto che, somministrando contratti a tempo determinato, l’impresa non è vincolata a produrre in loco, o comunque lo è meno rispetto al caso in cui vi siano vincoli alla libertà di licenziamento. In quest’ultimo caso, infatti, l’impresa dovrebbe sostenere costi di licenziamento che, in regime di precarietà, non sostiene.

Occorre chiarire che la piena mobilità internazionale dei capitali contribuisce ad aggravare la crisi, in quanto rafforza la concorrenza fra Stati al ribasso dei salari e della spesa pubblica e, dunque, alla caduta della domanda aggregata e dell’occupazione, su scala globale, riducendo i mercati di sbocco e rendendo, conseguentemente, più difficile la realizzazione monetaria dei profitti per le imprese nel loro complesso[6]. E in fine dei conti, per ogni singolo Paese, le politiche di bassi salari, precarizzazione del lavoro e riduzione dei diritti dei lavoratori – oltre a essere socialmente dannose – possono non risultare efficaci nel contrastare le scelte di delocalizzazione e il conseguente aumento del tasso di disoccupazione. E ciò per il possibile innescarsi di una spirale perversa, che va dalla caduta dei salari al ristagno della domanda aggregata interna (a causa della contrazione della domanda di beni di consumo[7]) e può portare al disinvestimento in quell’area e ad ulteriori compressioni salariali[8]. A ciò si aggiunge che, a fronte del calo della domanda, le imprese sono disincentivate ad introdurre innovazioni, generando, per questa via, riduzioni della produttività del lavoro[9].

Le scelte di localizzazione possono essere, dunque, significativamente determinate dall’ampiezza dei mercati di sbocco e dalla dinamica della produttività e, per le cause qui individuate, i bassi salari sono, di norma, associati a bassa produttività. E la reiterazione di politiche di deflazione salariale e di precarizzazione del lavoro non può che accentuare il problema.
_________________________________________________
[1] Si veda, fra gli altri, e con riferimento al c.d. statuto dei lavori, Piergiovanni Alleva, Cosa c’è dietro lo Statuto dei lavori, “Liberazione”, domenica 14 novembre 2010.

[2] Si pensi, a riguardo, al dibattito sulla revisione del dettato costituzione o dello Statuto dei lavoratori: il fine è chiaro, e consiste nel comprimere i diritti dei lavoratori estendendo, nel contempo, gli spazi di discrezionalità delle imprese, dunque il loro potere economico e politico. In tal senso, affermare che i diritti acquisiti dai lavoratori sono oggi non più accordabili significa con ogni evidenza affermare che la crescita economica oggi è necessariamente trainata dall’accumulazione dei profitti (e da bassi salari). Con ogni evidenza, questa proposizione non può considerarsi ‘neutra’, né sul piano etico e tantomeno sul piano dell’analisi economica. Sul tema, si rinvia a A. Bhaduri, and S. Marglin, Unemployment and the real wage: The economic basis for contesting political ideologies, “The Cambridge Journal of Economics”, 1990, 14, pp.375-393.

[3] Si stima, a riguardo, che il rapporto tra la retribuzione di un lavoratore di un paese industrializzato e quella di un lavoratore bulgaro o filippino è di 10 a 1. Questo differenziale è ancora più evidente se, ad esempio, si confronta il costo di un lavoratore di Zurigo con uno di Bombay o Karachi: in questo caso il rapporto è di 26 a 1.

[4] Lo è soprattutto perché, come evidenziato dalla X Indagine sulle imprese manifatturiere pubblicata da Unicredit, le delocalizzazioni delle imprese italiane riguardano per oltre il 50% i paesi dell’Europa a 15, per quasi il 15% i nuovi paesi membri dell’Europa a 27 e per oltre il 27% i paesi asiatici (Cina innanzitutto).

[5] Per una verifica empirica di questo effetto si rinvia a A. Aminghini, A.F. Presbitero, M.G. Richiardi, Delocalizzazione produttiva e mix occupazionale, Mofir working paper n.42, May 2010.

[6] Per una trattazione divulgativa del problema, si rinvia al mio articolo Sciopero del capitale, austerità e bassi salari.

[7] La precarietà del lavoro è associata a bassa domanda aggregata perché comprime la propensione al consumo, in condizioni di incertezza sul rinnovo del contratto di lavoro. Sul tema si rinvia al mio La precarietà come freno alla crescita.

[8] Il che, a sua volta, può spingere le imprese (se internazionalizzate) a vendere all’estero, almeno nei casi in cui i costi di trasporto siano sufficientemente contenuti. Diversamente, non essendovi incentivo ad accrescere la produzione, politiche di bassi salari concorrono a determinare il ‘nanismo’ imprenditoriale che caratterizza la struttura produttiva italiana e meridionale, in particolare. Sulle dinamiche delle localizzazioni di imprese, si rinvia al pionieristico lavoro di Paul Krugman, Increasing returns and economic geography, “Journal of Political Economy”, vol.99, n.3, 1991 .

[9] Cfr. H.Hein and A. Tarassow, Distribution, aggregate demand and productivity growth: Theory and empirical results for six OECD countries based on a post-Kaleckian model, “Cambridge Journal of Economics”, 2009, 34, pp.727-754. Sui fattori che determinano avanzamento tecnico, si rinvia, fra gli altri, a S. Davidson and H.Spong, Positive externalities and R&D: Two conflicting traditions in Economic Theory, “Review of Political Economy”, vol.22, n.3, July 2010, pp.355-372. Stando al ben noto teorema smithiano, la produttività del lavoro cresce al crescere della divisione del lavoro all’interno dell’impresa, che, a sua volta, dipende dall’estensione del mercato. Politiche di riduzione dei salari, riducendo la domanda, riducono – per questa via – la divisione del lavoro e, conseguentemente, la produttività.
di Guglielmo Forges Davanzati

LA UE E GLI “HEDGE FUNDS”: REGOLAZIONE CONTRO L’EUROPA

                                                      di Jean-Claude Paye
Con squilli di tromba, l’Unione Europea ha appena adottato un regolamento di hedge funds per sorvegliare il rischio sistemico che questi fanno correre all’economia. In realtà, come osserva Jean-Claude Paye, la nuova direttiva è un colabrodo che avrà l’effetto inverso a quello per cui è stato creato. Il suo vero obiettivo è di controllare sommariamente i fondi europei,per aprire la porta ai fondi di stato statunitensi che, proprio questi, potranno speculare senza limite a spese degli Europei.

A differenza delle istituzioni finanziarie, banche, assicurazioni, imprese d’investimento che fanno pubblico appello al risparmio, gli hedge funds non hanno controlli specifici. Possono fare pieno uso delle deroghe al regolamento. Tuttavia se i fondi di speculazione non sono la causa dell’attuale crisi, ma piuttosto l’allentamento del credito bancario e la creazione del denaro che questo induce, è finalmente stato svelato il rischio sistemico che gli hedge funds fanno correre a tutto il sistema finanziario. Infatti, per ottenere elevati rendimenti, si è ricorso alla leva finanziari. Prendono in prestito forti somme di denaro dalle banche per compensare la debolezza della loro posta in gioco e producono, in caso di problemi, un effetto moltiplicatore degli squilibri.

Non considerando la possibilità offerta di indebitarsi e di creare bolle finanziarie, l’Unione europea evita di preoccuparsi della questione essenziale. La direttiva sugli hedge funds designa formalmente un capro espiatorio nei fondi speculativi dei quali tuttavia non ne aumenta la sorveglianza ma al contrario ne elimina di fatto la possibilità di controllo delle autorità nazionali.

Una regolazione con l’inganno.

Questo progetto finge semplicemente di esercitare un controllo sugli hedge funds e non costruisce una sorveglianza a livello comunitario. Non stabilisce un passo avanti nella creazione di uno spazio finanziario europeo. Al contrario la direttiva estende il livello nazionale di accreditamento di questi fondi permettendo agli organismi domiciliati in uno Stato membro di avere, senza l’autorizzazione di ogni autorità nazionale, l’accesso all’insieme dei territori nazionali che compongono la UE. Invece dell’effetto annunciato, il testo rinforza la nazione dominante a livello finanziario e quindi la posizione della City londinese che gestisce la maggior parte dei fondi speculativi collocati su suolo europeo.

La direttiva è già presentata come inscritta nella lotta contro i paradisi fiscali, mentre in realtà, tramite la City, apre a questi ultimi la porta dell’Unione europea, senza alcun controllo da parte degli Stati membri , esclusi quelli favorevoli delle autorità inglesi.

La proposta della direttiva AIFM(Alternative Investment Fund Manager) dopo esser stata accettata il 26 ottobre,è stata finalmente votata dal Parlamento europeo l’ 11 novembre 2010. E’ stato chiesto all’assemblea di legittimare un testo quadro che dia poteri discrezionali alla Commissione. La direttiva lascia un grande margine di manovra alla Commissione per determinare o per non precisare i punti cardine della legislazione come il fissaggio dei livelli massimi di leva, le procedure di valutazione, le restrizioni delle operazioni di vendita allo scoperto e questo nel momento dell’applicazione della direttiva, ma anche dopo il suo stanziamento. Si tratta, per il Parlamento, di emettere un assegno in bianco alla Commissione così come “all’auto-regolazione”del sistema finanziario.

Il testo fissa formalmente un quadro europeo per gli hedge funds,creando un”passaporto” che permetta la commercializzazione dei fondi in tutta la UE senza dover ottenere un’autorizzazione in ogni paese. I gestori europei potranno liberamente commercializzare i loro fondi a partire dal 2013. Il passaporto verrà conferito ai paesi offshore nel 2015.Verrà riservato a quei paesi firmatari dell’accordo di cooperazione fiscale e della lotta contro il riciclaggio.

La questione del “passaporto” è stata al centro dei negoziati sulla direttiva AIFM iniziati un anno e mezzo fa tra la Commissione, il Consiglio e il Parlamento europeo.

Il conflitto ha formalmente opposto il Regno Unito, reticente ad ogni forma di regolazione degli hedge funds, alla Francia e al Parlamento della UE.

Un seme di sesamo che dà l’accesso all’insieme del mercato europeo.

Se il passaporto darà l’accesso all’insieme del territorio europeo,dipenderà esclusivamente dalle autorità di supervisione nazionali. Verrà fornito dall’Autorità di supervisione del paese d’origine una volta prestato giuramento, dalla futura Autorità di regolazione comunitaria dei mercati finanziari(ESMA) che sarà operativa ad inizio 2011. L’ESMA gestirà inoltre il registro dei managers dei fondi autorizzati ad operare nell’Unione. Disporrà di un potere di arbitraggio in caso di conflitto tra le autorità nazionali sulla natura e sulle garanzie date dal fondo.

Come ogni piazza finanziaria situata in uno Stato membro, la City di Londra, luogo in cui sono domiciliati il 70-80%degli hedge funds, dipenderà solo dalla struttura di controllo britannico. Così, invece di formare un quadro regolatore europeo, la direttiva favorirà la concorrenza tra gli Stati membri. Nulla impedirà ai gestori di scegliere il loro paese di registrazione in funzione del grado di compiacenza delle autorità nazionali nei loro riguardi.

I gestori dei fondi hanno ora l’obbligo di definire una leva d’indebitamento massimo. Questa informazione viene trasmessa alle autorità nazionali del paese europeo in cui il gestore è registrato. Ma nulla nella direttiva, obbliga quest’ultima ad agire quando la leva viene giudicata eccessiva.

E l’ESMA, il regolatore europeo dei mercati finanziari, non avrà più il potere di costringere l’autorità nazionale a farlo.

La direttiva non si dà dei mezzi per controllare il reale livello d’indebitamento. Orbene, è proprio questo l’origine del rischio sistemico indotto dai fondi speculativi. In effetti, questi hanno pochissimo capitale proprio e lo chiedono massivamente in prestito alle banche. Ne deriva una capacità d’azione moltiplicata sui mercati fuori misura con i loro capitali.

Nei fatti, la direttiva non tocca la leva d’indebitamento. Essa obbliga semplicemente i fondi speculativi a comunicarlo alle loro autorità di controllo senza obbligo da parte di queste ultime di intervenire in caso di problemi.

Si tratta soprattutto di mantenere l’indipendenza dell’insieme del sistema finanziario. Come sottolineato da Guido Bolliger, capo dell’Investment Officer dell’Olympia Capital Management:

“Piuttosto che passare attraverso una direttiva sarebbe stato più semplice costringere l’effetto leva che le banche d’investimento possono assegnare agli hedge funds aumentando il carico di capitale sulla leva accordata nelle operazioni di prime brokerage”.

Il dominio della finanza anglosassone.

Una disposizione dell’accordo si presenta come il mezzo per lottare contro i paradisi fiscali. I fondi speculativi, situati nei paesi che non assicurano uno scambio effettivo d’informazioni, specialmente fiscali, non potranno più essere commercializzati nell’Unione Europea. La questione è importante quando si sa che l’80% degli hedge funds sono collocati nei centri offshore.

Tuttavia, in seguito alle pressioni di Londra, il testo finale limita il campo della direttiva alla commercializzazione detta”attiva”. Questo significa concretamente che nulla impedirà ad un investitore europeo, una banca, una compagnia di assicurazioni, un organismo di collocamento collettivo, di acquistare parti dei fondi situati fuori dell’Unione europea che non otterranno un passaporto europeo per mancato rispetto dei criteri della direttiva. Questa disposizione dà così accesso nel territorio europeo ai capitali collocati nei paradisi fiscali in contatto con la City, come i territori anglo-normanni e le isole Cayman o ad esempio quelli gestiti direttamente dagli Stati Uniti come lo Delaware.

Si tratta di una violazione dello spirito della legge poiché in questo caso nessuna informazione sarà trasmessa alle autorità di regolamentazione che in questo modo non potranno valutare l’esposizione al rischio degli”investitori”europei. Ma si tratta soprattutto di un nuovo abbandono dei paesi membri della UE all’onnipotenza della finanza anglosassone. Questa non è l’occasione ferma per uno stato membro della UE, di depositare un ricorso davanti all’ESMA in caso di controversia con l’autorità nazionale di un paese terzo che potrà modificare il rapporto delle forze.

La direttiva contribuiscesi dunque alla strutturazione dei mercati finanziari rilevata dal G20 nell’aprile 2009 sulla” lotta contro la frode fiscale” vale a dire sulla legittimazione del dominio anglosassone sulla finanza europea. Tuttavia, il primato della City a livello dell’Unione europea per quel che riguarda la gestione dei fondi speculativi è schiacciante( l’80% dell’industria di questi fondi è britannica contro il 5% della Francia)questa potenza deve essere ridimensionata.

I fondi inglesi rappresentano 212 miliardi di dollari, relativamente ad un montante di 1000 miliardi di dollari per quelli situati negli USA, così la piazza londinese appare prima di tutto come il cavallo di Troia degli hedge funds statunitensi.

Traduzione di Stella Bianchi da mondialisation .ca
per italiasociale.net

Jean-Claude Paye è un sociologo.
Ultime opere pubblicate:La fin de l’Etat de droit,ed. La dispoute 2004;
Global War on Liberty,ed.Telos Press

Fonte: ItaliaSociale
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MONTENEGRO, TUTTI GLI AFFARI DEL PRESIDENTE

Siglato l'accordo per l'elettrodotto con l'Abruzzo, nonostante le ombre su Djukanovic

Il pubblico ministero Gennaro Varone, della Procura di Pescara, ha aperto un'inchiesta per vederci chiaro sul mega affare del cavo che porterà energia elettrica dal Montenegro in Italia. In Abruzzo, per la precisione. Non ci sono indagati, ma questa è una storia che non finirà presto.  

La firma posta ieri dal ministro dello Sviluppo Paolo Romani è solo l'ultima tappa di una lunga vicenda iniziata nel 2007. Secondo l'accordo con il governo del Montenegro, un nuovo elettrodotto porterà - a partire dal 2015 - fino a mille megawatt di elettricità in Italia, garantendo alle casse di Roma un risparmio sulla bolletta nazionale fino a 225 milioni di euro all'anno. La parte italiana del consorzio è rappresentata da Terna (con 760 milioni di euro), mentre quella montenegrina da CrnoGorski Elektroprenisni Sistem Ad Cges (con cento milioni di euro) e con il governo montenegrino in qualità di garante. I lavori partiranno nel 2011 e la lunghezza finale dell'elettrodotto sarà di 415 chilometri. Di questi, 390 saranno sottomarini e a impatto zero - secondo i costruttori - mentre i restanti 25 chilometri in superficie, 15 chilometri in Abruzzo, 10 in Montenegro. Quei quindici chilometri sono il primo problema: secondo gli ambientalisti abruzzesi passerà nel cuore del parco nazionale della Maiella, deturpandolo.  

Le polemiche non finiscono qui. A Pescara è nato subito un comitato che si oppone all'opera, ritenendola inutile. I consiglieri comunali dell'opposizione di centrosinistra, spalleggiati da quelli vicini a Fini e da alcune liste civiche, chiedono al sindaco di Pescara e al presidente della Regione Abruzzo di revocare la delibera che, il 3 novembre scorso, ha dato il via libera al protocollo d'intesa con la Terna per l'elettrodotto. La decisione, infatti, non è passata dall'aula del consiglio comunale come previsto dalla legge, ma è stata approvata quasi in segreto. La somma fissata a titolo di compensazione per il territorio è di quattro milioni e 500mila euro. Cifra fissata, secondo le opposizioni, in modo del tutto arbitrario.   L'amministratore delegato di Terna, però, è quel Flavio Cattaneo, già direttore generale della Rai dal 2003 al 2005, molto vicino al premier italiano Berlusconi. Cattaneo promette che il cantiere darà lavoro ad almeno sessanta imprese locali, mentre a regime creerà non meno di duecento posti di lavoro.         

Questo è da verificare, intanto Terna (e Cattaneo) portano a casa un bel colpo. Visto che l'elettrodotto è solo il primo passo di un accordo quadro più ampio tra l'Italia e il Montenegro. La stessa Terna acquisisce il 22 percento della Cges. L'Italferr costruirà la strada ferrata tra Belgrado e Bar, porto montenegrino, l'Enel costruirà una centrale idroelettricha e l'A2A - azienda quotata in Borsa e nata dalla fusione tra le municipalizzate dei comuni della Lombardia - ben quattro. La stessa A2A, considerata uno dei forzieri della Lega Nord e del partito di Berlusconi, si è garantita un posto in prima fila nello smaltimento dei rifiuti nella ex repubblica jugoslava e acquisisce il 43 percento della società energetica pubblica del Montenegro Elektroprivreda.        

Questo è un altro dei passaggi di questa relazione pericolosa tra Podgorica e Roma.
  
Dei 450 milioni italiani investiti nella privatizzazione di Elektroprivreda, una parte, almeno 300, sono stati versati sui conti della Prva Banka, colosso bancario controllato dal fratello del premier del Montenegro, Aco Djukanovic. Nella banca possiede azioni lo stesso primo ministro, Milo Djukanovic e sua sorella Ana. L'istituto è stato salvato dal crack, nel 2008, con una mega finanziamento del governo. L'opposizione in Montenegro è furibonda e parla di operazione "affrettata e poco trasparente", sponsorizzata da Berlusconi e messa in piedi per favorire il potente clan Djukanovic.    

Milo Djukanovic, se si esclude qualche presidente di alcune ex repubbliche sovietiche, è l'unico leader al mondo a essere totalmente identificabile con lo Stato. Poco più che 50enne, si affaccia nelle stanza che contanto della Lega dei Comunisti in Montenegro alla fine degli anni Ottanta. Economista di formazione, diviene delfino dell'allora presidente Momir Bulatovic, con il quale condivide la linea della federazione con la Serbia qualunque cosa accada. Invece, dopo la guerra, emargina Bulatovic e ne prende il posto, diventando un nemico giurato di Milosevic. Almeno sulla carta, perché invece attraverso il trafficante serbo Stanko Subotic intrattiene lucrosi affari con il vecchio presidente serbo, morto in cella all'Aja nel 2006. Proprio in quell'anno, Djukanovic guida la separazione del Montenegro dalla Serbia, uscendo dalla Federazione e regalando l'indipendenza al suo Paese. Nello stesso periodo, però, le procure di Bari e Napoli indagano e individuano in lui il boss del racket delle sigarette di contrabbando. Nel 2005 viene spiccato addirittura un mandato di arresto nei suoi confronti, ma la carica istituzionale lo mette al sicuro dalla galera. 

Il New York Times, a metà agosto, pubblica un'inchiesta dove Djukanovic viene descritto come un affarista senza scrupoli, che gestisce il Paese a uso e consumo del suo clan. Lui nega, come respinge con disprezzo il rapporto di Reporter senza Frontiere 2010 che pone il Montenegro al 104° posto nella lista della libertà di stampa. Secondo Rsf, Djukanovic e i suoi hanno fatto chiudere la bocca ai quotidiani di opposizione Dan e Vjiesti e al settimanale Monitor minacciando multe esorbitanti (fino a 13 milioni di euro) per ''danni morali'' al premier e alla sua famiglia. Il direttore di Dan, Dusko Jovanovic, è stato assassinato a maggio 2004 e il suo omicidio è ancora irrisolto.   

Trasparency International, ong che si occupa di corruzione nel mondo, da un giudizio pessimo del Paese, che pure attira miliardi di euro di investimenti stranieri grazie alla tassazione al nove per cento di tasse e a controlli poco limpidi. Come dimostrano i capitali russi di dubbia provenienza con i quali è stata cementificata la costa e sono stati avviati i cantieri dei porti turistici extralusso. 

Per tutti questi motivi è per lo meno discutibile il rapporto che la politica italiana ha con Djukanovic. Da dire che il primo accordo con il governo di Podgorica per l'elettrodotto porta la firma, nel 2007, dell'allora ministro per lo Sviluppo Economico Pier Luigi Bersani, attuale leader dellopposizione. Gli accordi chiave, però, li ha firmati il ministro Scajola prima e il ministro Romani adesso. Nel mezzo la visita a Podgorica di Berlusconi, accolto come un idolo, che ha pubblicamente espresso la sua amicizia e la sua stima per Djukanovic. Adesso la procura di Pescara indaga, ma le acque dell'Adriatico sembrano un po' più torbide.
di Christian Elia

Fonte: PeaceReporter
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SANITOPOLI, DEL TURCO E GLI ALTRI RINVIATI A GIUDIZIO. PROCESSO INIZIA IL 15 APRILE

ABRUZZO. Stralciate le posizioni dell'avvocato Anello, di Giancarlo Masciarelli, Pace e Trozzi. La competenza territoriale resta a Pescara.

Dopo la chiusura delle indagini e l’incidente probatorio di Vincenzo Angelini quello di oggi è un altro giorno importante per il processo su presunte tangenti nella sanità in Abruzzo.

Oggi, infatti, il giudice per l’udienza preliminare, Angelo Zaccagnini, dovrà decidere quali degli indagati dovrà mandare a giudizio e affronteranno il dibattimento. Tra gli indagati l’ex governatore della Regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco, il suo braccio destro Lamberto Quarta ma anche consiglieri regionali, dirigenti regionali, il parlamentare di Forza Italia, Sabatino Aracu, lo stesso grande accusatore Vincenzo Angelini ex patron di Villa Pini ed altri.

Oggi, dunque, con un’ordinanza che dispone il giudizio il gup potrebbe stilare la lista di quegli imputati per i quali ritiene vi siano sufficienti prove ed indizi per discutere sul merito nel processo.

Alcuni degli imputati però hanno chiesto riti alternativi, come Giancarlo Masciarelli che ha chiesto di patteggiare la pena di tre anni e quattro mesi per questo procedimento e l’altro denominato “Bomba” che risale al 2006 sui fondi Docup elargiti a parenti e amici dalla Fira, la finanziaria regionale, allora capeggiata proprio da Masciarelli.

L’ex governatore di centrodestra, Giovanni Pace, il genero Vincenzo Trozzi hanno invece chiesto il rito abbreviato. Su questi due ultimi aspetti quando deciderà il giudice?

L’incertezza regna, mentre si fanno le ipotesi più disparate. Il codice di procedura penale in materia è chiaro e tassativo: se il gup dovesse disporre il giudizio poi diventerebbe incompatibile per decidere per gli altri indagati che hanno scelto riti diversi.

Per questa ragione più di un avvocato per oggi attendeva la discussione e le decisioni (sentenze) sui riti alternativi.

L’orientamento più accreditato, invece, pare sia quello di emettere un provvedimento unico con il quale il gup dispone il rinvio a giudizio e contestualmente stralci le posizioni degli indagati che vogliono altri riti. In questo modo ci sarà il tempo per chiedere il parere dell’altro gup del processo Fira (Filippo Bortone) sul patteggiamento cumulativo di Masciarelli ed in una udienza successiva si terranno i riti abbreviati.

Se non ci saranno colpi di scena, nello stesso decreto il gup Zaccagnini rigetterà tutte le istanze presentate da alcuni difensori circa la incompetenza territoriale. Nel caso invece ritenga vi sia incompetenza del giudice di Pescara dovrà emettere sentenza e motivarne la decisione.

Intanto nei prossimi giorni il Riesame dell’Aquila dovrà pronunciarsi nuovamente sul rigetto dei sequestri impugnati da Del Turco per il quale la Cassazione ha rinviato per mancanza di motivazione. Si tratterebbe di un errore formale che ha caratterizzato il provvedimento di rigetto che nella parte che riguarda l’ex presidente della Regione non reca la motivazione. Non dunque una nuova decisione ma un provvedimento formalmente perfetto da emanare.

29/11/2010 9.10

DECISIONE ATTESA PER LE 18.

Si è ritirato in Camera di Consiglio poco fa il gup del tribunale di Pescara, Angelo Zaccagnini. La decisione e' prevista per oggi pomeriggio alle 18. Non si esclude, però, la possibilità che slitti a domani mattina. Il gup si pronuncerà, come annunciato, sulla richiesta di rinvio a giudizio a carico dell'ex presidente della Regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco, e degli altri imputati e anche sulla questione della competenza territoriale. Questa mattina l'udienza si è aperta con le dichiarazioni spontanee dell'ex manager della Asl di Chieti, Luigi Conga, che si è dichiarato innocente.

29/11/10 11.17

LA LUNGA ATTESA.

Con mezz'ora di ritardo rispetto a quanto previsto, alle 18,30 è iniziata l'udienza e il giudice Zaccagnini che da circa 45 minuti sta leggendo il dispositivo.

Secondo le prime indiscrezioni non confermate il gup avrebbe deciso che la competenza territoriale resta a Pescara.

Attesa a minuti la notizia più importante della giornata, quella sui rinvii a giudizio dell'ex presidente della Regione Ottaviano Del Turco.

29/11/10 19.28

I RINVIATI A GIUDIZIO

Il gup Zaccagnini ha deciso per il rinvio a giudizio dell'ex presidente della giunta Ottaviano Del Turco e il suo braccio destro Lamberto Quarta e gli altri principali indagati. Il giudice ha ritenuto che vi siano elementi sufficienti per far partire il dibattimento che inizierà il prossimo 15 aprile. Sono state invece stralciate le posizioni degli indagati che hanno chiesto i riti alternativi. Tra questi l'avvocato Anello, Masciarelli, Pace e Trozzi. Il gip si è pronunciato anche sulla competenza territoriale che, come avevamo preannunciato, resterà a Pescara.

29/11/10 19.43

IL DISPOSITIVO DEL GIUDICE

Il giudice rigetta le eccezioni di incompetenza relative al territorio. (Per questo il processo resterà a Pescara, ndr). Inoltre il gup ha dichiarato l’incompetenza del tribunale di Pescara relativamente ad alcune imputazioni degli indagati Gianfranco Martini e Vito Domenici che saranno giudicati a Chieti per il reato di falso. Lo stesso Domenici tuttavia sarà giudicato a Sulmona perche il reato è stato commesso a Pratola Peligna per il reato di concussione. Il gup ha poi stralciato le posizioni per il giudizio abbreviato di Anello, Pace e Trozzi e dispone la separazione (stralcio, ndr) dei procedimenti.

Stralcio del procedimento anche per Giordano Cerigioni e fissa l'udienza camerale per tutti al 10 gennaio 2011.Il giudice ordina la separazione anche per Giancarlo Mascirelli e la trasmissione degli atti di Sanitopoli al presidente del Tribunale che è anche il giudice del processo Fira. I due procedimenti andranno prima riuniti e poi sarà il giudice a decidere se accettare il patteggiamento chiesto da Masciarelli (3 anni e quattro mesi).

TUTTI I RINVIATI A GIUDIZIO

Il giudice dispone il rinvio a giudizio per i seguenti indagati:

Pierluigi Cosenza, Vincenzo Angelini, Luigi Conga, Vito Domenici, Walter Russo, Luciano Di Odoardo, Antonio Boschetti, Marco Penna, Angelo Bucciarelli, Domenica Pacifico, Silvio Cirone, Paride Vittorio, Giacomo Obletter, Gianluca Zelli, Bernardo Mazzocca, Lamberto Quarta, Camillo Cesarone, Ottaviano Del Turco, Francesco Di Stanislao, Mario Romano, Sabatino Aracu, Gianfranco Martini, Mario Tortora, Sandro Pasquali, Giampiero Di Cesare, Paolo Gribaudi, Fabio De Concilio, Villa pini srl

Per la comparizione, udienza 15 aprile 2011 ore 9 a Pescara

Fonte: PrimaDa Noi
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LE SPESE ALLEGRE DELLA REGIONE CAMPANIA. MILIONI DI EURO PER FIERE, SPETTACOLI, SAGRE

Gli ispettori del ministero dell'Economia fanno le pulci alle spese dell'ex giunta Bassolino. Tutto denaro che "non può essere qualificato come investimento"    

Un fiume di milioni di euro per fiere, spettacoli e sagre, impiegati sotto le etichette più qualificanti di “promozione turistica” e “sostegno alle attività agricole”, per aggirare il divieto di impiego dei fondi europei utilizzabili solo per investimenti. Tra le spese allegre della Regione Campania indebitata a livelli record c’è di tutto. Compresi 10.000 euro per il Carciofo di Paestum, 10.000 euro per il Fagiolo di Controne, 10.000 euro per il Tartufo in mostra a Colliano, 24.000 euro per due Sagre del Fungo Porcino a Cusano Mutri (Benevento) e a Castelcivita (Avellino), 10.000 euro per la Cipolla Ramata di Montoro (Avellino) e 171.200 euro per il finanziamento del progetto speciale “Missione sorriso”: una serie di interviste plurilingue ai turisti stranieri per la rilevazione del loro grado di soddisfazione. Immaginiamo alta, se saranno riusciti a fare il giro di tutte le sagre campane per assaggiare i loro prelibatissimi prodotti. Peccato che tutte queste attività “non possono essere qualificate come investimento” scrivono gli ispettori del ministero dell’Economia inviati a Napoli per spulciare i conti della Campania dopo lo sforamento del patto di stabilità deciso dalla giunta uscente del Pd Antonio Bassolino. Gli ispettori per due mesi hanno scartabellato tra delibere e bilanci. E hanno concluso il loro lavoro redigendo una lunga relazione di “condanna” dell’operato degli ex amministratori campani, inviata anche alla Corte dei conti.         

La lista delle spese censurate alla precedente giunta Bassolino è lunga e qui si offre un elenco assai parziale. Ci sono 100.000 euro per gli eventi promozionali durante l’incontro di Coppa Davis a Torre del Greco (l’Italia delle racchette vinse, e tutto finì in gloria) e altri 100mila euro per la Biennale del Mare, 100.000 euro per il Maggio dei Monumenti, storica manifestazione culturale che anima i musei napoletani, e 20.000 euro per il Borgo in Festa a Castevetere, in provincia di Avellino. La rassegna di musica etnica a Summonte (Av) ha meritato 10.000 euro, la rassegna Neapolis un po’ di più, 30.000, mentre 70.000 euro sono finiti nell’organizzazione dei percorsi enogastronomici della Costa del Vesuvio. Per la Notte Bianca di Napoli del 2006, la Regione ha tirato fuori 250.000 euro. Per “Comunicare i vini della Campania”, altri 100.000 euro. Per partecipare alle fiere agro-alimentari estere, nel solo 2006, sono stati spesi 1.248.000 euro. E siccome certe attività vanno ben promozionate tra le testate locali, ecco sbucare 90.000 euro per un piano di comunicazione integrata con il gruppo editoriale “Il Denaro”. E altri 500.000 euro spesi sotto il capitolo “Azioni Promo – Pubblicità e Stampa materiale divulgativo e azioni promozionali nei mass-media”.

Ecco poi 6 milioni e mezzo di euro “investiti” in una serie di manifestazioni catalogate sotto il cartellone “Eventi in… Campania”. Alcuni dai nomi suggestivi, come “Il sussurro delle sorgenti” (200.000 euro) o il “Park to Park” (150.000 euro). Ben 400.000 euro sono andati a “Benevento Città Spettacolo”, 150.000 euro al Festival delle culture giovanili di Salerno, 250.000 euro al Classico Pompeiano, 630.000 euro al Positano Art Festival, 237.000 euro al Capri Film Festival, 750.000 euro per Piedigrotta e 378.000 euro per ‘L’enigma degli avori a Salerno’. Alcune iniziative hanno conquistato il successo di critica e di pubblico, di altre, francamente, si è saputo poco. Attenzione: la Piedigrotta in questione non è quella finita nel mirino dell’Unione Europea, che chiede la restituzione dei 720.000 euro del cachet di Elton John per il concerto del settembre 2009. E’ la Piedigrotta di tre anni prima, e stiamo parlando di una manifestazione che negli anni ’50 rappresentava l’anima verace e popolare di una Napoli che oggi non c’è più, e che in anni più recenti si è cercato di resuscitare.

I contabili del ministero dell’Economia censurano l’impiego di altri 11 milioni e mezzo di euro circa per una nuova raffica di concerti, feste, rassegne. Elenco folto. Guardando qua e là sbucano i 50.000 euro per i Canti Parteni ad Avellino, gli 80.000 euro dell’Estate Musicale Sorrentina, i 50.000 euro della Festa a Mare agli Scogli di Sant’Anna di Ischia, i 160.000 euro per l’ ‘Equinozio d’Autunno’ a San Giovanni a Piro e i 100.000 euro per l’ ‘Arte delle Certose dell’Italia Meridionale’. Manifestazioni di respiro paesano, al massimo provinciale. E’ possibile definirle ‘investimenti’? Gli ispettori dicono di no: di queste cose non resterà nulla, nessun ritorno nel medio e lungo periodo.

Ma la prassi si è ripetuta nel tempo. Ecco quindi altri 3 milioni di euro per la partecipazione alle fiere nazionali e internazionali enogastronomiche del 2007. Di cui poco più di un milione per la sola partecipazione al Vinitaly di Verona. Mentre 880.000 euro, complessivi, si spendono per essere presenti alle fiere di Essen, Berlino, Norimberga, Copenaghen e Bordeaux (per il Vinexpò, in Francia, se ne vanno 300.000 euro). Eppoi gli eventi di quella stagione: 1.000.000 di euro per il Concorso Ippico in Piazza del Plebiscito, e molto si polemizzò sul galoppo dei cavalli nel salotto buono della Napoli che conta. E ancora: 600.000 euro per una mostra sugli Impressionisti a Caserta, 500.000 euro per la Lirica negli Scavi di Ercolano, 600.000 euro per “L’Impero dell’Arte, l’Iran da Dario a Farah Diba” a Napoli, e 320.000 euro per il Festival delle Antiche Repubbliche Marinare ad Amalfi, solo per dirne alcuni. E che dire dei 455.000 euro per l’iniziativa “Vibrazioni e bisbigli” ad Avellino? E i 420.000 euro per il “Litorale Domitio – Un Mare di Energia”? E i 327.888 euro concessi per “Il Filo Ritrovato – tessuti e intrecci dell’Italia Antica’ erogati alla direzione regionale dei Beni Culturali? A leggere questo elenco, il filo non si ritrova, ma si perde. Come l’equilibrio dei conti della Campania: perso anche quello, è scomparso tra i debiti.
di Vincenzo Iurillo
Fonte: il Fatto Quotidiano
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