martedì 23 febbraio 2010

Il sogno di un villaggio Tagiko: mandare la prima ragazza all'università


Mai nella storia del povero villaggio di Kisht, sul confine fra Tagikistan e Afghanistan, una ragazza è riuscita ad andare all'università. Per questo i capi villaggio hanno accolto con entusiasmo il nuovo programma del WFP che aiuterà le ragazze a continuare gli studi. Ora, nutrono la speranza di vedere avverato il loro sogno.

KULYAB - Benvenuti a Shuroobod, dove la povertà regna sovrana, i villaggi sono di fango e paglia e la gente sopravvive grazie a bestiame e orti. C'è poi un altra piaga che affligge questa valle: il traffico di droga dal confine afghano.

L'unico istituto pubblico del paese di Shuroobod è la scuola, un grande blocco rettangolare di cemento che ospita le classi dal primo all'undicesimo livello. In villaggi come questo non ci sono mercati o aziende e la scuola rappresenta il cuore pulsante del paese, crogiulo della confusione e dell’energia sprigionate dai bambini nonostante il loro futuro privo di speranze.

Nel villaggio di Kisht, situato a un pochi passi dal fiume Panji che segue il confine con l’Afghanistan, il preside della scuola Murodali Odinaev è conscio delle pochissime opportunità che avranno i suoi studenti.

Un lento progresso

"L'anno scorso, otto ragazze si sono diplomate. Ma 7 su 8 non hanno continuato gli studi e si sono sposate. Degli 11 ragazzi che si sono diplomati quattro sono andati all'università e tre in un istituto tecnico," dice Odinaev a un gruppo di visitatori del WFP.

"Ma avere 8 ragazze diplomate rappresenta comunque una conquista rispetto all'anno scorso," ha aggiunto. "In passato quasi tutte le ragazze lasciavano la scuola prima delle ultime classi. Non appena finita la scuola dell'obbligo, infatti, i genitori preferivano riportarle a casa per farle lavorare."

La scuola di Odinaev riceve il cibo del WFP per i bambini delle prime quattro classi nelle quali il tasso d'iscrizione e la frequenza degli alunni sono pressocchè perfetti, soprattutto grazie agli aiuti del WFP che vengono utilizzati per preparare una gustosa zuppa di piselli accompagnata a del pane fresco. É nella scuola secondaria che il tasso d'abbandono da parte delle ragazze è più alto, soprattutto a causa della tradizione culturale ed economica della regione.

Odinaev e il capo villaggio Kurbon Sharipov applaudono il nuovo piano d'alimentazione scolastica del WFP in Tagikistan, grazie al quale l'organizzazione distribuirà una razione da portare a casa completa di farina di grano, olio vegetale e sale, a 40.000 ragazze, a condizione che il loro tasso di frequenza a scuola raggiunga l'80 per cento del totale delle lezioni nelle classi superiori. La razione di cibo motiva i genitori a tenere a scuola le loro figlie così da assicurare loro un bagaglio culturale sufficiente ad affrontare il mondo adulto.

La prima ragazza all'università

"Mai, nella storia del villaggio, una ragazza è andata all'università," dice Sharipov. "É arrivato il momento che qualcuno sfati questo tabù!"

Chi è stata più vicina ad iscriversi ad un corso di studi post-liceali è Khatichamo Saidalieva, che ha frequentato un corso di computer dopo essersi sposata, diventando così l'insegnante di informatica della scuola. Purtroppo l'elettricità viene razionata durante il giorno, e ciò non le permette di accendere il computer.

Parvina Fathulloeva, membro dell'associazione parenti-insegnati di Kisht, ha provato molte volte ad entrare all’università. Dopo essersi diplomata, ha ripetutamente fatto domanda per la scuola di medicina, ma, priva del sostegno economico dei suoi genitori, non poteva permettersi i costi d'ammissione. Ora le sue speranze sono tutte rivolte al futuro delle sue due bambine, di 3 e 5 anni.

"A mia figlia la scuola piace moltissimo," dice Parvina. "Chiedo spesso all'insegnante se le mie figlie sono brave e se si comportano bene. Poichè il mio sogno è di vederle andare un giorno all'università."
Fonte: WFP

lunedì 22 febbraio 2010

NUCLEAR HOTLINE

Vuoi far sentire la tua voce contro il nucleare? Chiama il numero gratuito 800.864.884 e lascia il tuo messaggio.

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Roma prima città al mondo con codice contro turismo sessuale


Domani 23 febbraio la città di Roma firmerà il codice di condotta contro il turismo sessuale prendendo parte alla Campagna contro la tratta dei bambini promossa da Ecpat e Terre des Hommes in occasione dei Mondiali di calcio 2010.


ECPAT : Luttons contre le tourisme sexuel

Sono 2.700.000, ogni anno, le vittime di tratta nel mondo. L’80% sono minori. E sono circa ottantamila i viaggiatori giovani, colti, reddito medio, anche padri di famiglia che ogni anno lasciano l’Italia a caccia di sesso proibito. Da questo traffico, le organizzazioni criminali generano un volume d’affari pari a 32 miliardi di dollari.
Un fenomeno che rischia di amplificarsi in occasione dei Mondiali di calcio in Sudafrica, quando migliaia di tifosi visiteranno il paese tra giugno e luglio di quest'anno.

Non possiamo permettere questa gravissima violazione dei diritti dell'infanzia e l'arricchimento illecito di chi gestisce questo osceno mercato. In Sudafrica, Paese che ospiterà i Mondiali di calcio, è prevedibile che tale fenomeno si amplifichi'', spiegano gli organizzatori della Campagna.

Roma, da sempre attenta alla tutela ed alla promozione dei Diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza, ha deciso di aderire alla Campagna Nazionale contro la tratta di bambini promossa da Ecpat e Terre des Hommes e di impegnarsi per prevenire il fenomeno del traffico di minori a scopo di sfruttamento sessuale, prostituzione minorile e turismo sessuale.

La firma del primo documento internazionale contro il turismo sessuale: il codice di condotta contro lo sfruttamento sessuale dei minori nei viaggi e nel turismo è solo il primo passo di questa importante campagna che verrà lanciata il prossimo aprile.

''La condivisione e la firma di questo documento da parte del Comune di Roma, - si legge in una nota - ha l'intento di tutelare i minori presenti sul nostro territorio, ma anche di sensibilizzare tutta la popolazione affinché non si commettano più reati di questo genere non solo in Italia ma anche oltre i confini nazionali. Perché è fondamentale capire l'intensità delle violazioni dei diritti dei bambini per costruire un ambiente che li protegga e dia loro l'opportunità' di crescere''.

Per informazioni:
il sito della campagna Stop trafficking Italia.


domenica 21 febbraio 2010

Contribuenti.it: italiani i più vessati dalla burocrazia fiscale.


"Ogni anno in Italia vengono emanate 62.500 nuove norme tributarie” E' questo il calcolo effettuato da KRLS Network of Business Ethics per conto di Contribuenti.it Associazione Contribuenti Italiani, un dato "che fa balzare l’Italia al primo posto in Europa nella classifica della burocrazia fiscale”.

KRLS Network of Business Ethics è arrivato a questo risultato contando per difetto tutte le norme tributarie, circolari ministeriali, risoluzioni e direttive emesse ogni anno in Italia.

"E’ impossibile per una impresa straniera con stabilimenti nel bel Paese pianificare le imposte in Italia", afferma Vittorio Carlomagno presidente di Contribuenti.it Associazione Contribuenti Italiani “Il fisco italiano cambia le regole del gioco più volte nel corso dello stesso esercizio finanziario mettendo in seria difficoltà coloro che vogliono adempiere agli obblighi fiscali”.

"Dalla elaborazione dei dati – osserva Carlomagno – emerge che la normativa fiscale in Italia nell’ultimo anno è cresciuta più del doppio rispetto agli altri paesi europei”.

Lo studio mette in evidenza che “il fisco lunare italiano” costa 18,3 miliardi all’anno ai contribuenti titolari di partita iva (artigiani, liberi professionisti e le PMI). Una “tassa occulta” di 4.945 euro l’anno.

L'indagine dell’Associazione Contribuenti Italiani ha preso in considerazione tutti i costi per la compilazione della dichiarazione dei redditi, IVA e sostituti d’imposta, degli studi di settore, del calcolo del redditometro, del disbrigo delle pratiche fiscali, del costo per l’acquisto dei software fiscali, della tenuta della contabilità, della trasmissione telematica, della gestione dei crediti fiscali e degli avvisi bonari, delle istanze in autotutela, del contenzioso tributario, degli adempimenti per la privacy e per l’antiriciclaggio e della formazione del personale per gli adempimenti in materia contabile e fiscale.

La burocrazia fiscale costa cara ai contribuenti italiani specialmente se messa a confronto con quella europea.

Ogni contribuente italiano per esercitare una attività economica ha pagato una “tassa occulta”, nel 2009, di 4.945 euro all’anno, contro i 1.320 euro dei francesi, i 1.290 euro dei britannici, i 1.210 euro dei tedeschi, i 1.180 euro degli spagnoli, i 1.080 euro degli olandesi ed i 850 euro degli svedesi.

Inoltre, nel 2010 sono previsti aumenti del 4%, rispetto al 2009, a causa di ulteriori adempimenti fiscali previsti dall’Amministrazione finanziaria, mentre la qualità dei servizi è diminuita del 18%.

La “tassa occulta” della burocrazia fiscale incide sulle aziende in maniera inversamente proporzionale alla grandezza della stessa Per le micro imprese, quelle con meno di 5 dipendenti, costa mediamente l’8,5% del fatturato, per le piccole imprese, con meno di 50 addetti, il 7,4%, mentre le medie, con meno di 250 addetti, il 6,8%.

La classifica del peso della burocrazia fiscale, non avvantaggia le micro imprese neppure quando si parla di numero di adempimenti medi eseguiti ogni anno.

Si va così dagli 9,3 adempimenti per addetto per le micro imprese, ai 5,2 per le piccole imprese fino ai 2,4 adempimenti per addetto per le medie imprese.

L’indagine di Contribuenti.it ha analizzato anche il tempo richiesto dalla burocrazia fiscale, sottratto alla produzione.

In media, si perdono 94 ore, pari a dodici giornate lavorative, per ciascun addetto, nelle micro aziende, per scendere a 81 ore, pari a 10 giornate, per ciascun addetto, per le piccole aziende, a 74 ore, pari a 9 giorni, per ciascun addetto, per le medie imprese.

Per riportare l’Italia in Europa, serve - secondo l’Associazione Contribuenti Italiani – una vera riforma fiscale italiana che deve passare attraverso la semplificazione del fisco con la reintroduzione del concordato preventivo fiscale, già sperimentato in Italia nel biennio 2003/4, che ha dato ottimi frutti, l’esonero dall’emissione dello scontrino fiscale, della tenuta della contabilità e la delega ai Commercialisti dei poteri di accertamento, oggi in capo all’Amministrazione finanziaria, per tutte le imprese già soggette agli studi di settore.

''L'inefficienza della amministrazione finanziaria, l'applicazione spesso cervellotica di leggi, circolari e regolamenti vari - conclude Carlomagno – richiede una svolta epocale. I Commercialisti debbono diventare i Notai delle aziende soggette agli studi di settore, con delega dei poteri di accertamento, lasciando all’Amministrazione finanziaria il compito redigere il concordato preventivo stabilendo le imposte da pagare nel biennio successivo. Saranno poi i Commercialisti, con la certificazione tributaria, ad attestare il regolare assolvimento delle imposte da parte delle aziende, senza la quale non sarà più possibile accedere ai finanziamenti agevolati o a prestiti bancari. Serve una seria riforma fiscale incentrata sulla tax compliance, come avviene da tempo nei principali paesi europei ed un rapporto più equo tra fisco e contribuente''.

sabato 20 febbraio 2010

Per una zootecnia più sostenibile


Il rapporto annuale FAO Lo stato dell’alimentazione e dell’agricoltura analizza i cambiamenti in atto nella produzione animale mondiale.

Circa un miliardo di persone povere dipendono dalla produzione zootecnica per vivere

Occorrono investimenti, ricerca ed una robusta governance per mettere il settore zootecnico in grado di rispondere alla crescente domanda di prodotti animali ed allo stesso tempo contribuire alla sicurezza alimentare, alla riduzione della povertà, alla sostenibilità ambientale ed alla salute umana, afferma la FAO nella nuova edizione di una delle sue pubblicazioni annuali più importanti: The State of Food and Agriculture (SOFA) (Lo Stato dell'alimentazione e dell'agricoltura).

Nel rapporto si evidenzia come la zootecnia sia essenziale per la sussistenza di circa un miliardo di persone povere. La zootecnia fornisce reddito, cibo di qualità, combustibile, forza da tiro, materiale da costruzione e fertilizzante, contribuendo così in modo significativo alla sicurezza alimentare ed alla nutrizione. Per molti piccoli contadini, inoltre, il bestiame rappresenta un'importante rete di sicurezza nei momenti critici.

Ma l'agenzia ONU sottolinea la necessità di investimenti nel settore e di istituzioni più robuste a livello locale, nazionale ed internazionale, per assicurare che la crescita del settore contribuisca a migliorare le condizioni di vita, soddisfi la crescente domanda ed attenui le preoccupazioni per il suo impatto ambientale e per la salute umana.

Vuoto istituzionale

"La rapida transizione del settore zootecnico ha avuto luogo in un contesto di vuoto istituzionale", afferma il Direttore Generale della FAO Jacques Diouf nella prefazione del rapporto. "La questione della governance è centrale. Identificare e definire un ruolo appropriato di governo, nella sua accezione più ampia, rappresenta la base su cui costruire lo sviluppo futuro del settore". Occorrono strategie per assicurare che questo settore in rapida espansione contribuisca davvero e pienamente alla sicurezza alimentare ed alla riduzione della povertà, nella direzione di un settore zootecnico "più responsabile", ha detto Diouf.

Un settore in rapida crescita

La zootecnia è uno dei settori dell'economia agricola che registra la crescita più rapida, si legge nel rapporto FAO. Il bestiame rappresenta il 40 per cento del valore complessivo della produzione agricola e fornisce mezzi di sussistenza e sicurezza alimentare a circa un miliardo di persone. A livello mondiale, fornisce il 15 per cento del totale di energia alimentare ed il 25 per cento delle proteine alimentari. I prodotti animali forniscono micronutrienti essenziali, non facilmente ottenibili da altri prodotti vegetali.

Aumento dei redditi, incremento demografico ed urbanizzazione sono le ragioni trainanti dell'aumento della domanda di prodotti animali nei paesi in via di sviluppo. E le proiezioni FAO indicano che per soddisfarla, la produzione mondiale annua di carne crescerà passando dagli attuali 228 milioni di tonnellate a 463 milioni per il 2050, con la popolazione bovina che si stima aumenterà dagli attuali 1,5 miliardi di capi a 2,6 miliardi e quella ovina e caprina da 1,7 miliardi a 2,7 miliardi di capi.

La domanda sostenuta di prodotti animali offre molte opportunità perché il settore possa contribuire in modo significativo alla crescita economica ed alla riduzione della povertà. Tuttavia, i piccoli allevatori incontrano grandi difficoltà a restare competitivi di fronte a sistemi produttivi intensivi e di vaste dimensioni. Il rapporto avverte: "Un divario sempre più ampio sta emergendo tra coloro che possono profittare di questa accresciuta domanda di prodotti animali e coloro che ne sono tagliati fuori".

La FAO raccomanda che i piccoli allevatori siano aiutati per riuscire a cogliere opportunità dall'allargamento del mercato e nella gestione dei rischi e dei pericoli associati con la crescente competitività, ai quali da soli è difficile far fronte. Strategie rurali di più ampio respiro che creino opportunità occupazionali extra agricole potrebbero aiutare coloro che non riescono ad adattarsi e competere in un settore in fase di grande modernizzazione.

"I governi devono anche riconoscere e proteggere la funzione di rete di sicurezza che svolge la zootecnica per i più poveri".

L'impatto sull'ambiente

Il rapporto evidenzia la necessità di rafforzare l'efficienza nell'uso delle risorse naturali del settore e ridurre l'impronta ecologica della produzione animale. L'obiettivo è quello di assicurare che la crescita della produzione non crei un'eccessiva pressione sugli ecosistemi, sulla biodiversità, sul territorio, sulle risorse forestali e sulla qualità dell'acqua, e non contribuisca al riscaldamento globale.

Mentre alcuni paesi sono riusciti a ridurre l'inquinamento e la deforestazione associati alla produzione zootecnica, molti altri necessitano di politiche appropriate e della capacità di attuarle. Politiche basate sul mercato, ad esempio tasse o canoni per l'uso delle risorse naturali, o pagamenti per i servizi ambientali, potrebbero essere modi per incoraggiare gli allevatori a produrre in modo sostenibile.

La zootecnia può svolgere un ruolo importante sia nell'adattamento al cambiamento climatico che nella mitigazione dei suoi effetti sull'uomo, dice la FAO. Occorrerà sviluppare nuove tecnologie per riuscire a realizzare il potenziale del settore di contribuire alla mitigazione ed all'adattamento al cambiamento climatico mediante migliore capacità di monitorare, segnalare e verificare le emissioni prodotte dal settore zootecnico.

Infine il rapporto FAO segnala come le malattie animali pongano rischi sistemici che vanno affrontati. Poiché continueranno ad emergere nuovi agenti patogeni, il rapporto raccomanda a livello nazionale maggiori investimenti nella salute animale e nella sicurezza igienico-sanitaria delle infrastrutture per ridurre il rischio che malattie animali possano trasmettersi all'uomo. I piccoli allevatori poveri hanno bisogno di essere sostenuti nelle attività di controllo delle malattie animali.

La disparità di genere nel diritto fondiario - Nuovo database della FAO


Un nuovo database lanciato dalla FAO punta i riflettori su uno dei maggiori ostacoli che bloccano lo sviluppo rurale: la grande disuguaglianza tra uomini e donne nell'accesso alla terra.

La base di dati Genere e diritto alla terra, realizzata in consultazione con istituti statistici nazionali, università, organizzazioni della società civile ed altre fonti, offre informazioni aggiornate sulle disparità che esistono tra uomo e donna nel diritto fondiario e nell'accesso alla terra in 78 paesi.

"La disparità nell'accesso alla terra è una delle cause principali dell'ineguaglianza sociale ed economica tra uomini e donne nelle zone rurali. Mette a repentaglio la sicurezza alimentare a livello di nucleo familiare e di comunità, ed ha un impatto sulla sicurezza alimentare nazionale e sullo sviluppo. Questo database offre informazioni vitali per i responsabili politici e decisionali. Sinora è stato difficile centralizzare le informazioni su questo fenomeno", dice Marcela Villarreal, Direttrice della Divisione FAO Pari opportunità ed occupazione rurale.

Questo nuovo strumento informatico, disponibile a chiunque abbia accesso ad internet, offre a governi e a tutti gli altri fruitori un quadro più preciso dei principali fattori sociali, economici, politici e culturali che influiscono negativamente sull'accesso alla terra e sull'applicazione dei diritti fondiari delle donne.

Il database copre le legislazioni nazionali ed il diritto consuetudinario che regolano l'uso della terra, i diritti di proprietà e di successione, i trattati e le convenzioni internazionali, gli ordinamenti fondiarie e le relative istituzioni, le organizzazioni della società civile che lavorano su queste questioni e molte altre statistiche.

Se si cerca per paese, l'utente potrà trovare risposte a domande specifiche su argomenti quali il numero totale dei proprietari terrieri, il numero totale delle donne che posseggono terra ed il numero dei nuclei familiari con donne a capofamiglia. Inoltre, su ogni singolo argomento, si possono fare comparazioni tra due o più paesi.

"Gli organi decisionali hanno adesso a disposizione non solo una fonte completa di informazioni sui fattori che più influiscono sulla disparità nei diritti fondiari del loro paese, ma anche la possibilità di raffrontare situazioni e tendenze del proprio paese con quelle degli altri paesi", fa notare Zoraida Garcia, esperta FAO di Pari opportunità e sviluppo.

"Possono poi utilizzare queste informazioni per decisioni e strategie mirate, ma anche per avere un'idea più chiara dei possibili effetti che queste strategie potrebbero avere per il raggiungimento di una reale partecipazione economica delle donne ed il conseguente miglioramento delle generali condizioni di vita delle comunità rurali", ha aggiunto.

"La FAO ha avuto nel corso degli anni moltissime richieste da parte dei paesi membri e da altre istituzioni della comunità internazionale, che volevano capire meglio in che misura la disparità uomo-donna avesse effetti sulla situazione della proprietà e dei diritti fondiari", spiega l'esperta FAO.

Un segnale positivo è il fatto che i paesi riconoscano la disparità uomo-donna ed i diritti di proprietà della terra come "questioni centrali" nell'agenda dello sviluppo, ha aggiunto Garcia.

Teoria e pratica

Una delle caratteristiche chiave che si evince dal database, continua l'esperta FAO, è l'enorme scarto che esiste tra i diritti formali e la realtà delle situazioni. In molti casi, le costituzioni nazionali riconoscono che uomini e donne hanno lo stesso diritto alla terra, ma poi nella pratica del giorno per giorno la realtà è ben diversa. Spesso questi diritti sono messi a repentaglio da leggi in conflitto tra loro o da pratiche tradizionali ed istituzionali di vecchia data che assegnano diritti di proprietà e di successione ai maschi ed al ramo maschile della famiglia.

Man mano che il database crescerà, incorporerà anche suggerimenti e reazioni da parte degli utenti su come sono state impiegate le informazioni nel dibattito nazionale sull'uso della terra, sulle questioni di genere e sullo sviluppo agricolo e rurale.

Frattamaggiore (NA), "VIDEO SHOCK" del carabiniere investito al posto di blocco

"VIDEO SHOCK" del carabiniere investito al posto di blocco del 18/02/2010 a Frattamaggiore (provincia di NAPOLI) in corso Vittorio Emanuele (nei pressi della stazione) due ragazzi,senza casco, a bordo di uno scooter,non si fermano all'alt del carabiniere e nel tentativo di evitarlo, lo investono. Dopo l'impatto il carabiniere resta a terra ferito seriamente.

Secondo le ultime indiscrezioni i due ragazzi coinvolti nell'investimento del carabiniere sono sottoposti al fermo con l'accusa di tentato omicidio.


Liguria e Veneto apriranno la stagione del volo libero


Come ogni anno il 27-28 febbraio ritorna il Meeting di Monterosso al Mare (La Spezia), nello splendido scenario delle Cinque Terre.

Per l'evento storico del volo in deltaplano e parapendio caleranno in Liguria numerosi piloti; vele colorate si alzeranno in cielo dal decollo ufficiale per atterrare lungo la spiaggia del Gigante.

La manifestazione, accanto alla classica gara di precisione in atterraggio e all'esposizione e laboratorio di aquiloni per bambini, prevede l'irriverente Trofeo Paraculo, la tenzone culinaria Torta in Cielo ed il festoso Carneval Fly.

Una giuria premierà chi atterrando centra uno scatolone, la miglior torta fatta in casa e la maschera più originale in volo.

Con l'obbiettivo dichiarato "superiamo i nostri limiti anche a tavola senza correre rischi al volante", la cena conviviale del sabato sarà chiusa da Š una gita notturna in barca.

Evidente l'intento degli organizzatori di sottolineare l'aspetto più genuino del volo libero, cioè associazionismo ed amicizia non orientatati alla sola conquista di scudetti e primati.

Nel Ponente ligure, a Spotorno (Savona), il 17-18 marzo e 31 marzo 1 aprile, ottava edizione del Festival del Vento. Accanto ad esibizioni di aquiloni, molto pubblico assisterà a parapendio veleggianti nel silenzio, intenti a risalire le correnti ascensionali del Monte Mao.

La parte aerea della kermesse, che ospita anche voli in paramotore e tuta alare, più lanci di paracadutisti, è organizzata dalla scuola Albatros diretta dall'istruttore
Agostino Gurrieri.

Il primo appuntamento agonistico internazionale sarà il tradizionale Trofeo Montegrappa, dal 1 al 5 aprile. Lo scorso anno a Borso del Grappa (Treviso) si sono contati in volo 239 piloti di deltaplano e parapendio, provenienti da 18 nazioni, Argentina e Brasile le più lontane.

Con la concomitante Expò di attrezzature ed accessori per il volo e le molteplici attività collaterali (aquiloni, arrampicata su pareti artificiali, nordic walking, mountain bike, stand gastronomici, voli con istruttore) anche nel 2010 l'affluenza di pubblico sarà conteggiata in migliaia di presenze.

mercoledì 17 febbraio 2010

Negato il diritto al voto ai Boscimani


Cinque comunità di Boscimani che vivono all’interno della Central Kalahari Game Reserve sono state omesse dai registri elettorali delle ultime elezioni del Botswana, avvenute nel 2009. I Boscimani che non hanno potuto esercitare il loro diritto al voto sarebbero oltre 400.

In un’intervista rilasciata al quotidiano Mmegi, il portavoce dei Boscimani Roy Sesana ha dichiarato: “Durante le elezioni, la gente viveva nei villaggi e mentre il resto della nazione andava alle urne, non hanno potuto votare”. La notizia è stata confermata dal Commissariato di Distretto e costituisce solo l’ultima di una lunga serie di violazioni dei diritti dei Boscimani.

Il Presidente del Botswana Ian Khama, che ha prestato giuramento come quarto presidente del paese dopo le elezioni dello scorso anno, ha continuato a prendersi gioco della sentenza emessa dalla Corte Suprema nel 2006. Il processo ha sancito il diritto dei Boscimani a vivere nella loro terra ancestrale, la Central Kalahari Game Reserve, ma il suo governo ha negato loro l’accesso a un pozzo da cui dipendevano per procurarsi l’acqua e, contemporaneamente, ha autorizzato nella stessa riserva lo scavo di nuovi pozzi per gli animali selvatici e ha sostenuto la costruzione di un complesso turistico dotato di piscina.

Khama ha anche descritto lo stile di vita dei Boscimani coma una “fantasia arcaica” e recentemente una donna sudafricana è stata arrestata per aver commentato che il presidente “assomiglia a un Boscimane”.

L‘emarginazione politica dei Boscimani è stata riconosciuta nell’ultimo rapporto sui diritti umani 2008 del Dipartimento di Stato delle Nazioni Unite in cui si legge che i Boscimani “mancano di un’adeguata rappresentanza politica e non sono pienamente consapevoli dei loro diritti civili”. Il rapporto critica il governo anche per la sua “ristretta interpretazione della sentenza della Corte Suprema del 2006”.

L’esclusione dai registri elettorali dei Boscimani rientrati nella riserva, tutti dotati di carta di identità, sono emerse solo recentemente, dopo le dichiarazioni rilasciate da Roy Sesana allo stesso quotidiano in merito al fallimento dei tentativi di negoziare con il governo e il mancato sostegno delle autorità alla costituzione di un loro gruppo di rappresentanza. I Boscimani hanno ora depositato un nuovo procedimento legale contro il governo nel tentativo di riottenere l’accesso al loro pozzo.

“Non sorprende che il governo abbia escluso i Boscimani dalle elezioni” ha dichiarato oggi Stephen Corry, Direttore di Survival International. “Sono stati trattati come cittadini di seconda categoria per anni. Perché il governo dovrebbe dare il diritto di voto ai Boscimani quando non permette loro nemmeno di procurarsi l’acqua?”.

La lunga campagna di Survival per i Boscimani continua.

Afghanistan: civili a rischio durante l'offensiva militare contro i talebani


Dall'inizio dell'operazione Moshtarak, il 13 febbraio, ci sono state almeno 15 vittime tra i civili. Le forze della Nato, quelle afgane e gruppi talebani hanno l'obbligo di prendere tutte le possibili precauzioni per proteggere i civili.

Amnesty International ha chiesto sia alle forze Nato e a quelle afgane che ai gruppi talebani di proteggere i civili durante la vasta offensiva militare nella provincia meridionale di Helmand.

Circa 10.000 civili sono fuggiti dalle zone di conflitto, ma migliaia sono stati invece intrappolati nei combattimenti. Nell'ultimo anno le vittime civili sono state oltre 2400, il numero più alto dal 2001. Con molta probabilità, nel 2010 si assisterà ad azioni militari ancora più pesanti.

Secondo quanto riferito da alcuni sfollati, i talebani hanno tentato di impedire ai civili di lasciare l'area del conflitto e, in alcuni casi, hanno aperto il fuoco proteggendosi dietro di loro.

Nel corso del 2009, secondo le stime dell'Onu, i talebani e altri gruppi antigovernativi si sono resi responsabili dei due terzi dei feriti e delle perdite civili. Nelle loro operazioni, mettono consapevolmente a rischio i civili e questo può costituire un crimine di guerra; secondo il diritto internazionale, i gruppi di insorti devono prendere ogni possibile precauzione per proteggere le vite dei civili. I talebani invocano le leggi di guerra solo quando queste convengono ai loro scopi. Non può essere ammesso il mancato rispetto di queste norme e chi le viola deve rendere conto delle loro azioni.

Anche le forze Nato e quelle afgane devono rispettare l'obbligo di proteggere la popolazione civile. Da quando è iniziata l'operazione Moshtarak (Comando congiunto), il 13 febbraio, le operazioni della Nato hanno già causato la morte di almeno 15 persone nella regione di Marjah e nei dintorni. Dodici di esse, compresi sei bambini, sono morte dopo che due missili hanno colpito un'abitazione situata sulle alture della città di Marja, domenica 14 febbraio. La Nato ha dichiarato che l'accaduto è stato determinato da un missile difettoso.

Gli Usa e la Nato si sono impegnati a rendere il minimo possibile le vittime tra i civili. Ma le forze internazionali e afgane ancora non hanno introdotto un sistema coerente, chiaro e credibile per indagare sulla morte di civili, chiamare a rispondere i responsabili e assicurare che questi episodi non si verifichino più. Questa necessità è ancora più impellente dal momento che altri 30.000 militari stranieri sono stati dispiegati in Afghanistan, apparentemente in vista di una più aggressiva strategia militare.

Amnesty International chiede a tutte le parti coinvolte nel conflitto di assicurare l'assistenza umanitaria ai civili che ne necessitano.

L'operazione Moshtarak, che ha come obiettivo i distretti di Marjah e Nad Ali, nella provincia di Helmand, ha causato la fuga di migliaia di persone da Lashkar Gah, principale città della provincia, così come dalle città di Kandahar ed Herat.

Dall'inizio dell'offensiva militare, secondo il Dipartimento afgano per i rifugiati e rimpatriati, si sono registrati oltre 6000 sfollati dai centri di Marja e Nad Ali. Altre migliaia, tuttavia non sono state ancora registrate perché hanno scelto di stare con la famiglia o presso amici o perché sono esclusi o fuori dalla portata degli aiuti umanitari.

Repubblica Democratica del Congo: Amnesty International chiede di porre fine alla persecuzione dei difensori dei diritti umani


Nella Repubblica Democratica del Congo, i difensori dei diritti umani vengono minacciati e arrestati arbitrariamente dalla forze di sicurezza. Le persecuzioni possono aumentare in vista delle elezioni del 2011: il governo deve proteggerli e garantire il loro diritto alla libertà di espressione.

Amnesty International ha chiesto oggi al governo della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) di proteggere i difensori dei diritti umani dal rischio di essere arrestati arbitrariamente dalle forze di sicurezza e dalle costanti minacce di morte.

L'organizzazione ha diffuso le storie di otto importanti difensori dei diritti umani dell'Rdc, sottolineando il pericolo che la persecuzione ai loro danni possa aumentare in vista delle elezioni del 2011.

"Il governo di Kinshasa deve riaffermare il diritto alla libertà di espressione e assicurare che i difensori dei diritti umani siano protetti dalle minacce, dalle aggressioni e dagli arresti arbitrari. Molti di loro vengono arrestati solo per aver parlato a nome di altre persone" - ha dichiarato Andrew Philip, ricercatore di Amnesty International sull'Rdc.

Golden Misabiko, direttore della sede del Katanga di un'organizzazione nazionale per i diritti umani, è stato arrestato nel luglio 2009 dall'Agenzia nazionale per la sicurezza (Anr) dopo la pubblicazione di un rapporto che denunciava il coinvolgimento di esponenti degli apparati di sicurezza nell'estrazione illegale di uranio altamente radioattivo e di altri minerali dai giacimenti di Shinkolobwe, nella provincia del Katanga.

Dopo quasi un mese di detenzione preventiva, Misabiko è stato condannato a un anno di carcere per "diffusione di false informazioni". Il suo avvocato sta cercando di far annullare la sentenza. Misabiko ha gravi problemi allo stomaco, soffre continuamente di nausea ed è provato dalle durissime condizioni detentive. È stato costretto a pagare delle guardie per poter dormire su un cartone, fuori da una cella sovraffollata e lurida.

Robert Ilunga, attivista di base e direttore di un'organizzazione per i diritti umani di Kinshasa, è stato arrestato dall'Anr nel settembre 2009 e se ne sono perse le tracce per nove giorni, dopo la diffusione di un comunicato stampa in cui si denunciavano le dure condizioni lavorative degli operai di una fabbrica di ghiaia a Kasangulu, nella provincia del Bas - Congo.

L'Anr è il principale organismo responsabile degli arresti e delle intimidazioni ai danni dei difensori dei diritti umani. Amnesty International riceve regolarmente denunce sulle torture praticate nei centri di detenzione dell'Agenzia.

"Il ruolo dei difensori dei diritti umani è fondamentale per attirare l'attenzione sulle violazioni dei diritti umani. L'aumento della persecuzione rende più difficile portare avanti questo importante lavoro" - ha sottolineato Philip.

I dirigenti di quattro organizzazioni per i diritti umani di Lubumbashi, nella provincia del Katanga, ricevono minacce anonime via sms a partire dallo scorso settembre, in concomitanza col lancio della campagna in favore del loro collega Golden Misabiko.

"Non so per quanto tempo riuscirò a sopportare lo stress e la sofferenza mentale causati da queste minacce, ma ogni giorno resisto alla tentazione di tornare a una vita normale con la mia famiglia. Mi rifiuto di essere intimidito al punto da dover sospendere il mio lavoro" - ha dichiarato un difensore dei diritti umani ad Amnesty International.

Grégoire Mulamba, uno dei quattro difensori dei diritti umani che stavano svolgendo la campagna in favore di Golden Misabiko, è stato rapito il 18 ottobre scorso dopo essere uscito dal suo ufficio. Il taxi che doveva riportarlo a casa ha cambiato tragitto. A quel punto, un altro passeggero ha puntato una pistola contro Mulamba e lo ha bendato. Dopo 20 minuti di percorso, Mulamba è stato scaraventato fuori dalla vettura e lasciato in un cimitero alla periferia di Lubumbashi.

Gli altri tre difensori dei diritti umani, Timothee Mbuya, Emmanuel Umpula e Dominique Munongo, sono stati costretti a lasciare Lubumbashi per un mese. Sono rientrati a ottobre per proseguire il loro lavoro, nonostante l'aumento delle minacce di morte.

Le dichiarazioni dei difensori dei diritti umani, secondo i quali le minacce e gli arresti sono aumentati considerevolmente nel corso del 2009, trovano conferma nei rapporti degli osservatori delle Nazioni Unite presenti nell'Rdc.

Nel corso dell'Esame periodico universale cui il Consiglio Onu dei diritti umani ha sottoposto l'Rdc, lo scorso dicembre, alcuni stati hanno espresso preoccupazione per la situazione dei difensori dei diritti umani nel paese. Il governo di Kinshasa ha successivamente dichiarato che avrebbe dato seguito alle raccomandazioni dell'Onu affinché venissero "adottare ulteriori misure per proteggere i difensori dei diritti umani (...), assicurare indagini e procedimenti giudiziari nei confronti dei crimini e delle violazioni ai danni dei difensori dei diritti umani e dei giornalisti e adottare un quadro giuridico efficace per proteggere gli attivisti per i diritti umani secondo quanto prevede la Dichiarazione [delle Nazioni Unite] sui difensori dei diritti umani".

Amnesty International sollecita il governo dell'Rdc a introdurre tempestivamente questi cambiamenti nelle leggi e nella prassi vigenti nel paese.

Acqua: non si utilizzi la riduzione della dispersione nella rete idrica come alibi per la privatizzazione.


La volontà del Ministro Ronchi di combattere la dispersione dell’acqua a causa di una gestione inefficiente è condivisibile, ma la via da intraprendere per contrastare tale fenomeno non può e non deve essere quella della privatizzazione!

A testimoniare l’assurdità di tale situazione è il caso delle province siciliane dove, nonostante la gestione del servizio idrico sia privatizzata, la rete è ancora un vero e proprio “colabrodo” con una dispersione che, in alcuni casi, raggiunge il 53%.

Con l’ipotesi di privatizzazione, inoltre, i costi per rendere maggiormente efficiente la rete verrebbero scaricati sui cittadini che, nelle province in cui la privatizzazione è avvenuta, già pagano estremamente caro tale servizio.

Alla luce di tale questione e delle scuse adottate per motivare la volontà di lasciare la gestione del servizio idrico in preda ad interessi e tornaconti privati, ribadiamo l’iniziativa, già in fase avviata, della raccolta di firme per un referendum abrogativo, in caso di mancata modifica delle norme sulla privatizzazione dell’acqua previste dal Decreto Ronchi.

A tale iniziativa hanno già aderito, a fianco di Adusbef, Federconsumatori e Movimento Consumatori, importanti associazioni della società civile.

Invitiamo pertanto le forze politiche a modificare tale decreto che, oltretutto, rappresenta un vulnus alla partecipazione democratica al processo decisionale. L’intervento su una tematica così delicata e vitale quale l’acqua, risorsa fondamentale, considerata un bene dell’umanità, non può prescindere dalla condivisione e dal coinvolgimento delle forze politiche e dei cittadini.

YEMEN: CAUTO OTTIMISMO DELL’UNHCR PER IL CESSATE IL FUOCO


L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ritiene incoraggiante il cessate il fuoco tra le truppe yemenite e il movimento di Al-Houti nello Yemen settentrionale, il primo dall’agosto 2009, quando si è riacceso il conflitto che dura ormai da sei anni. Il cessate il fuoco è iniziato giovedì scorso (11 febbraio). I precedenti tentativi erano falliti immediatamente. Gli oltre sette mesi di pesanti scontri nella provincia di Sa’ada hanno fatto raddoppiare gli sfollati, portando il loro numero a 250.000.

Come parte del team delle Nazioni Unite in Yemen, l’UNHCR rinnova la sua richiesta di accesso alla provincia di Sa’ada, per permettere alle agenzie umanitarie di fornire il necessario aiuto alla popolazione civile. Si sono già tenuti dei meeting di coordinamento in tale senso.

Gli sfollati e coloro che sono rimasti intrappolati a causa degli scontri hanno urgente necessità di massicci aiuti. Nonostante gli sforzi già in atto, gli sfollati interni che provvedono a se stessi o che sono alloggiati presso le comunità locali stanno velocemente esaurendo le loro risorse. Le persone fuggite da Sa’ada riferiscono che molti di loro sono stati costretti a vendere i loro beni più cari per soddisfare i bisogni primari.

Intanto i tre campi ad Al-Mazrak, nella provincia di Hajjah, continuano a crescere e ospitano ormai oltre 27.000 persone. L’UNHCR continua ad accettare nuovi sfollati presso il campo di Al-Mazrak 3, in cui arrivano anche persone trasferite dal sovraffollato campo di Al-Mazrak 1. Poiché i campi offrono un rifugio sicuro e i servizi di base, molti sfollati interni continuano ad aspettare in accampamenti di fortuna lungo la strada per essere registrati e ospitati nelle tende di uno dei campi.

L’UNHCR in Yemen si sta preparando per un’eventuale ampliamento delle sue operazioni visto che molti sfollati, alla notizia del cessate il fuoco, dicono di voler tornare nelle loro case nel nord del Paese. Come parte della risposta umanitaria delle Nazioni Unite, l’UNHCR sta lavorando a piani di rimpatrio volontario e sicuro degli sfollati interni che saranno discussi con le autorità nei prossimi giorni sempre che la situazione della sicurezza permanga stabile. Come primo passo per rendere eseguibili questi piani, l’UNHCR spera che una missione congiunta delle Nazioni Unite e del governo possa visitare la provincia di Sa’ada il prima possibile. La missione servirà a valutare la situazione e le necessità umanitarie primarie.

L’UNHCR è particolarmente preoccupato per la sicurezza degli sfollati interni che potrebbero decidere autonomamente di fare ritorno a casa, infatti le zone della provincia di Sa’ada dove sono avvenuti i combattimenti sono costellate di mine e ordigni inesplosi. Questo pone dei gravi rischi e l’UNHCR chiede che si applichino tutte le cautele necessarie per evitare qualunque ulteriore e inutile perdita di civili. La rimozione delle mine e degli ordigni inesplosi è un passo necessario prima che possa avvenite un ritorno di massa della popolazione. L’UNHCR è pronto a dare la sua assistenza per il processo di rimpatrio.

L’UNHCR continua però a lamentare gravi carenze di fondi in Yemen e potrebbe essere costretto a ridurre o sospendere le sue operazioni in aiuto dei rifugiati e degli sfollati interni in questo Paese se non riceverà al più presto nuovi contributi.

La parte spettante all’UNHCR dell’appello consolidato delle Nazioni Unite per lo Yemen ammonta a 39 milioni di dollari, ma finora l’agenzia ha ricevuto meno del 3% dei fondi necessari. Questa debole risposta da parte dei donatori è allarmante.
Gli yemeniti sfollati e i rifugiati in Yemen hanno necessità urgente di assistenza internazionale e l’UNHCR si augura che i Paesi di quella regione continuino ad agire spinti dal loro consueto spirito di solidarietà.

NUOVO CAMPO PER I RIFUGIATI SOMALI IN ETIOPIA


Venerdì 12 febbraio l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha iniziato il trasferimento di rifugiati somali dal centro di transito etiope di Dolo Ado, vicino al confine con la Somalia, a un nuovo campo a Melkadida, a circa 65 km di distanza. Il primo convoglio, composto da 11 autobus e due camion che trasportavano i bagagli, ha portato 247 rifugiati che erano fuggiti dalla Somalia centro-meridionale a causa del deteriorarsi delle condizioni di sicurezza e del limitato accesso agli aiuti umanitari. Queste persone fanno parte di un gruppo di 7.000 somali recentemente riconosciuti come rifugiati dal governo etiope con il supporto degli esperti dell’UNHCR.

Melkadida è il secondo campo nell’Etiopia sud-orientale e il quinto del paese ad ospitare rifugiati somali. Il primo, Bokolmanyo, aveva aperto nell’aprile dello scorso anno per dare alloggio a 20.000 rifugiati ha ormai raggiunto la sua capacità massima.

Il terreno su cui è stato edificato il nuovo campo di Melkadida è stato concesso dalle autorità locali. Il campo può ospitare fino a 20.000 rifugiati e l’UNHCR insieme ai suoi partner sta intensificando il lavoro per ampliare le infrastrutture di base, tra cui l’acqua e i servizi igienici, un centro medico, importanti strutture comuni primarie e un centro per minori. E’ inoltre prevista la costruzione di scuole e di altre infrastrutture e servizi.

Dopo l’arrivo a Melkadida i rifugiati trascorrono tre giorni in un’area di accoglienza e poi si trasferiscono nei lotti di terreno loro assegnati. Attualmente sono state montate delle tende d’emergenza nell’attesa che siano terminati gli alloggi permanenti. Ai rifugiati vengono forniti cibo, teli impermeabili, coperte, set da cucina, taniche e zanzariere. Secondo i programmi dovranno essere trasferiti dal centro di transito al nuovo campo 500 rifugiati a settimana.

La regione Somali in Etiopia ospita già oltre 60.000 rifugiati somali in quattro campi - Au-Barre, Bokolmanyo, Kebribeyah, e Sheder. Sono in media 200 al giorno i somali che arrivano in Etiopia e l’UNHCR ha già in programma di costruire nuovi campi vicino a Melkadida.

All’apice della crisi somala dei rifugiati nei primi anni ’90, la regione ospitava 628.000 rifugiati in otto campi. La stragrande maggioranza di quei rifugiati è tornata a casa tra il 1997 e il 2005. A metà del 2005 l’UNHCR aveva chiuso tutti i campi tranne quello di Kebribeyah. Sfortunatamente, a causa del riaccendersi del conflitto e della violenza generalizzata nelle aree centro-meridionali della Somalia, è stato necessario aprire tre nuovi campi in Etiopia nel 2007, nel 2008 e nel 2009.

Dietro a questa crisi c’è una situazione a Mogadiscio per la quale 13.600 persone sono state costrette a lasciare le proprie case solo nelle ultime due settimane a causa degli scontri tra le forze del Governo Federale di Transizione e i gruppi armati di opposizione. Di questi sfollati, solo 8.800 sono riusciti a fuggire dalla capitale, soprattutto verso gli insediamenti di sfollati interni nel corridoio di Afgooye, mentre 4.800 persone sono bloccate in aree relativamente sicure di Mogadiscio, quali Hodaan, Karaan, Wadajir e Dayniile.

Il numero di vittime e di feriti durante gli scontri è allarmante. Sembra che almeno 50 persone siano rimaste uccise e oltre 100 ferite da quando il conflitto si è ulteriormente intensificato la scorsa settimana.


Nel frattempo l’UNHCR sta procedendo alla distribuzione di aiuti d’emergenza, come teli di plastica, coperte, materassi, set da cucina, taniche e panni a 18.000 sfollati nei villaggi nei pressi di Dhussammarebb nella Somalia centrale, dove oltre 28.000 persone sono state costrette a lasciare le loro case a gennaio a seguito del riaccendersi degli scontri fra Alu Sunna Wal Jamma e Al-Shabaab all’inizio dell’anno.

Quest’anno fino ad oggi l’UNHCR ha contato 6.450 nuovi arrivati in Kenya, 2.400 dei quali a febbraio.

Myanmar: Amnesty International, porre fine a repressione contro minoranze etniche


Arrestati, imprigionati e, in alcuni casi, torturati e uccisi: gli attivisti per i diritti umani in Myanmar sono stati presi di mira a seguito di iniziative pacifiche. In vista delle prossime elezioni, le prime degli ultimi 20 anni, le autorità del paese devono fermare la repressione.

In un nuovo rapporto diffuso oggi, Amnesty International ha chiesto al governo di Myanmar di porre fine alla repressione contro le minoranze etniche prima dello svolgimento delle elezioni locali e nazionali.

Il rapporto di 58 pagine, intitolato "La repressione degli attivisti delle minoranze etniche in Myanmar", si basa sulle testimonianze raccolte tra l'agosto 2007 e l'agosto 2009 di oltre 700 attivisti che rappresentano le sette principali minoranze, tra cui i rakhine, gli shan, i kachin e i chin.

Nel periodo preso in esame dal rapporto, gli attivisti che si battono per i diritti umani delle minoranze etniche sono stati arrestati, imprigionati e, in alcuni casi, torturati e uccisi. Nello svolgimento delle loro legittime attività, inoltre, sono stati sottoposti a invadenti forme di sorveglianza, a intimidazioni e a provvedimenti discriminatori.

"Le minoranze etniche svolgono un ruolo importante, anche se raramente riconosciuto, nell'opposizione politica del paese" - ha dichiarato Benjamin Zawacki, esperto di Amnesty International su Myanmar. "La reazione del governo nei loro confronti è molto dura e temiamo che la situazione peggiori con l'approssimarsi delle elezioni".

Molti attivisti hanno raccontato ad Amnesty International di aver subito la repressione del governo quando hanno preso parte a un più ampio movimento di protesta, come avvenuto negli stati di Rakhine e Kachin nel corso della "rivoluzione zafferano" guidata dai monaci buddisti nel 2007. Altri sono stati presi di mira a seguito di iniziative specifiche, come la raccolta di firme contro la costruzione di una diga nello stato di Kachin.

Anche un'espressione apparentemente innocua di dissenso politico viene punita duramente, come nel caso di un gruppo di giovani karenni arrestati per aver fatto navigare in un fiume piccole barche con su scritto "no" (alla bozza di Costituzione del 2008).

"Gli attivisti di Myanmar non si trovano solo nelle regioni centrali e nei centri urbani. Per risolvere l'assai preoccupante crisi dei diritti umani del paese, occorre tenere in considerazione i diritti e le aspirazioni dell'ampia parte di popolazione composta da minoranze etniche" - ha sottolineato Zawacki.

Oltre 2100 prigionieri politici, molti dei quali appartenenti a minoranze etniche, languono nelle prigioni di Myanmar in condizioni deplorevoli. Nella maggior parte dei casi, si tratta di prigionieri di coscienza, condannati solo per l'espressione pacifica delle proprie opinioni.

Amnesty International chiede al governo di Myanmar, in vista delle elezioni, di abolire tutte le limitazioni alla libertà di associazione, riunione e religione, rilasciare immediatamente e senza condizioni tutti i prigionieri di coscienza e consentire ai mezzi d'informazione indipendenti di seguire liberamente lo svolgimento della campagna elettorale e del processo elettorale.
L'organizzazione per i diritti umani chiede anche ai governi dei paesi confinanti con Myanmar, riuniti nell'Associazione delle nazioni del sud-est asiatico e alla Cina, il principale sponsor del paese, di esercitare pressioni affinché il governo di Myanmar garantisca la piena partecipazione della popolazione al processo elettorale e assicuri libertà di espressione e di manifestazione pacifica.

"Il governo di Myanmar dovrebbe guardare alle elezioni come a un'opportunità per migliorare la situazione dei diritti umani e non come a un pretesto per inasprire la repressione contro il dissenso, specialmente quello delle minoranze etniche" - ha concluso Zawacki.

Nel 2010 si svolgeranno le prime elezioni locali e nazionali dopo 20 anni. Le ultime si svolsero nel 1990 e in quell'occasione la maggioranza dei voti andò alla Lega nazionale per la democrazia e a una coalizione di partiti espressione delle minoranze etniche. I militari al potere, che due anni prima avevano stroncato le proteste uccidendo almeno 3000 dimostranti, ignorarono il risultato elettorale e continuarono a reprimere l'opposizione politica. La più nota rappresentante del movimento per i diritti umani, Aung San Suu Kyi, leader della Lega nazionale per la democrazia, ha trascorso in diverse forme di detenzione 15 degli ultimi 20 anni.

Nel 2007 i monaci dello stato di Rakhine diedero vita a un movimento di protesta contro le scelte politiche ed economiche del governo. Le manifestazioni di quella che venne chiamata la "rivoluzione zafferano" si estesero a tutto il paese.

Nel maggio 2008, una settimana dopo che il ciclone Nargis aveva devastato il paese, il governo celebrò un referendum su una bozza di Costituzione. Secondo i risultati ufficiali, il 99 per cento degli aventi diritto si recò ai seggi e il 92,4 per cento dei votanti approvò il testo. La Costituzione, sebbene in teoria consenta una più ampia rappresentanza politica nei governi locali, garantisce ai militari di continuare a dominare il governo centrale.

Le minoranze etniche costituiscono dal 35 al 40 per cento della popolazione di Myanmar e sono la maggioranza nei sette stati etnici. Ognuno dei sette principali gruppi etnici ha lanciato una rivolta armata contro il governo e alcune di queste sono ancora in corso. In questo contesto, Amnesty International ha documentato gravi violazioni dei diritti umani e crimini contro l'umanità commessi dal governo contro i ribelli e la popolazione civile.

Crisi: gli ultimi dati relativi a produzione industriale ed esportazioni (calo di oltre il 20%),

Gli ultimi dati relativi a produzione industriale ed esportazioni confermano la necessità di un intervento molto forte sul potere di acquisto delle famiglie a reddito fisso per rilanciare i consumi interni.

Dopo i dati drammatici di ieri sulle esportazioni (un calo di oltre il 20%), oggi giunge l’ennesima batosta da Finmeccanica, secondo la quale la produzione industriale, nel 2009, è crollata del -27,1%.

Di quali altri dati vi è bisogno per attestare la profonda crisi cui versa l’economia italiana?” – si chiedono Rosario Trefiletti ed Elio Lannutti.

Questo, infatti, è solo il fanalino di coda di una lunghissima serie di dati che delineano una situazione drammatica: dal crollo del PIL (-4,9%) alla caduta verticale del reddito delle famiglie (-1,9% secondo le Stime dell’Osservatorio Nazionale Federconsumatori poi confermate dall’Istat, ma addirittura -3,2% per le famiglie a reddito fisso), dalla contrazione dei consumi (dal-2,5%al 3%) all’aumento impressionante di CIG (+412%) e disoccupazione (+8,5%).

È da oltre un anno che denunciamo tale andamento, oggi, alla luce delle conferme giunte dai più importanti istituti di statistica, chiediamo al Governo delle risposte concrete, dal momento che risulta evidente che la crisi è determinata in larga parte dalla netta contrazione della domanda di mercato e che una eventuale ripresa non può essere ricondotta, come si evince dai dati sull’esportazione, a una variazione positiva della domanda esterna.

È ora di agire a sostegno delle famiglie, rilanciando la domanda di mercato attraverso la detassazione per il reddito fisso da lavoro e da pensione, per almeno 1200 Euro annui e attuando, come promesso, un blocco delle tariffe per il 2010 (anno in cui si prospettano aumenti tariffari per 660 Euro).

Bisogna inoltre intervenire, parallelamente, sul lato sugli investimenti per la ricerca e l’innovazione tecnologica.

Solo attraverso tali operazioni si può intravedere una via d’uscita, una reale ripresa dell’economia del Paese e dei bilanci familiari.

In caso contrario, il 2010 rischia di registrare una crescita pari a zero!

Ferrovie: 2009 anno record di ritardi e di mancati risarcimenti


“Anche noi siamo d’accordo – dichiarano Lannutti e Trefiletti – che il 2009 sia stato un anno straordinario per le Ferrovie. Nel senso che si sono raggiunti primati importanti, sia nei ritardi compiuti dai treni, soprattutto quelli ad alta velocità, sia per i mancati risarcimenti ai passeggeri.”

Infatti, da un lato gli elevatissimi ritardi sono stati imputati a cause di forza maggiore e quindi, a detta di Trenitalia, non risarcibili, e dall’altro lato i ritardi contenuti nell’arco di un’ora non vengono comunque risarciti, a causa di una applicazione scorretta e sbagliata del nuovo Regolamento Europeo.

Sono entrambe questioni da affrontare e risolvere con celerità, pena la messa in moto di azioni di carattere legale, al fine di impedire che i cittadini subiscano danni e beffe da parte di un servizio che, invece, per ristabilire un corretto rapporto di correttezza e di trasparenza con i cittadini utenti, dovrebbe trovare investimenti, soprattutto per il pendolarismo e per i territori meridionali, oltre a quelli per l’innovazione tecnologica e per incrementare la sicurezza.

martedì 16 febbraio 2010

FISCO, CONTRIBUENTI.IT: NEL 2009 L’EVASIONE FISCALE CRESCE DELL’11,5%.


Cresce l'evasione fiscale in Italia, che si conferma primatista europeo con il 51,1% del reddito imponibile non dichiarato.

Nel 2009, l'imponibile evaso è cresciuto del 11,4% rispetto al 2008 ed ha raggiunto l’ammontare di 366 miliardi di euro l'anno. In termini di imposte sottratte all'erario siamo nell'ordine dei 143 miliardi di euro l’anno.

È quanto emerge da un'indagine, diffusa oggi, effettuata da KRLS Network of Business Ethics per conto di Contribuenti.it, l'Associazione Contribuenti Italiani condotta su dati divulgati dalle Polizie tributarie degli Stati europei.

Nella speciale classifica degli evasori, l'Italia è seguita da Romania (42,4% del reddito imponibile non dichiarato), da Bulgaria (39,5%), Estonia (37,1%), Slovacchia (34,5%). In Italia i principali evasori sono gli industriali (32,8%) seguiti da bancari e assicurativi (28,3%), commercianti (11,7%), artigiani (10,9%), professionisti (8,9%) e lavoratori dipendenti (7,4%). A livello territoriale l'evasione è diffusa soprattutto nel Nord Ovest (29,1% del totale nazionale), seguito dal Sud (27,9%), dal Centro (23,2%) e dal Nord Est (20,8%).

Cinque sono le aree di evasione fiscale analizzate da KRLS Network of Business Ethics: l'economia sommersa, l'economia criminale, l'evasione delle società di capitali, l’evasione delle big company e quella dei lavoratori autonomi e piccole imprese.

"Per combattere l’evasione fiscale bisogna ridurre le attuali aliquote fiscali di almeno 5 punti, migliorare la qualità dei servizi pubblici offerti eliminando gli sprechi di denaro pubblico e riformare il fisco introducendo la tax compliance - afferma Vittorio Carlomagno Presidente di Contribuenti.it Associazione Contribuenti Italiani – Serve archiviare al più presto e per sempre la stagione degli scudi fiscali e dei condoni che favoriscono i grandi evasori ed istituire quanto prima, presso tutti gli organi diretti ed indiretti dell’amministrazione finanziaria, Lo Sportello del Contribuente per la lotta all’evasione fiscale.

Acqua pubblica: presentata all'Ue la Carta etica, 20 marzo manifestazione in Italia


Il Cipsi insieme al Cevi e al Comitato italiano per il Contratto mondiale sull’acqua hanno presentato la “Carta Etica della solidarietà internazionale per l’accesso all’Acqua” per orientare le scelte e le politiche per l'accesso all’acqua come diritto umano.

difesa dell’acqua "come bene comune" e la partecipazione democratica e responsabilità dei cittadini alla sua gestione.

"Le indicazioni contenute nel documento – ha spiegato Guido Barbera, Presidente di Cipsi-Solidarietà e Cooperazione – sottolineano con urgenza la necessità di un uso sostenibile di quello che deve essere considerato il bene più prezioso del pianeta. Mentre oggi nel mondo il 12% della popolazione usa e spreca l’85% delle risorse idriche, l’accesso partecipato all’acqua può infatti contribuire al rafforzamento della solidarietà tra i popoli, le comunità, i paesi”.

Tra i principi della Carta, anche in vista della Giornata mondiale dell’acqua del 22 marzo, è sottolineata "la necessità di azioni di informazione ed educazione a livello territoriale per promuovere la cultura dell’acqua come bene comune, azioni di sensibilizzazione verso comportamenti individuali più consapevoli (risparmio idrico), azioni per la definizione consapevole di politiche di gestione delle risorse naturali, sostegno per una gestione pubblica, partecipata e trasparente".

Intanto in Italia, dopo l'approvazione da parte del Parlamento con voto di fiducia del 'decreto Ronchi' (Decreto legge 135/09) il cui art.15 sancisce la definitiva e totale privatizzazione dell’acqua potabile in Italia, il 'Forum italiano dei movimenti per l’acqua' ha inviato oggi a Roma tutte le associazioni per preparare la "Manifestazione nazionale per la ripubblicizzazione dell’acqua, per la tutela di beni comuni, biodiversità e clima, per la democrazia partecipativa" che si terrà nella capitale sabato 20 marzo.

"Mentre la nostra proposta di legge d’iniziativa popolare giace nei cassetti delle commissioni parlamentari - denuncia il Forum - l’attuale Governo - approvando il decreto Ronchi - ha impresso un’ulteriore pesante accelerazione, approvando, nonostante l’indignazione generale, leggi che consegnano l’acqua ai privati e alle multinazionali". "Nella nostra esperienza di movimenti per l’acqua, ci siamo sempre mossi con la consapevolezza che quanto si vuole imporre sull’acqua e in ciascun territorio è solo un tassello di un quadro molto più ampio che riguarda tutti i beni comuni, attraversa l’intero pianeta e vuol mettere sul mercato la vita delle persone" - evidenzia il Forum.

"Il recente fallimento del Vertice di Copenhagen è solo l’ultimo esempio dell’inadeguatezza delle politiche liberiste e mercantili, incapaci di rispondere ai diritti e ai bisogni dell’umanità - sottolinea la nota del Forum. Se il mercato ha prodotto l’esasperazione delle diseguaglianze sociali, la cronicità della devastazione ambientale e climatica, la drammaticità di grandi migrazioni di massa, non può essere lo stesso mercato a porvi rimedio". Analogamente alle battaglie sull’acqua, in questi anni e in moltissimi territori, sono nate decine di altre resistenze in difesa dei beni comuni.

Nei giorni scorsi, p. Alex Zanotelli ha lanciato un accorato appello attraverso il quale ha evidenziato che "questi anni di impegno e di sensibilizzazione sull’acqua, mi inducono ad affermare che abbiamo ottenuto in Italia una vittoria culturale, che ora deve diventare politica".

"Questo è l'anno dell'acqua - scrive p. Zanotelli - l'anno in cui noi italiani dobbiamo decidere se l'acqua sarà merce o diritto fondamentale umano". Il missionario da tempo in prima fila nelle battaglie per la difesa dell'acqua pubblica e dei beni comuni sottolinea quindi che il decreto Ronchi "sarà pagato a caro prezzo dalle classi deboli di questo paese, che, per l'aumento delle tariffe, troveranno sempre più difficile pagare le bollette dell'acqua".

"Ma soprattutto - evidenzia p. Alex - la privatizzazione dell'acqua, sarà pagata dai poveri del Sud del mondo con milioni di morti di sete. Per me è criminale affidare alle multinazionali il bene più prezioso dell'umanità (l'"oro blu"), bene che andrà sempre più scarseggiando, sia per i cambiamenti climatici (scioglimento dei ghiacciai e dei nevai) sia per l'incremento demografico. L'acqua è un diritto fondamentale umano, che deve essere gestito dai Comuni a totale capitale pubblico, che hanno da sempre il dovere di garantirne la distribuzione per tutti al costo più basso possibile".

Padre Alex rilancia quindi l'iniziativa del Forum italiano dei Movimenti per l'acqua pubblica, per un Referendum abrogativo della Legge Ronchi, che dovrà raccogliere, fra aprile e luglio 2010, circa seicentomila firme. "Non sarà un referendum solo abrogativo, - continua p. Zanotelli - ma una vera e propria consultazione popolare su un tema molto chiaro: o la privatizzazione dell'acqua o il suo affidamento ad un soggetto di diritto pubblico".

"Chiediamo a tutti di costituirsi in gruppi e comitati in difesa dell'acqua, che siano poi capaci di coordinarsi a livello provinciale e regionale. Solo un grande movimento popolare trasversale potrà regalarci una grande vittoria per il bene comune. Sull'acqua ci giochiamo tutto, anche la nostra democrazia. Dobbiamo e possiamo vincere. Ce l'ha fatta Parigi (la patria delle grandi multinazionali dell'acqua ,Veolia, Ondeo ,Saur che stanno mettendo le mani sull'acqua italiana) a ritornare alla gestione pubblica. Ce la possiamo fare anche noi. Mobilitiamoci! È l'anno dell'acqua!" - conclude p. Zanotelli.

Fonte: unimondo.org

lunedì 15 febbraio 2010

Salviamo L’Ospedale Santa Lucia: manifestazione martedì 23 febbraio - ore 10.00 - sotto la sede del ministero della salute.

FONDAZIONE SANTA LUCIA: “LA SITUAZIONE NON E’ ANCORA RISOLTA”

Roma 15 febbraio 2010. Dopo l’assemblea pubblica di sabato scorso, convocata dal “Coordinamento Salviamo l’Ospedale Santa Lucia”, e a cui hanno partecipato genitori, utenti, lavoratori, sportivi e il Direttore Generale dell’Ospedale, è stata decisa una nuova mobilitazione sotto la sede del Ministero della Salute per martedì 23 febbraio, ore 10.00 Lungotevere Ripa 1.

La decisione è stata presa alla luce dell’inconsistenza degli atti fino ad ora prodotti dalla Regione Lazio e dal Governo, infatti a tutt’oggi non esiste nulla di scritto che possa mettere al riparo la Fondazione da un’eventuale sospensione delle attività o peggio ancora da una chiusura.

La sentenza favorevole del TAR e la consequenziale sospensione dei licenziamenti ha fatto tirare un sospiro di sollievo, ma la questione del Santa Lucia è tutt’altro che risolta. Infatti- commentano i promotori del Coordinamento Salviamo L’Ospedale Santa Lucia, Mario De Luca e Carlo Di Giusto- la Regione ancora non ha saldato i conti per le prestazioni già erogate dal 2005 al 2008, mentre il Governo non ha ancora prodotto un nuovo decreto in cui si riconosca alla Fondazione l’alta specializzazione come Centro di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico con lo stanziamento delle relative risorse economiche.

Insomma- proseguono Di Giusto e De Luca- dopo un mese dall’occupazione del Santa Lucia la situazione non trova via d’uscita. Con questa manifestazione vogliamo chiedere l’assunzione di responsabilità anche da parte del Governo, visto che la sanità regionale è commissariata, e impegnarlo a produrre un nuovo Decreto che possa risolvere una condizione che rischia di incancrenirsi, mettendo in pericolo la sopravvivenza stessa della Fondazione. “Siamo stanchi - concludono i promotori del Coordinamento- di sentire da parte delle Istituzioni consensi verso l’eccellente lavoro della Fondazione e non veder concretizzate le nostre ragionevoli richieste d’intervento, quindi siamo costretti a tornare in piazza per far sì che il Santa Lucia non finisca nel dimenticatoio politico-elettorale”. “Neanche la questione relativa alla palestra dove ci sono 80-100 utenti tra adulti e bambini in esubero è ancora risolta – dichiara il genitore Melania Fazzino- perché la Regione Lazio non ha ancora provveduto a formalizzare il passaggio tra utenti non residenziali a semi residenziali, passaggio che dovrebbe essere puramente formale”.

Il Coordinamento Salviamo L’Ospedale Santa Lucia
Mario De Luca e Carlo Di Giusto

Per info:06.51501071

Haiti: la pasta d'arachidi combatte la malnutrizione nei campi tendati


Parallelamente alle distribuzioni alimentari generali che hanno raggiunto 2,5 milioni di persone da quando il terremoto ha devastato Haiti, il WFP ha dato inizio a un nuovo programma d'integrazione alimentare. Stiamo distribuendo cibo speciale per evitare che la malnutrizione colpisca 53.000 bambini sotto i 5 anni d'età e 16.000 donne incinte o che allattano.

Port-au-Prince - L'ultimogenito di Christela è nato 2 settimane dopo il terremoto del 12 gennaio, in una tenda fatta di coperte e lenzuola, dove Christela, suo marito e la loro bambina di 4 anni, avevano trovato rifugio. La loro casa a Delmas, periferia di Port-au-Prince, è stata distrutta dal terremoto e ora sono costretti a vivere, insieme a molti dei loro vicini, in un campo per sfollati, nelle vicinanze.

Christela e il suo compagno Ricardo sanno che le condizioni igieniche nei campi sono precarie e che, di conseguenza, la malnutrizione rappresenta un pericolo costante per i bambini. Per questo motivo si sono messi in fila per primi, in attesa dell'arrivo del camion, pronto a scaricare 4 tonnellate di prodotti speciali destinati alle donne incinte o che allattano e ai bambini sotto i 5 anni d'età.

Christela, tenendo ben stretto nella mano il buono che le era stato consegnato il giorno prima, ha ritirato due sacchi di biscotti ad alto contenuto energetico e di "Plumpy", un alimento pronto al consumo contenente burro d'arachidi e confezionato in piccole buste. La pasta d'arachidi aiuterà a mantenere in salute sua figlia di quattro anni, mentre Christela mangerà i biscotti così da rendere nutriente il latte materno con cui sfamerà il suo neonato.

"La nostra casa è stata completamente distrutta," spiega Ricardo mentre entriamo nella loro tenda. "Ma siamo stati più fortunati dei nostri parenti e amici che sono rimasti uccisi. Per le prime due settimane abbiamo vissuto sotto lenzuola e coperte legate a dei pali di legno".

Ora vivono in un accampamento di dozzine di tende bianche allestite in un terreno non lontano da Delmas. Le tende sono state donate da Shelter Box e Rotary International. In determinate condizioni, la vita del campeggio può essere divertente. Ma non certo per le 3 famiglie, 19 persone in totale, raggruppate in una tenda di media grandezza.

"La cosa peggiore è non avere né una stanza né un attimo di privacy, per non parlare della mancanza di soldi. Ero solito guadagnare facendo lavori manuali occasionali ma oggi il lavoro è un sogno lontano".

La tenda e il telone che copre l'area per cucinare contiene tutto quello che le famiglie sono riuscite a recuperare delle loro case crollate: vestiti, piatti e pentole. Vivono con ciò che sono riusciti a comprare al mercato oltre che delle razioni di riso del WFP (25 chili a famiglia).

Ricardo ammette che non ha idea di quale futuro spetterà a lui e alla sua famiglia. Molto dipenderà del governo e delle agenzie umanitarie internazionali, ci dice.

"Comunque, questi biscotti e bustine di Plumpy fanno la differenza per i nostri bambini". dice Christela, mentre posa insieme ai suoi figli, per una foto di famiglia.

Fonte: WFP

La sesta w, incontro alla libreria Rinascita per parlare di giornalismo e web


L'incontro sulla sesta w è organizzato da Le Rane (lerane.wordpress.com) insieme a Oltre Le Righe e Rinascita Con la collaborazione di Agora Vox Italia, Terra, Novamag, Giornalisti nell’Erba, Shockdom, Giornalisti Narranti.

Le cinque dabliu (WHO, WHAT, WHEN, WHERE, WHY) sono uno schema irrinunciabile del giornalismo.

La sesta dabliu, il web, propone ora nuove regole, suggerisce una comunicazione diversa, condivisa, partecipata, dove l’utente può essere, insieme, il lettore e il media e dove l’informazione è stimolo per l’azione. Dal popolo viola allo sciopero dei migranti: come new media e social network cambiano il giornalismo.

Ne discutono con il pubblico Alessandro Gilioli (L’espresso, blog Piovono Rane), Filippo Rossi (direttore Farefuturo web magazine), Giuseppe Smorto (condirettore Repubblica.it), Arturo DI Corinto (CATTID Università La Sapienza di Roma), Francesco Piccinini (direttore Agoravox Italia), Stefania Ragusa (presidente Movimento 1° Marzo 2010 – sciopero dei migranti).

L’incontro sarà moderato Alberto FIORILLO ed Elisabetta GALGANI.

P.S. la sesta w si tiene lunedì 22 febbraio 2010 - ore 18 – alla libreria Rinascita di viale Agosta 36, Roma. Per confermare la partecipazione all’evento si può cliccare su “sì parteciperò” in questa pagina di facebook.

Fonte: le rane
@info: laranastanca@gmail.com

sabato 13 febbraio 2010

Roma. Secondo arresto dei Carabinieri in due giorni per carte di credito clonate


I Carabinieri di Ostia hanno assestato un altro colpo alle truffe telematiche ed ai raggiri con l'uso di carte di credito clonate.

L'indagine condotta dai Carabinieri della Stazione di Ostia Antica ha avuto origine dall'arresto di un cittadino romeno che l'altro ieri era stato sorpreso in flagranza, mentre tentava di effettuare dei prelievi fraudolenti da un bancomat in Ostia, via delle Gondole, servendosi di una decina di carte di credito clonate che aveva al seguito.

Nelle ore successive a quell'arresto, i miliari dell'Arma hanno estrapolato tabulati di prelievi e visionato i filmati registrati dal circuito di sicurezza del bancomat, accertando che l'uomo arrestato aveva avuto sicuramente un complice.

Questa notte, quindi, i Carabinieri, in abiti civili, hanno eseguito una serie di appostamenti nei pressi del bancomat preso di mira dai clonatori.

Poco dopo la mezzanotte è stato notato un uomo il cui atteggiamento nei pressi dello sportello è apparso sospetto: i militari hanno lasciato che eseguisse il prelievo bloccandolo immediatamente dopo.

Si tratta di un cittadino romeno di 38 anni, pregiudicato, in Italia senza fissa dimora. Durante la perquisizione, lo straniero è stato trovato in possesso di tre carte di credito risultate clonate.

venerdì 12 febbraio 2010

Nuclear Lifestyle

http://www.greenpeace.it/nuclearlifestyle/decalogo-antinucleare.pdf

Nuclear Lifestyle

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Somalia: nuovi scontri. In migliaia fuggono da Mogadiscio


Gli scontri tra le forze governative e la milizia Al-Shabaab nella capitale somala Mogadiscio stanno costringendo migliaia di persone alla fuga. Circa 24 civili sarebbero stati uccisi e altri 40 feriti durante l’ultimo combattimento iniziato lo scorso mercoledì.

Alcuni dei residenti hanno iniziato a fuggire da Mogadiscio qualche giorno prima avendo avuto notizia di un grosso assembramento militare e di una probabile offensiva del governo contro i gruppi armati di opposizione che occupano alcune zone della città. Dall’inizio di febbraio, oltre 8.000 persone hanno lasciato la città per sfuggire ai combattimenti che infuriano in varie zone, soprattutto nei sobborghi settentrionali di Haliwaa, Yaaqshiid e Wardhiigleey. Molti si sarebbero diretti verso aree della città relativamente sicure o verso il corridoio di Afgooye, dove si stima siano presenti già 366.000 sfollati dei precedenti conflitti. Il corridoio, che si estende per 30 km a est di Mogadiscio, ha una delle maggiori concentrazioni di sfollati del mondo.

Più di 250.000 civili sono stati costretti a lasciare Mogadiscio dal maggio 2009, quando i gruppi armati di opposizione hanno sferrato i primi attacchi mirati a spodestare il nuovo governo di transizione.

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) è estremamente preoccupato per l’escalation di violenza nella Somalia centro-meridionale e nella capitale che sta causando movimenti forzati su larga scala ed enormi sofferenze umane. L’UNHCR chiede alle parti in causa nel conflitto di rispettare il diritto umanitario internazionale, le cui violazioni sono state la maggiore causa di movimenti forzati nella capitale e in altre aree lo scorso anno.

L’UNHCR sta affinando le procedure di intervento per distribuire aiuti d’emergenza alla popolazione colpita, in modo da poter agire non appena la situazione della sicurezza lo permetterà. Attualmente l’accesso dell’UNHCR, come di altri operatori umanitari, è impedito dal conflitto.

La Somalia è uno dei Paesi che generano il maggior numero di sfollati nel mondo. Ha un milione e 400mila sfollati interni, mentre oltre 560.000 somali vivono come rifugiati in paesi confinanti e vicini.

Salute. Sequestrati dai Nas 90 tonnellate di Latte e formaggi irregolari


Alcune recenti operazioni di servizio dei Carabinieri dei NAS di tutta Italia pongono l'accento sull'esigenza di mantenere alta la guardia nel comparto della sicurezza alimentare, al fine di tutelare il consumatore da frodi commerciali e da pericoli per la propria salute.

Oltre 12.000 litri di latte vaccino crudo, destinato ad alcuni caseifici della zona, sono stati invece sequestrati dai Carabinieri del NAS di Potenza in un centro di raccolta latte della provincia di Matera, il cui titolare continuava a gestire il deposito nonostante già da diversi anni il competente ufficio regionale gli avesse revocato il riconoscimento comunitario. Tale provvedimento di revoca è stato conseguente ad una richiesta dello stesso titolare, evidentemente avanzata al fine di sottrarsi ai controlli normalmente previsti per coloro che svolgono attività connesse con la produzione di alimenti di origine animale. I militari hanno posto i sigilli anche all'intera struttura, il cui valore ammonta a 150.000,00 Euro.

Sono 630 invece le forme di formaggio (per un peso totale di oltre 1 tonnellata), detenute in pessimo stato di conservazione, sequestrate dai militari del NAS di Lecce in un caseificio di quella provincia; il prodotto caseario era stoccato su tavole in legno grezzo, all'interno di 2 locali non autorizzati, non intonacati, assolutamente inidonei alla conservazione di alimenti, vista anche la presenza di escrementi di roditore diffusa nell'ambiente e sulle forme, e per questo immediatamente chiusi dalla competente Autorità Sanitaria.

Particolarmente grave la situazione emersa a seguito dell'ispezione eseguita in un caseificio della provincia di Bari dai Carabinieri del NAS del capoluogo pugliese, che nei giorni scorsi hanno scoperto una struttura, precaria ed in pessime condizioni igieniche, con una copertura in lamiera che non impediva lo sgocciolio dell'acqua piovana, nel cui interno venivano stoccati formaggi resi dalla vendita, oltre a semilavorati per la produzione di formaggi; altre materie prime (panna, cagliata, etc.) erano depositate, a temperatura ambiente (pertanto superiore a quella consentita), all'interno di un semirimorchio ubicato nel piazzale dell'azienda. Nei locali del caseificio è stata inoltre scoperta una confezione contenente una sostanza anonima, che alle analisi è risultata essere "perossido di benzoile", un prodotto la cui detenzione è assolutamente vietata nelle produzioni alimentari in quanto, utilizzato in cosmesi come sbiancante per denti e per il trattamento dell'acne, potrebbe essere impiegato per sofisticare il formaggio, rendendolo di un colore particolarmente chiaro ed "allettante" per il consumatore Denunciato il titolare del caseificio e sequestrati 5 tonnellate di prodotti caseari, per un valore di 100.000,00 Euro, nonché 13 kg dell'additivo illecito, per il quale sono in corso ulteriori accertamenti.

Proprio sul settore "latte e prodotti caseari" si è incentrata nell'ultimo mese l'attenzione dei NAS, che, nei confronti di caseifici e strutture di produzione e vendita , hanno effettuato 798 controlli, rilevando 208 attività condotte in modo non conforme alla normativa. Sono 256 le persone segnalate alle competenti Autorità Giudiziarie, Sanitarie ed Amministrative, e 25 le strutture chiuse o sequestrate dai Carabinieri dei NAS, che hanno posto sotto vincolo anche latte e prodotti caseari per circa 90 tonnellate ed un valore di oltre 700.000 Euro.