mercoledì 29 dicembre 2010

EURISPES: BAMBINI E ADOLESCENTI DISORIENTATI E SEMPRE PIÙ SOLI NELLA SOCIETÀ DELLE CRISI

Cosa significa essere bambini e adolescenti ai nostri giorni? I cambiamenti intervenuti a modificare i modelli sociali, la cultura e l’economia negli ultimi anni, soprattutto in relazione alla massiva presenza di nuovi strumenti tecnologici e di comunicazione, hanno in buona parte ridefinito i concetti dell’infanzia e dell’adolescenza. I mutamenti nelle strutture familiari, i rapidi avanzamenti tecnologici, la grave instabilità economica hanno influito profondamente sul modo in cui i bambini e gli adolescenti vivono, sulle sfide che si trovano ad affrontare, sul modo in cui sono accuditi, educati, aiutati a crescere, sulla speranza con cui possono guardare al futuro.

Nelle nostra società non si fa che parlare di bambini e adolescenti, dei loro diritti, della necessità di promuovere la loro partecipazione attiva alle scelte che li riguardano, anche di tipo politico e amministrativo. Tuttavia nessuna azione o iniziativa concreta e di qualità sembra seguire al dibattito, che si è fatto ormai sterile e ripetitivo.

Quando si concede realmente ai bambini il diritto di parola e contemporaneamente si riconosce loro il fondamentale diritto all’ascolto, il quadro che emerge costringe gli adulti - amministratori tra i primi - ad una seria riflessione sulle proprie responsabilità. In un certo senso, potremmo dire che le parole dei bambini mettono nell’angolo gli adulti. Svelando che il re è nudo.

Non si tratta, banalmente, di individuare dei responsabili o di suscitare sensi di colpa: è sotto gli occhi di tutti come gli stessi adulti siano affannati, disorientati, in crisi – non solo nel proprio ruolo genitoriale – di fronte ad un contesto sociale che con i suoi mutamenti li costringe a riformulare aspettative, a riadattare stili di vita, a ricostruire il proprio avvenire in termini personali e professionali. Non è un caso che nella maggior parte delle famiglie italiane la scelta della genitorialità avvenga sempre più tardi, sia spesso limitata ad un solo figlio e, in molti casi, prevalga la rinuncia, per quanto sofferta. La scelta di un figlio all’interno di contesti familiari sempre più parcellizzati, in reti sociali sempre meno supportive, scoraggia i più, in quanto difficilmente sostenibile.

La sfida è invece quella di rispondere concretamente ai bisogni dei bambini e degli adolescenti, con un impegno che non può essere, ovviamente, demandato a singoli - non importa se individui o istituzioni - ma congiunto e composto di un piano integrato di azioni a più livelli: istituzioni ed enti locali ma anche comunità, scuole e famiglie.

Le famiglie non possono occuparsi dei figli se non adeguatamente sostenute da politiche che realmente favoriscano il progetto genitoriale, dalla scuola, e dalle altre istituzioni educative. Con rammarico constatiamo come le risposte ai bisogni dei bambini e degli adolescenti continuino ad essere frammentate e poco incisive: non ci riferiamo solo a cyberbullismo, rischi di Internet o pedofilia.

Parliamo di questioni più ampie, che rischiano di compromettere le fondamenta del benessere dei bambini e degli adolescenti: la promozione delle competenze genitoriali ed il sostegno alla genitorialità, il contrasto all’isolamento dei nuclei familiari più problematici, lo sviluppo di un chiaro progetto educativo nelle scuole, la facilitazione dell’integrazione dei bambini stranieri, la riduzione dei fattori di rischio ambientali, dei traumi e delle altre condizioni che possono accrescere i livelli di disadattamento e malessere dei bambini e degli adolescenti.

Si ripete da anni che i bambini sono il nostro futuro, quando è evidente che le logiche che muovono le singole Amministrazioni sono a breve termine. Ciò è ancor più vero in una società quale quella odierna che stenta ad intravvedere e progettare un domani possibile.

Coerentemente con lo scenario appena tratteggiato, nell’indagine realizzata quest’anno – grazie al prezioso contributo offerto dalle scuole che vi hanno preso parte su tutto il territorio nazionale e da 3.100 studenti, dai 7 ai 19 anni di età, delle scuole primarie e secondarie – si è dato ampio spazio al tema della famiglia con uno sguardo alla crisi che la attraversa e ai fattori che incidono sulla possibilità di svolgere la sua funzione educativa.

In questo senso, abbiamo ritenuto importante guardare alla crisi economica - e ai suoi inevitabili strascichi nonostante i segnali di ripresa - con gli occhi dei figli, cercando di capire se e in che modo questa abbia influito su ruoli e compiti genitoriali, rendendoli più gravosi di quanto fossero fino a qualche anno fa, e sul generale clima familiare.

Un adolescente su quattro del campione intervistato dichiara che la propria famiglia è stata colpita dalla crisi economica. Quando poi si chiede ai ragazzi di illustrare la condizione di amici, parenti o conoscenti, il dato si fa ancora più drammatico: la maggioranza assoluta, infatti, corrispondente al 52,3% degli adolescenti, dichiara di conoscere altre famiglie che hanno risentito dalla congiuntura economica negativa.

Quali, allora, gli effetti della crisi economica sul benessere di adulti e bambini? Gli adolescenti dichiarano che le famiglie devono stare più attente per arrivare a fine mese, che hanno ridimensionato le spese per cibo e vestiti. Quasi metà del campione dichiara che la sua famiglia è stata più attenta alle spese extra. Ancora, un adolescente su quattro dichiara che i propri genitori nell’ultimo periodo sono diventati più nervosi. E, dato ancora più interessante, oltre la metà del campione ammette di essere più nervoso che in passato, mentre circa un adolescente su tre litiga più spesso con i propri genitori. Il nervosismo e la conflittualità all’interno del contesto familiare non aiutano i bambini a crescere sereni.

Bambini sempre più soli? I rapporti con i genitori sembrano caratterizzarsi per una marcata ambivalenza. Da un lato cresce la solitudine, il dialogo si riduce spesso ad un’occasione mancata e la condivisione di pensieri, emozioni, interessi e attività divengono sporadici quando non inesistenti. I bambini, ad esempio, riferiscono di raccontare ai genitori episodi relativi alla vita scolastica (72,2%), ma di rado parlano delle proprie paure (35,2%) o aspirazioni (38,2%).

Gli adolescenti, invece, nel 46,5% dei casi hanno un dialogo assente (5,1%) o assai sporadico (41,4%) con i genitori. Pochissimi parlano apertamente con gli adulti di paure (27%), questioni sentimentali (12,8%) o sessualità (8,9%). Se nel caso del periodo adolescenziale il silenzio è riconducibile ad momento di crescita nel quale il rapporto con gli adulti si modifica e nasce il bisogno di creare le basi per la propria individualità, per i bambini questo dato induce a riflettere sulle difficoltà incontrate dai genitori nell’avvicinarsi al mondo dei ragazzi, nel comprenderne il linguaggio, o anche solo nel ritagliarsi spazi di incontro e condivisione. Eppure, e qui emerge l’ambivalenza, i bambini e gli adolescenti temono più di ogni altra cosa - più delle catastrofi naturali, più della paura di ritrovarsi in condizioni di indigenza, di non trovare in futuro un lavoro oppure l’amore - di deludere i genitori.

A fronte di evidenti difficoltà nell’individuazione di momenti di dialogo, se si sposta l’attenzione sulle questioni materiali, come gli acquisti o il ruolo svolto dagli oggetti all’interno delle relazioni familiari, il modello sembra essere sempre più “bimbocentrico”. Il genitore, per quanto limitate siano le risorse economiche, sembra preoccuparsi soprattutto della rispondenza tra desideri materiali dei figli e soddisfazione degli stessi, in una tendenza all’accumulo di oggetti e di beni con i quali riempire lo spazio fisico e mentale dei bambini e degli adolescenti.

Questo tentativo degli adulti di rispondere, sempre e comunque, alle richieste dei figli, di fatto, alimenta la presenza sui mercati di prodotti sempre più a misura dei baby e young consumer. Non sorprende, allora, constatare che attorno ai desideri dei bambini e degli adolescenti si muova un giro d’affari fiorente che, rispetto ad altri settori, non conosce crisi: l’infanzia e l’adolescenza si sono trasformate in un vero e proprio business.

Come accennato, i mercati, soprattutto quello delle nuove tecnologie, individuano oggi non solo negli adolescenti ma anche nei bambini un target specifico di grande interesse e dalle potenzialità ancora non del tutto sfruttate. Alcune compagnie telefoniche hanno lanciato sul mercato modelli di telefonino semplificati per i bambini. La moltiplicazione dei canali televisivi ha comportato anche un’offerta inedita di canali tematici rivolti all’infanzia e all’adolescenza. È in costante aumento l’offerta di videogiochi, in particolare quelli online; e aumentano i portali web dedicati a queste due fasce d’età.

Chi è bambino oggi guarda con familiarità a new media e moderne tecnologie, ne apprende rapidamente e con facilità l’utilizzo: del resto, pc e Internet sono sempre più presenti nelle case delle famiglie, i cellulari sono oggetti di uso quotidiano, i canali digitali e quelli satellitari hanno già raggiunto una diffusione capillare, i lettori Mp3 hanno praticamente soppiantato i vecchi cd e la lettura digitale si sta rapidamente diffondendo accanto a quella di libri, riviste e giornali. Quasi tre bambini su quattro giocano abitualmente con le consolle per videogiochi, sempre più sofisticate e con un’offerta multiprodotto. Se nel 2009, il 41,1% dei bambini di 7-11 anni non giocava con le consolle, ad un anno di distanza la quota è scesa al 25,8%. I “nativi digitali” sono quindi naturalmente votati a condividere la quotidianità con le tecnologie e rappresentano un target da conquistare e fidelizzare per chi pianifica le strategie di marketing.

Accanto alla diffusione delle nuove tecnologie, del cosiddetto hardware, sia crescono l’attenzione e l’interesse per le modalità di socializzazione che esse supportano.

È il caso del social networking e, più in particolare, del fenomeno Facebook. La rilevazione di quest’anno ci indica che l’84% dei ragazzi dai 12 ai 19 anni ha un profilo su Facebook, nel 2009 erano il 71,1%. In generale, i social network attraggono anche i bambini dai 7 agli 11 anni, che navigando su Internet li usano nel 42% dei casi.

E’ di grande attualità studiare come le nuove tecnologie stiano profondamente modificando il modo in cui bambini e adolescenti pensano, apprendono, parlano ed esprimono le proprie emozioni. Cambiano le modalità comunicative e il linguaggio: stringato, essenziale, impoverito e sgrammaticato nei cellulari, in Internet si caratterizza per una scarsa focalizzazione su emozioni, sentimenti e aspetti morali, che pure sono indispensabili per lo sviluppo della pro-socialità. Mutano le modalità di apprendimento, sempre più multitasking. Aumentano le possibilità di esplorare il mondo ed ampliare le proprie conoscenze.

Se il 17% dei bambini fino a 11 anni - che nel 40% dei casi naviga da solo in Internet - dichiara di preferire in Youtube filmati con scene forti, è inevitabile domandarsi che posto occuperanno e come verranno gestiti “mentalmente” dal bambino gli script di azione appresi nei videogiochi e su Internet che non sono codificabili nella vita reale (come war games e combattimenti). E’ sorprendente come i genitori sembrino invece ignorare completamente questi effetti a breve e a lungo termine, adottando comportamenti di acquisto dei videogiochi centrati sulla preferenza del figlio (come dichiarato dal 29% dei bambini). Restando al mondo degli adulti, ci si chiede anche se e in che modo la scuola si stia preparando per affrontare questi importanti cambiamenti nelle strutture cognitive e nelle modalità di apprendimento.

Il discorso sui pericoli di Internet continua ad essere centrato su pedopornografia e rischi di adescamento, mentre si sottovalutano le questioni relative alla salute mentale, allo sviluppo cognitivo, emozionale e relazionale, dimenticando quanto questi aspetti siano strettamente correlati con lo sviluppo fisico. Una delle conseguenze dirette di queste difficoltà emozionali, relazionali e dello sviluppo morale è il fenomeno del cyberbullismo, che sta iniziando a dare, nel mondo virtuale, segnali di sostanziale pervasività, proprio come accade nell’approccio face-to-face dei più giovani con gli episodi e le azioni di bullismo.

Seguendo il trend delle indagini degli scorsi anni, nel 2010 è stato rilevato un aumento in termini quantitativi del bullismo: il 25,3% degli adolescenti italiani è stato più volte vittima di provocazioni e prese in giro da parte di uno o più compagni. Una percentuale pressoché analoga afferma di essere stata offesa ripetutamente e senza motivo (25,2%). Ad essa si aggiungono quanti sono venuti a conoscenza dell’esistenza di informazioni false diffuse sul proprio conto (23,5%). Nel 10,9% dei casi, si sono verificate anche situazioni di esclusione e isolamento all’interno del gruppo di riferimento.

La vittima ideale per il bullo, secondo il parere degli adolescenti, è principalmente un soggetto debole che non ha sviluppato meccanismi di auto-protezione tali da permettergli di reagire al sopruso subìto (52,2%).

Coerentemente con i dati internazionali, la nostra indagine indica che nell’ultimo anno sono stati principalmente i bambini ad essere più volte oggetto di offese immotivate da parte di uno o più compagni di scuola (27,8%) o di provocazioni e prese in giro (27,4%). Due bambini su dieci hanno dovuto sopportare la diffusione di informazioni false sul proprio conto (15,2%).

Nella lista di soprusi che spesso i bambini mettono in atto tra loro compaiono, con un valore pari al 16,8%, le azioni volte a provocare danni ad oggetti e le minacce (11,4%). Infine, tra i comportamenti prepotenti permangono le percosse (7,8%), i furti di merendine (9%) e di denaro (4,9%).

Il trend in crescita riguarda soprattutto le prepotenze subite dai ragazzi per via telematica: al 18,1% di essi è capitato almeno una volta di scoprire, navigando in Rete, la presenza di informazioni false diffuse sul proprio conto, al 7,8% di messaggi, foto o video offensivi o minacciosi e il 5,5% è stato invece escluso intenzionalmente da gruppi on line.

Da ultimo, è interessante porre l’attenzione su un aspetto che rappresenta ormai una realtà del nostro Paese: la crescente presenza di immigrati ha come naturale conseguenza la multietnicità della scuola, confermata quest’anno anche dal consistente numero di ragazzi che hanno compagni di nazionalità diversa dalla propria (46%).

La maggior parte dei giovani stranieri che vive in Italia deve convivere con le tante difficoltà generate dall’avere nome, colore della pelle, religione o tradizioni familiari differenti da quelle della maggioranza della popolazione. Deve combattere contro i pregiudizi e l’ignoranza e convivere con una cultura di origine e una circostante che, a volte, non riescono a trovare un punto di incontro. Sono, dunque, i ragazzi italiani e stranieri che sperimentano in prima persona i limiti e le carenze di una società solo demograficamente multiculturale.

I ritardi del Paese su questo delicato tema rischiano di diventare emergenza soprattutto tra le mura scolastiche. Se non si sapranno valorizzare le differenze culturali, amalgamandole e facendole convivere armoniosamente, difficilmente potrà esistere una società realmente multiculturale, in cui le diversità sono una ricchezza e non causa di divisioni e dissidi.

Questi sono solo alcuni degli spunti che emergono dal lavoro di quest’anno e che ci indicano comunque come siamo arrivati ad un punto di rottura. Il rischio che intravvediamo è che la mancanza di una coerente politica educativa nel presente comporti nel lungo periodo costi ben più rilevanti in termini di disadattamento, difficoltà emotive e relazionali, antisocialità, problemi nell’inserimento lavorativo e produttività.

A 150 dall’Unità d’Italia, nella riflessione su come uscire dalla delicata fase economica e sociale che interessa il nostro Paese, recuperando identità e senso del futuro, è indispensabile includere i bambini e gli adolescenti. Il benessere delle nuove generazioni passa da un ripensamento delle azioni a beneficio delle famiglie e delle comunità, e da una ri-valorizzazione delle relazioni a livello sociale che sole possono supportare lo sviluppo morale, la visione del futuro e il benessere.
di Ernesto Caffo e Gian Maria Fara
Fonte: http://www.eurispes.it/

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