martedì 30 novembre 2010

MONTENEGRO, TUTTI GLI AFFARI DEL PRESIDENTE

Siglato l'accordo per l'elettrodotto con l'Abruzzo, nonostante le ombre su Djukanovic

Il pubblico ministero Gennaro Varone, della Procura di Pescara, ha aperto un'inchiesta per vederci chiaro sul mega affare del cavo che porterà energia elettrica dal Montenegro in Italia. In Abruzzo, per la precisione. Non ci sono indagati, ma questa è una storia che non finirà presto.  

La firma posta ieri dal ministro dello Sviluppo Paolo Romani è solo l'ultima tappa di una lunga vicenda iniziata nel 2007. Secondo l'accordo con il governo del Montenegro, un nuovo elettrodotto porterà - a partire dal 2015 - fino a mille megawatt di elettricità in Italia, garantendo alle casse di Roma un risparmio sulla bolletta nazionale fino a 225 milioni di euro all'anno. La parte italiana del consorzio è rappresentata da Terna (con 760 milioni di euro), mentre quella montenegrina da CrnoGorski Elektroprenisni Sistem Ad Cges (con cento milioni di euro) e con il governo montenegrino in qualità di garante. I lavori partiranno nel 2011 e la lunghezza finale dell'elettrodotto sarà di 415 chilometri. Di questi, 390 saranno sottomarini e a impatto zero - secondo i costruttori - mentre i restanti 25 chilometri in superficie, 15 chilometri in Abruzzo, 10 in Montenegro. Quei quindici chilometri sono il primo problema: secondo gli ambientalisti abruzzesi passerà nel cuore del parco nazionale della Maiella, deturpandolo.  

Le polemiche non finiscono qui. A Pescara è nato subito un comitato che si oppone all'opera, ritenendola inutile. I consiglieri comunali dell'opposizione di centrosinistra, spalleggiati da quelli vicini a Fini e da alcune liste civiche, chiedono al sindaco di Pescara e al presidente della Regione Abruzzo di revocare la delibera che, il 3 novembre scorso, ha dato il via libera al protocollo d'intesa con la Terna per l'elettrodotto. La decisione, infatti, non è passata dall'aula del consiglio comunale come previsto dalla legge, ma è stata approvata quasi in segreto. La somma fissata a titolo di compensazione per il territorio è di quattro milioni e 500mila euro. Cifra fissata, secondo le opposizioni, in modo del tutto arbitrario.   L'amministratore delegato di Terna, però, è quel Flavio Cattaneo, già direttore generale della Rai dal 2003 al 2005, molto vicino al premier italiano Berlusconi. Cattaneo promette che il cantiere darà lavoro ad almeno sessanta imprese locali, mentre a regime creerà non meno di duecento posti di lavoro.         

Questo è da verificare, intanto Terna (e Cattaneo) portano a casa un bel colpo. Visto che l'elettrodotto è solo il primo passo di un accordo quadro più ampio tra l'Italia e il Montenegro. La stessa Terna acquisisce il 22 percento della Cges. L'Italferr costruirà la strada ferrata tra Belgrado e Bar, porto montenegrino, l'Enel costruirà una centrale idroelettricha e l'A2A - azienda quotata in Borsa e nata dalla fusione tra le municipalizzate dei comuni della Lombardia - ben quattro. La stessa A2A, considerata uno dei forzieri della Lega Nord e del partito di Berlusconi, si è garantita un posto in prima fila nello smaltimento dei rifiuti nella ex repubblica jugoslava e acquisisce il 43 percento della società energetica pubblica del Montenegro Elektroprivreda.        

Questo è un altro dei passaggi di questa relazione pericolosa tra Podgorica e Roma.
  
Dei 450 milioni italiani investiti nella privatizzazione di Elektroprivreda, una parte, almeno 300, sono stati versati sui conti della Prva Banka, colosso bancario controllato dal fratello del premier del Montenegro, Aco Djukanovic. Nella banca possiede azioni lo stesso primo ministro, Milo Djukanovic e sua sorella Ana. L'istituto è stato salvato dal crack, nel 2008, con una mega finanziamento del governo. L'opposizione in Montenegro è furibonda e parla di operazione "affrettata e poco trasparente", sponsorizzata da Berlusconi e messa in piedi per favorire il potente clan Djukanovic.    

Milo Djukanovic, se si esclude qualche presidente di alcune ex repubbliche sovietiche, è l'unico leader al mondo a essere totalmente identificabile con lo Stato. Poco più che 50enne, si affaccia nelle stanza che contanto della Lega dei Comunisti in Montenegro alla fine degli anni Ottanta. Economista di formazione, diviene delfino dell'allora presidente Momir Bulatovic, con il quale condivide la linea della federazione con la Serbia qualunque cosa accada. Invece, dopo la guerra, emargina Bulatovic e ne prende il posto, diventando un nemico giurato di Milosevic. Almeno sulla carta, perché invece attraverso il trafficante serbo Stanko Subotic intrattiene lucrosi affari con il vecchio presidente serbo, morto in cella all'Aja nel 2006. Proprio in quell'anno, Djukanovic guida la separazione del Montenegro dalla Serbia, uscendo dalla Federazione e regalando l'indipendenza al suo Paese. Nello stesso periodo, però, le procure di Bari e Napoli indagano e individuano in lui il boss del racket delle sigarette di contrabbando. Nel 2005 viene spiccato addirittura un mandato di arresto nei suoi confronti, ma la carica istituzionale lo mette al sicuro dalla galera. 

Il New York Times, a metà agosto, pubblica un'inchiesta dove Djukanovic viene descritto come un affarista senza scrupoli, che gestisce il Paese a uso e consumo del suo clan. Lui nega, come respinge con disprezzo il rapporto di Reporter senza Frontiere 2010 che pone il Montenegro al 104° posto nella lista della libertà di stampa. Secondo Rsf, Djukanovic e i suoi hanno fatto chiudere la bocca ai quotidiani di opposizione Dan e Vjiesti e al settimanale Monitor minacciando multe esorbitanti (fino a 13 milioni di euro) per ''danni morali'' al premier e alla sua famiglia. Il direttore di Dan, Dusko Jovanovic, è stato assassinato a maggio 2004 e il suo omicidio è ancora irrisolto.   

Trasparency International, ong che si occupa di corruzione nel mondo, da un giudizio pessimo del Paese, che pure attira miliardi di euro di investimenti stranieri grazie alla tassazione al nove per cento di tasse e a controlli poco limpidi. Come dimostrano i capitali russi di dubbia provenienza con i quali è stata cementificata la costa e sono stati avviati i cantieri dei porti turistici extralusso. 

Per tutti questi motivi è per lo meno discutibile il rapporto che la politica italiana ha con Djukanovic. Da dire che il primo accordo con il governo di Podgorica per l'elettrodotto porta la firma, nel 2007, dell'allora ministro per lo Sviluppo Economico Pier Luigi Bersani, attuale leader dellopposizione. Gli accordi chiave, però, li ha firmati il ministro Scajola prima e il ministro Romani adesso. Nel mezzo la visita a Podgorica di Berlusconi, accolto come un idolo, che ha pubblicamente espresso la sua amicizia e la sua stima per Djukanovic. Adesso la procura di Pescara indaga, ma le acque dell'Adriatico sembrano un po' più torbide.
di Christian Elia

Fonte: PeaceReporter
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