domenica 26 settembre 2010

A Treviso il Carroccio ci prova: “Mai più l’inno di Mameli

L'iniziativa è del sindaco: "Quando arrivo a quella strofa che schiava di Rom. Le proteste: "E' demenziale"


Stop all’inno di Mameli, il disco è finito. Gli amministratori leghisti non dovranno più suonarlo durante le cerimonie ufficiali. La rottura definitiva con l’inno patrio, dopo molte discussioni ed episodi contrastanti, arriva per bocca di un’eminenza grigia del Carroccio, il segretario regionale della Liga Veneta Gian Paolo Gobbo, sindaco di Treviso e molto vicino a Umberto Bossi. “Da adesso in poi le cerimonie si faranno senza inni” ha tuonato Gobbo. Che aggiunge: “L’inno d’Italia non serve a niente, perché non è certo quello che contribuisce ad alimentare il senso dello Stato”.

I (tanti) sindaci e amministratori leghisti veneti sono avvertiti: “I miei dovranno seguirmi sulla mia strada” tuona il primo cittadino di Treviso. Nel pomeriggio arriva una parziale retromarcia da parte del sindaco di Verona Flavio Tosi che grida al complotto: “È in atto una clamorosa strumentalizzazione sull’uso dell’Inno di Mameli, pretesto e oggetto di polemiche sterili e poco significative” dice dopo aver parlato con l’amico Gobbo. E aggiunge: “A Verona, come a Treviso e nelle altre città venete è in vigore un preciso protocollo che regola l’uso dell’inno nazionale”. Tante le reazioni dell’opposizione: “Gobbo cerca di tenere alto il vessillo leghista a dispetto dei milioni di veneti che chiedono di rispettare la Costituzione” ha detto Davide Zoggia responsabile enti locali del Pd.

Ma il divorzio dei leghisti dall’inno nazionale è cosa nota e annovera episodi come quello di Curno, alle porte di Bergamo, dove la Lega Nord ha tentato di bloccare una mozione che chiedeva di affiggere nelle scuole d’Italia l’inno suddetto (mozione proposta tra l’altro dagli alleati Pdl). “L’Italia non esiste, è solo sulla carta” hanno giustificato l’ostilità i leghisti bergamaschi. Anche in Veneto gli episodi sono tanti, a cominciare da quando all’inaugurazione di una scuola di Vedelago si suonò il Va’ pensiero al posto dell’inno, Zaia presente con la mano sul cuore. A proposito di scuole, è fresca la notizia che nella vicina Adro è stata promossa una raccolta di firme a favore dei simboli leghisti che campeggiano nel nuovo plesso scolastico.

Per tornare al Veneto, come in tutte le separazioni sono proprio certe parole a creare un solco incolmabile. In questo caso, quelle che ai leghisti si strozzano in gola sono: “Ché schiava di Roma Iddio la creò”. Così qualche giorno fa il sindaco del piccolo comune di Chiarano Giampaolo Vallardi, senatore della Lega, confessa: “Quando arrivo a quella strofa ‘che schiava di Roma Iddio la creò’ mi blocco, mi manca il fiato in gola, e so che capita anche ad altri”. Ma ecco la saggezza del compromesso: “Troviamo una mediazione: va bene l’inno, mi piace la melodia ma non il testo”. Suoniamolo e basta, senza cantarlo”.

Ecco l’uovo di Colombo, il capolavoro di furbizia: domenica scorsa nella sua Chiarano all’inaugurazione di una struttura per disabili, ancora presente l’immancabile Zaia con altri sindaci, Vallardi ha fatto suonare da una bambina di dieci anni rumena, un vero talento del violino, una versione esclusivamente strumentale dell’inno: niente parole. “Un’esibizione splendida e un bell’esempio di integrazione perché la bimba è straniera”, ha detto Vallardi.

A poco servono le rimostranze degli alleati più intellettuali, come quelle del senatore pidiellino Maurizio Castro, docente universitario, che definisce “totalmente demenziale” il dibattito sull’inno della Lega. Castro prova a spiegare l’inutilità della diatriba leghista e il senso delle parole in italiano, la nostra lingua madre: “Nel testo dell’inno schiava di Roma non si riferisce all’Italia ma alla vittoria”. E aggiunge: “Quando vado all’estero sono orgoglioso di essere figlio di un impero che ha dominato il mondo”. Infine a Venezia in Consiglio provinciale tre giorni fa la presidente leghista Francesca Zaccariotto è stata battuta da Pd e Pdl che hanno votato l’inno obbligatorio nelle cerimonie, su mozione proposta dal Pd. Per l’esattezza al momento del voto lei e gli altri leghisti sono usciti dall’aula. “Un trappolone del Pd” lo hanno definito i leghisti. “E’ anomalo che il presidente del consiglio provinciale esca durante una votazione” ribattono dai banchi dell’opposizione. Insomma l’Inno continua a far parlare di sé, e forse la risposta più giusta è quella di Floriana Casellato, sindaco Pd di Maserada: “Sarebbe meglio che i senatori si occupassero delle fabbriche che chiudono”. Sì, sarebbe bello.

da il Fatto Quotidiano del 25 settembre 2010

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