lunedì 5 aprile 2010

Sulle tracce dell’influenza aviaria. Preoccupazione degli esperti per il minore sostegno dato al monitoraggio del virus H5N1.


Preoccupazione degli esperti per il minore sostegno dato al monitoraggio del virus H5N1, nonostante la malattia persista e continui a diffondersi



Dati di rilievi a distanza dal monitoraggio
satellitare di specie selvatiche migratorie
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Preoccupazione degli esperti per il minore sostegno dato al monitoraggio del virus H5N1, nonostante la malattia persista e continui a diffondersi

Un team di esperti internazionale ha messo in guardia che, a causa del minore interesse da parte dei governi e dell'opinione pubblica, è diminuita l'attività di ricerca sul ruolo degli uccelli selvatici nella diffusione del virus altamente patogeno H5N1 dell'influenza aviaria, nonostante oggi si sappia molto di più su un loro possibile coinvolgimento.

"Il calo d'attenzione nei confronti del virus altamente patogeno H5N1 dell'influenza aviaria ha causato una diminuzione delle attività di sorveglianza e di ricerca, con conseguenze negative sullo sviluppo delle capacità e sul coordinamento tra autorità agricole ed ambientali, ed anche sul lavoro di ricerca per capire meglio l'epidemiologia e l'ecologia del virus", denuncia la Task Force scientifica su Influenza aviaria ed uccelli selvaggi in un documento redatto a conclusione di una riunione tenutasi presso la FAO.

Istituita nel 2005 e guidata congiuntamente dalla FAO e dalla Convenzione dell'UNEP per le Specie Migratorie, la task force è un partenariato di cooperazione che coinvolge 15 organizzazioni internazionali, tra cui diverse agenzie ONU, altre organizzazioni intergovernative ed organizzazioni non governative specialistiche.

"Purtroppo, anche se per alcuni non è più al centro dell'attenzione, il virus H5N1 continua a rappresentare un grosso problema, specialmente in Egitto ed in parte dell'Asia, dove sta avendo effetti molto negativi sulla sicurezza alimentare e sulle condizioni di vita dei contadini e delle comunità", dice Juan Lubroth, Veterinario Capo della FAO. Il virus altamente patogeno H5N1 non è circoscritto all'Asia, ha aggiunto l'esperto FAO, ma è stato riscontrato anche in Europa, in Asia Centrale ed in parte dell'Africa.

Negli ultimi sei mesi sono stati individuati focolai del virus nel pollame domestico in Bangladesh, Cambogia, Romania, Israele, Myanmar, Nepal, Egitto, Indonesia, India, Vietnam, ed in uccelli selvatici in Cina, Mongolia e nella Federazione Russa. Proprio questa settimana, per la prima volta, il Butan ha segnalato focolai ed il virus è stato individuato nel pollame domestico in Romania dopo tre anni di assenza.

Scarse misure di biosicurezza ed il commercio di pollame infetto sono le cause principali della diffusione della malattia. Gli uccelli selvatici hanno un ruolo molto più limitato nella ecologia del virus, ma comprendere il loro ruolo nella malattia e gestirne i rischi associati è impresa non facile.

La malattia, in passato, ha avuto enormi implicazioni sulla conservazione, ha infatti causato la morte di migliaia di uccelli selvatici esposti al virus e provocato risposte inappropriate, quali ad esempio l'abbattimento di uccelli selvatici sani e la distruzione dei loro habitat.

Alla ricerca del virus H5N1, negli ultimi cinque anni nel mondo sono stati testati dalle autorità nazionali, da ONG o da organizzazioni internazionali come la FAO, circa 750.000 uccelli selvatici sani.

Ci si aspettava di trovare "specie serbatoio", vale a dire uccelli selvatici portatori sani e diffusori del virus. Ma sinora si sono riscontrati pochissimi casi di uccelli salvatici infetti ma apparentemente sani.

La FAO ha anche guidato le attività di monitoraggio con trasmettitori satellitari di oltre 500 anatre ed oche selvatiche in varie regioni, allo scopo di raccogliere informazioni sui loro movimenti ed identificare possibili correlazioni con il verificarsi di casi di influenza aviaria.
Ma da queste attività non è emerso nessun elemento che indichi una chiara correlazione.

Questo indica che il contagio del pollame domestico da parte degli uccelli selvatici è raro e che il rischio per gli esseri umani è del tutto trascurabile. Tuttavia sono necessari ulteriori esami per consolidare questa ipotesi.

"Settecento cinquanta mila uccelli sono tantissimi, ma se si considera la dimensione della popolazione globale di uccelli, potremmo aver bisogno di testarne ancora molti altri se vogliamo scoprire l'origine del virus", spiega Scott Newman, Coordinatore dell'Unità animali selvatici di EMPRES (Sistema Preventivo di Emergenza contro le Malattie Transfrontaliere degli Animali e delle Piante). "Occorre accertare con esattezza se il motivo è perché non vi sono animali selvatici serbatoi del virus o perché noi non ne abbiamo testati abbastanza".

"Di certo, in alcuni casi, gli uccelli selvatici sono stati coinvolti nella trasmissione del virus, per esempio in Mongolia l'anno scorso - e ricercatori in Cina hanno reso noto di recente di aver riscontrato il virus in oche ed anatre selvatiche apparentemente sane", ha aggiunto Newman.

Di questi e di altri problemi ha discusso la task force riunita alla FAO, che ha segnalato questioni su cui occorre lavorare:

La standardizzazione delle metodologie di segnalazione e di campionamento in base alle pratiche scientifiche più aggiornate;

Il proseguimento e l'ampliamento delle attività di monitoraggio delle popolazioni di uccelli selvatici, insieme ad una migliore comprensione delle rotte migratorie, dell'uso degli habitat e dei movimenti delle specie;

Il rafforzamento delle capacità di chi conduce le indagini sui focolai, per poter valutare l'origine dell'introduzione del virus;

Maggiore attività di ricerca per ridurre l'indiscriminato coinvolgimento degli uccelli selvatici quali capri espiatori dei focolai tra il pollame domestico.

Uno degli effetti collaterali delle attività di monitoraggio condotte dalla FAO e dai suoi partner è stato quello di poter raccogliere un'immensa quantità di informazioni sull'uso degli habitat e sulle rotte migratorie di alcune specie selvatiche.

"I dati sono stati raccolti in modo da poter meglio valutare i possibili collegamenti tra le migrazioni degli uccelli selvatici e la presenza del virus H5N1, ma si sono dimostrati di enorme valore anche per riuscire ad identificare e comprendere le zone acquatiche, di cruciale importanza per la conservazione", ha concluso Newman.

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