giovedì 29 ottobre 2009

Indonesia, trecentomila famiglie senza casa

Con l'arrivo della stagione delle piogge si aggravano le condizioni degli sfollati.

E' trascorso poco più di un mese dal terremoto che ha scosso l'Indonesia, facendo almeno 1.117 morti e costringendo un milione e duecentocinquanta mila persone ad abbandonare le proprie case. Ora che si avvicina la stagione delle piogge tropicali sono almeno trecentomila le famiglie sfollate che hanno bisogno di un riparo e di assistenza e che si trovano alle prese con servizi igienici scadenti, ma soprattutto con la cronica difficoltà di reperire cibo e acqua. Nonostante il governo indonesiano abbia dichiarato la fine dell'emergenza, le condizioni della maggior parte della popolazione restano gravi. Peacereporter ha intervistato Emerico Laccetti, comandante del dipartimento operativo della Croce rossa italiana, attualmente a Padang, uno dei centri maggiormente colpiti dal sisma.

Di che cosa si occupa la Croce Rossa nello specifico?
La Croce rossa ha stretto un accordo bilaterale con quella indonesiana per dare un supporto logistico ai volontari locali. La Croce rossa di Giacarta si è subito mossa per portare i primi soccorsi ma i volontari non avevano alcun punto di riferimento e non sapevano nemmeno dove alloggiare. Noi abbiamo aperto due campi, uno a Padang e l'altro a Pariaman, per ospitare i 160 volontari indonesiani e dare loro vitto e alloggio. Sono rimasti soddisfatti, anche se si è registrato qualche difficoltà con i bagni. Gli indonesiani sono molto attaccati alle loro tradizioni e, visto che i loro servizi igienici sono molto diversi dai nostri, faticano ad abituarsi. Stiamo pensando di trasformare i bagni-container in docce e realizzare delle toilette più simili alla loro concezione. Doneremo la nostra struttura alla Croce rossa indonesiana e ora stiamo cercando di insegnare loro ad averne rispetto. Noi tenteremo di apportare tutte le modifiche necessarie, ma a loro noi chiediamo di avere cura, in modo da poterla utilizzare anche in futuro.

C'è un rischio epidemia nel Paese?
Direi proprio di no. C'è una grossa carenza sanitaria, ma non c'è un problema di epidemie. C'è stato qualche caso di malaria, ma nulla di grave E' gente abituata a vivere in condizioni igieniche precarie e ha sviluppato degli anticorpi molto resistenti. Penso ci sarebbe bisogno di investire nella sanità, ma gli indonesiani hanno una mentalità abbastanza chiusa. Accettano gli aiuti materiali, non si fidano però delle persone. Nel mio staff ci sono anche alcuni medici, ma faticano ad essere accettati e ascoltati. L'Indonesia è il Paese delle contraddizioni: lusso sfrenato e povertà estrema convivono in un equilibrio che a noi può sembrare paradossale. Questi contrasti sono emersi con tutta la loro forza anche nell'emergenza generata dal terremoto. Ci sono persone e quartieri che in pochissimo tempo si sono ripresi e per i quali il sisma è solo un ricordo, altri dove regna la miseria più nera.

A che punto è la ricostruzione?
In questo momento di ricostruzione non se ne parla ancora. Si procede alla demolizione delle poche abitazioni rimaste in piedi, ma è un'operazione molto lunga. Qui tendono a costruire le case una accanto all'altra e nel crollo si sono creati come dei piccoli ripari dove le persone si rifugiano a vivere. Piuttosto che stare nelle tende, molte persone preferiscono rimanere in quel che resta della loro abitazione. Bisogna allora convincerle a trasferirsi e procedere poi alla demolizione di queste strutture pericolanti. Ultimamente vediamo in giro anche molte ruspe del governo che raccolgono il ferro. Non ho conferme ufficiali, ma secondo i locali questo materiale viene venduto per finanziare la futura ricostruzione.

Le scuole hanno ripreso la loro attività?
Sì, quasi subito: i bambini vanno a scuola quotidianamente. Tutte le strutture pubbliche, in generale, hanno ripreso a funzionare normalmente e non sono state danneggiate. Sono evidentemente state costruite con un materiale anti-sismico molto resistente. A subire dei danni è stata solo l'unica chiesa cattolica della zona, ma è già stata allestita una struttura alternativa dove celebrare la messa.
Fonte peace reporter

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